[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 0.4.0 "Leida").
La mia visione, ancora relativamente fluida, della giustizia l'ho riassunta in un capitolo ([E] 17) intitolato volutamente “Legalità” in maniera da non confondere i due concetti ben diversi: non è detto che ciò che sia legale sia giusto e che ciò che è giusto sia legale.
Oltre a ribadire quanto la legalità sia lontana dalla giustizia, spiego che la legge è divenuta il mezzo principale con cui la società rende realtà multisoggettive i propri protomiti. Ma quando scrivo società intendo il governo che la guida che è sempre consistito in parapoteri (di forme anche molte diverse attraverso le epoche e le società). In altre parole le leggi umane sono da sempre state ([E] 17.1) espressione dei parapoteri e, per questo, fra i loro scopi c'è stato sempre quello di tutelarli.
Anche nel mondo moderno l'uguaglianza di ogni uomo davanti alla “Legge” è solo un mito ([E] 17.2): basta pensare al fatto che gli avvocati migliori (e quindi più cari) riescono mediamente a ottenere sentenze più favorevoli (altrimenti non sarebbero considerati bravi avvocati!) e quindi chi ha il denaro per assumerli può aspettarsi un trattamento “migliore” da parte della “Giustizia”. Nel passato questo era ancora più vero: l'equità della legge esiste solo quando deve giudicare fra individui appartenenti allo stesso gruppo o a gruppi di forza equivalente (*1).
La riprova la si ha dal fatto che, da quando l'istituzione della “Giustizia” è “nata”, ha poi sempre prosperato visto anche la sua effettiva utilità ed efficacia nel mantenere l'ordine sociale. Evidentemente non ha mai intralciato più di tanto la possibilità dei parapoteri di perseguire la propria crescita ([E] 5.2).
Al giorno d'oggi, con la globalizzazione, i parapoteri sono entità dalla forza smisurata: in pratica i governi dei paesi più grandi e ricchi, le multinazionali e le grandi banche.
In passato però, quando il sistema di potere in cui prosperava una singola società era molto più circoscritto ([E] 4.3), i parapoteri non erano delle istituzioni ma veri e propri essere umani come i ricchi e potenti di un'antica polis greca.
Proprio ieri ho trovato in Plutarco un passaggio che riassume in poche frasi tutto il mio pensiero: si tratta di uno scambio di battute fra Solone (il famoso legislatore di cui Plutarco narra la vita) e il suo amico Anacarsi a cui poi segue il commento dello stesso autore.
«[Solone è impegnato a preparare le leggi per Atene] La qual cosa intendendo Anacarsi si rise della sua impresa, che pensasse di raffrenare l'ingiustizia e l'avarizia de' suoi cittadini con leggi scritte, le quali rassomigliarsi dicea alle tele de' ragnateli, le quali arrestano i piccoli e deboli; ma i potenti e ricchi le rompono. A che... ...replicò in questa maniera Solone: “Gli uomini pur osservano il contenuto ne' contratti, per non esser utile la trasgressione d'essi né all'una né all'altra parte; così accodomerò io le leggi a' miei cittadini in guisa, che sembrerà loro migliore la giustizia che la violazione.” Ma riuscì nell'avvenire più la comparazione d'Anacarsi che la speranza di Solone.» (*2)
Non c'entra niente col pezzo odierno ma ecco anche il parere di Anacarsi sulla democrazia: «Ancora disse Anacarsi in pubblica adunanza di maravigliarsi, che i savi della Grecia proponessero, e gl'ignoranti giudicassero.» (*2)
Giudichino i lettori se aveva ragione Solone o Anacarsi...
Conclusione: FUORI TEMA (per non scrivere un corto!) nelle pagine dove tira le somme e soppesa le vite parallele di Licurgo e Numa, Plutarco ritorna sulle donne spartane e dà il suo parere: dal suo punto di vista esse erano troppo libere e indipendenti. In particolare riporta un paio di epiteti con i quali erano conosciute: “fenomeridi” (“che mostrano le cosce” a causa della tunica che si apriva sul fianco all'altezza della vita) e “andromani” (“pazze d'amore per gli uomini” a causa della relativa libertà sessuale e, probabilmente, per il fatto che Licurgo impose che dovessero sposarsi solo in età adulta, quando anch'esse desiderassero il maschio, e non da bambine come, ad esempio, poteva avvenire fra i romani). Inutile dire che soprattutto “fenomeride” mi è piaciuto molto!
Nota (*1): per la precisione: la forza di un individuo è pari a quella del proprio gruppo divisa per il numero dei suoi membri. Di conseguenza l'appartenente a un gruppo debole (aperto e quindi numeroso) avrà una forza pressoché insignificante.
Nota (*2): da “Le vite parallele” Vol. I, di Plutarco, trad. Marcello Adriani il Giovane, Salani Editore, 1963.
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