In Subincisioni e precauzioni, commentando “Collasso” di Diamond, avevo proposto un’interessante ipotesi.
Per riuscire a prevenire i disastri ecologici, che spesso portano a compromettere la capacità di produrre cibo, occorre che l’interezza della popolazione sia consapevole del problema. Affinché però una persona riesca a concentrarsi su problemi che esulano dalla sua quotidiana sopravvivenza occorre che questa sia più o meno garantita. Questo è possibile solo nelle società egalitarie, che distribuiscono cioè più o meno equamente le risorse disponibili a tutta la popolazione.
Nell’isola di Pasqua, nelle isole Mangareva, Pitcairn e Henderson (che comunque appartenevano a una cultura polinesiana simile), fra i Maya e presso la popolazione Anasazi non fu così: in queste società vi fu una classe sociale (a volte legata al culto religioso (*1)) grandemente favorita rispetto alle altre.
Questa è una mia idea/ipotesi e non di Diamond che quindi non si preoccupa né di investigarla né, talvolta, di dare particolare rilevanza alla struttura sociale.
Nei due lunghi capitoli successivi (a quello della società degli Anasazi) Diamond ha scritto delle colonie norvegesi della Groenlandia il cui declino è soprattutto legato al cambiamento climatico, all’impatto negativo della religione cristiana (che assorbì troppe risorse utili) e, forse, alla competizione con gli inuit. Ma il primo fattore predomina decisamente su tutti gli altri.
Comunque anche la popolazione groenlandese, sul modello di quella norvegese, era fortemente gerarchizzata. Un altro problema delle società gerarchizzate (ovvero che hanno all’interno del loro sistema dei parapoteri) è la difficoltà ad evolversi ([E] 5.13): tutte quelle novità che non sono nell’immediato interesse dei parapoteri vengono impedite dagli stessi. Chi ha di più del resto della popolazione non vuole novità che potrebbero compromettere il proprio vantaggio: questo contrasto è particolarmente evidente in una carestia: i poveri soffrono la fame e sarebbero quindi aperti a cambiamenti mentre i ricchi, a cui diminuisce solo la quantità di riserve in cantina, si limitano a pensare che è stata una cattiva annata. La presenza del parapotere religioso cristiano nella colonia groenlandese non aiutò: sicuramente avrà stabilizzato l’autorità dei ricchi (che possedevano le chiese) e magari avrà contribuito a non far limitare le nascite nel periodo climatico favorevole e con più cibo…
Insomma anche il caso groenlandese non smentisce la mia teoria: occorrevano però delle conferme, ovvero delle società inserite in dei contesti ecologici difficili e che sono riuscite a superare la prova del tempo: che organizzazione sociale avevano queste?
Fortunatamente il capitolo che sto attualmente leggendo mostra proprio alcuni di questi casi: ovvero società che sono riuscite a superare la prova del tempo.
Di questi il caso più interessante è quello dell’isola di Tikopa, letteralmente isolata nel Pacifico, e che quindi ricorda i casi delle altre società isolane già viste.
Cosa scrive Diamond della struttura della società e della sua egualità?
Copio dei frammenti tutti dalla stessa pagina: «La terra è divisa in piccoli appezzamenti di proprietà di varie famiglie patriarcali, e ogni casa possiede terreni in varie parti dell’isola. La costa è di tutti […]. Da sempre le decisioni importanti sono prese in maniera collettiva. […] I capi di Tipoka hanno potere assoluto sulle terre e sulle canoe del loro clan, e possono ridistribuire le risorse. Tuttavia, secondo gli standard polinesiani, la società tikopiana è tra le più democratiche e con le minori differenze sociali. I capi e le loro famiglie fanno i contadini, come tutti i loro sudditi, e si procurano il cibo da sé.» (*2)
Da queste poche parole non è possibile farsi un’idea definitiva ma sembrerebbe che la differenza fra parapotere politico, il capo della tribù, e resto della popolazione sia minima. A me pare più un arbitro che decide sulle dispute locali mentre le “decisioni importanti”, vengono prese in comune.
Un altro esempio trattato in questo stesso capitolo sono le società dell’interno della Nuova Guinea.
Anche qui vi è stata una fase di espansione della popolazione e deforestazione ma, giunta la crisi, la società non si è estinta ma si è riorganizzata.
Qualche informazione sparsa sulla società e la sua egualità: «[…] non era mai sorta nessuna unità politica più grande della tribù, e i vari villaggi, tutti gelosamente autonomi, erano sempre in conflitto fra loro o, al massimo stringevano sporadiche alleanze. Non c’erano leader o capitribù ma soltanto individui un po’ più carismatici e autorevoli degli altri, i cosiddetti big men, che però non avevano alcun privilegio di rango: vivevano in una capanna e coltivavano la terra come tutti gli altri. Per prendere una decisione gli abitanti del villaggio si sedevano tutti insieme e parlavano, parlavano e parlavano (come avviene spesso ancora oggi). I big men non avevano l’autorità per dare ordini e potevano soltanto cercare di convincere gli altri ad appoggiare le loro proposte.» (*3)
Anche in questo caso è evidente che non esistevano parapoteri in questa società: anche i loro big men sembrano solo degli arbitri che consigliano nelle dispute...
E successivamente: «I neoguineani sono il popolo più curioso e aperto alla sperimentazione che abbia mai conosciuto.» (*3)
Questo per evidenziare una possibile conferma della legge dell’evoluzione ([E] 5.13): le novità si diffondono più facilmente se non ci sono parapoteri che le ostacolano per paura di perdere i propri vantaggi. Al contrario la nostra società gerarchica infatti spinge a non cercare nuove idee (sociali) perché il presente è perfetto così com'è e non può né deve essere modificato.
In realtà non è completamente esatto dire che Diamond non consideri la struttura sociale: è che si limita a dividerle fra quelle che adottano un approccio top-down o bottom-up alla soluzione delle problematiche.
Le due società appena viste hanno, secondo Diamond, una gestione bottom-up: ma quando è possibile tale approccio? Secondo la mia teoria ([E] 5.13) solo quando non vi sono parapoteri che l’impediscono: non essendoci parapoteri le società sono automaticamente egalitarie.
Comunque nel prossimo esempio l’autore tratterà il caso del Giappone dove l’approccio che ha avuto successo è stato invece top-down. Vedremo che conclusioni potrò trarne...
Visto che nomino più volte la legge dell’evoluzione ([E] 5.13) ne accenno qui il senso: per massimizzare l’evoluzione intesa come innovazione di una società deve esservi il giusto equilibrio fra due caratteristiche apparentemente antitetiche: l’uniformità e la diversità. L’uniformità permette la cooperazione mentre la diversità determina idee e soluzioni diverse. Ma soprattutto qui ho fatto riferimento a una conseguenza di questa teoria: «Curiosamente questa legge non sarà quasi mai applicabile a una comune società: in essa i diversi poteri non hanno infatti pari forza in quanto i parapoteri, sebbene numericamente esigui, sono molto più forti della democratastenia, ovvero dei poteri medi e deboli. Eventuali innovazioni da parte di un gruppo della democratastenia difficilmente verranno approvate dai parapoteri gelosi di mantenere la propria forza.
In altre parole ogni società, senza interventi esterni, tende ad avere un’evoluzione lenta perché la diversità delle sue componenti viene annullata dalla maggior forza dei parapoteri che la guidano: solo le novità che aumentano la forza della maggioranza dei parapoteri riescono ad affermarsi facilmente.
In una singola società questa legge non sarà applicabile perché tutti i sistemi tendono ad assumere una complessione piramidale, ovvero con pochi parapoteri molto forti e molti poteri deboli e medi: in questa situazione viene meno la necessaria uniformità che è una delle precondizioni necessarie all’applicabilità della legge dell’evoluzione a livello di singola nazione. Il giusto equilibrio di uniformità e diversità è l’eccezione.»
Conclusione: sono contento di aver fatto la mia ipotesi sulla difficoltà di una società non egalitarie di prendere decisioni lungimiranti per il bene comune prima di leggere questo capitolo! Questo perché significa che non ho elaborato la mia teoria a posteriori ma, in un certo senso, l’ho verificata in seguito con l’aggiungersi di ulteriori informazioni.
Nota (*1): come del resto “Il ramo d’oro” di Fraser insegna.
Nota (*2): tratto da “Collasso” di Jared Diamond, (E.) Einaudi, 2014, trad. Francesca Leardini, pag. 309.
Nota (*3): ibidem, pag. 301.
L'esempio di Benjamin Franklin
4 ore fa
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