Pezzo breve oggi (credo). Il primo aprile scoprii che lo sgarante aveva bloccato chatGPT in Italia.
Ci rimasi molto male perché lo usavo (quando funzionava non avendo un carico di utenti eccessivo) già intensamente al posto di Google: in generale, tranne che in situazioni specifiche, mi forniva già l’informazione specifica che cercavo mentre il motore di ricerca, quando andava bene, mi dava dei collegamenti che avrei poi dovuto esplorare uno a uno per trovare quello che effettivamente mi interessava. Diciamo che usavo 90% chatGPT e 10% Google.
E Google trae gran parte (qualcosa intorno al 90%) dei propri ricavi proprio dalla vendita della pubblicità tramite i primi collegamenti forniti dalle ricerche: è evidente che chatGPT e simili (come la versione “chat” di Bing) rischiano di essere la nemesi di Google.
Ho fatto presente questo dato perché quando si giudica l’operato di un potere, qualunque esso sia, vanno tenuti ben presenti gli interessi in gioco e, soprattutto, quelli non dichiarati.
Questo perché in effetti, nonostante la mia irritazione, mi sono rifiutato di informarmi sulle motivazioni dello sgarante che hanno portato al blocco di chatGPT.
Sono infatti sicuro che la motivazione “ufficiale” sia una delle seguenti:
1. un qualcosa di irrilevante riguardo la memorizzazione del dialogo fra utente e IA.
2. la difesa dell’unico “diritto” che in questi anni sta venendo tutelato: il diritto all’oblio (*1).
Con l’ammonimento che, a parte queste spiegazioni ufficiali, va comunque sempre tenuta presente anche la motivazione “economica” vista sopra.
Ma, come spiegato, non ho perso tempo a informarmi: si tratta chiaramente di un provvedimento anacronistico che, al massimo, avrà l’effetto di rendere meno efficiente (in Italia) chatGPT o che ne ritarderà il ritorno di, al massimo, un annetto provocando danni a molti e proteggendo pochi.
Nel frattempo si parla con entusiasmo dei progressi ottenuti da chatGPT4: ma, grazie allo sgarante, non ho potuto verificare. Preferisco non pensarci per non irritarmi.
Il punto è che è possibile, anzi probabile, che chatGPT possa minacciare in qualche modo la riservatezza degli utenti. Sono però sicuro che lo sgarante non abbia la capacità, né probabilmente l’interesse, di dare le giuste direttive per correggere il problema. Alla fine tutto si risolverà nel dover accettare esplicitamente un lunghissimo contratto di utilizzo che nessuno, me compreso, leggerà. Grazie allo sgarante. Insomma un problema morale verrà trasformato in una questione legale: l’eventuale vulnus morale resterà ma vi verrà appiccicato sopra un inutile cerotto legale.
Contemporaneamente, oltre all’entusiasmo per la nuova versione, leggo anche preoccupazione che, credo, sia giustificata. Già chatGPT3 ha il potenziale di togliere posti di lavoro (in più campi), lo stesso vale a maggior ragione per chatGPT4: ma ovviamente è solo questione di tempo (5 anni?) prima che nuove versioni ancora più potenti trasformino questa potenzialità in realtà.
Ovviamente, grazie allo sgarante, non ho potuto verificare gli ultimi progressi.
Conclusione: lo so, questo è uno dei pezzi più noiosi e inutili che abbia scritto negli ultimi tempi: ha però il vantaggio di essere corto!
Nota (*1): questo infatti è un “diritto” spacciato come utile e necessario per tutti mentre invece serve l’interesse di pochissimi potenti interessati a nascondere la propria storia e, in particolare, le proprie “marachelle”. A parte che ne ho già scritto ma su questo argomento dovrei tornarci con un pezzo più generico: credo che alla tutela di falsi diritti e alla negazione di quelli veri si possa assimilare una parte significativa del politicamente corretto e dei suoi assurdi derivati.
L'esempio di Benjamin Franklin
4 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento