Anche oggi (v. Due pezzi in uno) avrei due diverse opzioni: l’imperativo categorico nell’ottica degli inquisitori del XVI secolo oppure il buon Rawls…
Vabbè, lascerò il “Malleus maleficarum” per un’altra occasione: già di solito tendo a divagare e, con due argomenti diversi, divago il doppio (*1).
In “Una teoria della giustizia” di Rawls i nodi iniziano a venire al pettine: già la scorsa estate avevo fatto presenti i miei dubbi sull’impostazione della sua opera basata su una teoria estremamente astratta e che rimandava il concreto nelle parti successive. Ero curioso di vedere come sarebbe riuscito a mettere in pratica con delle proposte concrete le sue idee teoriche (alcune delle quali mi sembravano totalmente irrealizzabili da un punto di vista pratico mentre altre non mi tornavano neppure in astratto e, proprio per questo, le avrei volute osservare in concreto...).
Adesso sta finalmente iniziando ad affrontare argomenti più concreti (ma sempre astratti!) come, per esempio, le tipologie di funzioni che dovrebbe avere un governo, ma quando arriva al dunque spesso scrive cose del tipo “ma i dettagli di come realizzare XXX sono scelte politiche che esulano dalla teoria della giustizia come equità” anche se poi ammette che a volte ci si deve accontentare della scelta politica meno cattiva. Siccome magari non vi fidate della mia sintesi ecco qui le parole di Rawls: «Nella pratica, dobbiamo di solito scegliere tra diversi assetti ingiusti o comunque basati su un concetto di secondo ottimo; ci rivolgiamo quindi alla teoria non ideale per trovare lo schema meno ingiusto.» (*2)
E allora perché ha scritto oltre 200 pagine su una teoria astratta a prova di proiettile (ma non lo è) se poi non la si può mettere in pratica? Sì, lo so, l’ho scritto io stesso: per dare comunque la “direzione” di quale sia l’obiettivo da raggiungere. Ma questo, credo, ha senso solo fino a quando la distanza fra teoria e pratica non cresce troppo...
Poi certo Rawls non è Popper e quindi, comunque, esprime concetti interessantissimi.
Per esempio come distingue i settori di intervento di un governo mi piace; oppure come propone di impiantare sul modello capitalistico occidentale delle tutele per i più deboli; oppure basare le tasse sui consumi e non sul reddito...
Ah! vi ho anche trovato una proposta similare a una mia (estremamente più drastica; [E] 18.3) che, forse, userò come epigrafe. E siccome tanto la dovrò comunque ricopiare allora tanto vale che lo faccia adesso: «In primo luogo esso [il governo] impone una serie di imposte sulle successioni mortis causa e a titolo gratuito e stabilisce limiti alla capacità di legare. Lo scopo di queste imposte e normative non è quello di aumentare le entrate (cedere risorse al governo), ma quello di correggere gradualmente e in modo continuo la distribuzione della ricchezza, e di prevenire le concentrazioni di potere dannose all’equo valore della libertà politica e all’equa eguaglianza di opportunità.» (*3)
Esattamente il mio punto! Sebbene io nella proposta di soluzione sia molto più drastico ho lo stesso obiettivo in mente: non battere cassa ma evitare le distorsioni democratiche indotte dagli enormi accumuli di ricchezza.
Scrivo io ([E] 18.3): «Sempre a causa della ridistribuzione dei beni anche il pericolo sociale rappresentato dal singolo parapotere economico sarà fortemente limitato perché l’accumulo di ricchezza, che in sintesi è l’essenza dell’ingiustizia, sarà periodicamente annullato alla morte del suo possessore.»
Va bene, Rawls scrive (anche attraverso la traduzione) meglio di me: con più proprietà di linguaggio e, forse, maggiore chiarezza, ma il concetto che abbiamo in mente è il medesimo.
Poi, tanto per dare un colpo al cerchio e una alla botte, ho trovato un altro lapalissiano (secondo me!) esempio della fallacia, già nelle premesse, della sua logica.
Secondo Rawls gli uomini devono essere messi tutti sullo stesso livello: non solo annullando i fattori esterni come può essere la diversità di ricchezza ma anche quelli interni, che per me appartengono all’individualità dell’uomo, come l’intelligenza. Io trovo questa teoria deumanizzante (v. Dubbi su Rawls): pretendere di annullare queste differenze intrinseche degli uomini corrisponde a disumanizzarli (*4): se a KGB togliete la sua intelligenza non sarà più KGB…
Invece l’unica eccezione per Rawls la si può avere grazie al principio di differenza: ovvero una persona potrà, per esempio, accumulare ricchezza se così facendo migliorano le condizioni di vita non medie ma di chi sta peggio in assoluto.
Come detto io non sono d’accordo con l’idea di Rawls ma facciamo finta che sia corretta: cioè che caratteristiche innate individuali, come l’intelligenza, vadano annullate (perché il singolo non ha alcun merito della sua maggiore intelligenza).
Ma ecco cosa scrive: «[…] l’equa eguaglianza di opportunità sta a significare un certo insieme di istituzioni che assicura pari possibilità di istruzione e di formazione a persone motivate in modo simile [...]» (*5)
Ebbene mi pare ovvio che la motivazione, come l’intelligenza, sia almeno in parte ereditabile quindi se Rawls fosse coerente dovrebbe auspicare eguaglianza di opportunità di istruzione a tutte le persone indipendentemente dalla loro motivazione (visto che non dipende da essi) e NON in base a essa!
Conclusione: vabbè, ho già scritto abbastanza per oggi. La conclusione è che ho ancora da leggere 250 pagine circa per finire questo mattone!
Nota (*1): per la mia mentalità matematica mi sono subito accorto che la frase “già di solito tendo a divagare e con due argomenti diversi divago il doppio” non ha senso matematicamente perché gli argomenti trattati (2) e le divagazioni (2) rimangono in rapporto 1 a 1. Allora per un attimo ho pensato di scrivere qualcosa del tipo “e le mie divagazioni crescono col quadrato degli argomenti trattati”! Poi ho deciso di lasciare perdere e, subito dopo, di scrivere questa nota. Tanto per divagare…
Nota (*2): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 274.
Nota (*3): ibidem, pag. 272.
Nota (*4): volendo tirare in ballo Kant mi pare che l’idea di Rawls possa equivalere a considerare gli uomini come mezzi.
Nota (*5): ibidem, pag. 273.
L'esempio di Benjamin Franklin
4 ore fa
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