Stamani ho letto qualche nuova paginetta di “Eros e civiltà” di Marcuse e, come al solito, voglio esprimere il mio commento al riguardo.
Ormai, seppure lentamente, sono arrivato a leggere più dei 4/5 del saggio e inizio ad avere le idee un po’ più chiare sul suo contenuto: ed è proprio di questo che voglio scrivere oggi.
Quando ho iniziato a leggere quest’opera di Marcuse non avevo idea di cosa aspettarmi: sembrava un misto di psicologia, filosofia e politica (v. Inizio di Marcuse).
E in effetti è proprio così! Per certi versi ricorda la mia Epitome: anch’io parto dalla psicologia per arrivare poi, dopo un lungo percorso, a conclusioni politico/sociali (*1).
L’obiettivo di Marcuse è però ancora più ambizioso del mio: io mi limito a studiare la società attuale (tenendone presente l'evoluzione storica), poi dalle mie osservazioni traggo delle regole per comprenderla meglio e, infine, arrivo a una proposta per una società migliore basata sulla minimizzazione dei difetti e dei meccanismi fallaci che ho individuato. Marcuse invece non propone modifiche alla società attuale ma, piuttosto, la vorrebbe ricostruire su basi totalmente differenti.
Marcuse, rifacendosi a vari saggi di Freud, afferma che la società moderna si regge sulla repressione degli istinti, in particolare di quello sessuale (ma non solo). Questi istinti vengono sublimati, ovvero le loro energie psicologiche sono dirette verso altri obiettivi utili alla società, come per esempio il lavoro. Ma anche l’istinto distruttivo (Tanatos) deve venire controllato e questo causa un circolo vizioso in cui più si reprime e più la tensione aumenta (v. seconda parte di Marcuse: inizio del 4° capitolo) provocando ulteriore repressione.
Il risultato complessivo è che la stragrande maggioranza delle persone ha una vita, a partire dal lavoro, psicologicamente insoddisfacente: le varie sublimazioni e repressioni causano nevrosi che rendono l’uomo infelice.
In effetti la conclusione di Freud è negativa: non ci può essere civiltà senza l’inibizione degli istinti e, di conseguenza, l’uomo, a parte poche fortunate eccezioni, non potrà mai essere pienamente soddisfatto di sé e quindi felice. Contemporaneamente le rinunce imposte dal principio di realtà (v. seconda parte di Agnellino e Marcuse) gli impediscono di realizzare il proprio potenziale umano: di seguire cioè il principio del piacere.
Ma Marcuse, che scrive negli anni ‘50, vede una nuova possibilità nel progresso.
La società industrializzata ha infatti raggiunto delle tali capacità produttive che vi è sovrabbondanza, almeno potenziale, di beni e cibo. Eppure l’uomo continua a lavorare le sue otto ore al giorno: questo perché nella società moderna moderna la ripartizione della ricchezza non è equa: l’operaio guadagna quel tanto che basta per sopravvivere mentre tutto il resto è intascato dall’industriale che si arricchisce in maniera sproporzionata rispetto ai suoi lavoratori (v. anche Il lumacone).
In altre parole nella società moderna vi è una repressione “addizionale”, che non sarebbe cioè necessaria per la mera sopravvivenza ma che viene comunque imposta per il solo vantaggio dei pochi che ne traggono profitto.
Da un altro punto di vista vi sarebbe la possibilità di una società in cui ogni persona, per esempio, lavorasse solo un giorno della settimana se la divisione dei beni fosse equa e se nessuno si approfittasse del lavoro altrui.
In altre parole per Marcuse sarebbe possibile un nuovo tipo di società, non più basata sulla repressione degli istinti, in cui l’uomo sarebbe libero di sviluppare il principio del piacere.
Ovviamente, e questo è forse il passaggio più difficile perfino da immaginare, sarebbe una società totalmente diversa dall’attuale: non solo a livello istituzionale ma anche nella psicologia dei suoi cittadini.
Ci sarebbe infatti un maggiore equilibrio fra conscio e inconscio (io ed es), fra principio di realtà e principio di piacere, fra razionalità e intuizione/fantasia/creatività. Questo porterebbe a un super-io (dato dall’introiezione della morale della società) totalmente diverso visto che mancherebbero tutte le regole e limitazioni che caratterizzano il nostro mondo abituale.
Rifacendosi a vari filosofi Marcuse ipotizza che sarebbe l’estetica a dover mediare fra principio di realtà e di piacere: ma di questo ho già scritto nella prima parte di 50 buoni propositi.
Ma non c’è il rischio, come supponeva Freud, che se ogni uomo desse libero sfogo ai propri istinti allora la civiltà crollerebbe?
Qui è dove sono più o meno arrivato al momento. Posso già dire che la risposta di Marcuse alla precedente domanda è “no”: non ci sarebbe “un’esplosione” violenta e distruttiva della libido (che nella società moderna ha esiti funesti) ma una sua “espansione” pacifica e compatibile con la civiltà. La libido troverebbe cioè molte nuove possibilità di esprimersi e sfogarsi, non meramente genitali. Bisogna poi sempre ricordare che siamo nell’ipotesi di una società totalmente diversa, in cui il principio di realtà non ha regole cogenti, non è dominato dalla logica: la razionalità sarebbe sensuale e la sensualità razionale…
Marcuse quindi cerca di spiegare come sarebbe la sessualità umana in questa nuova società: e qui non aggiungo altro perché devo almeno terminare il capitolo per intuire dove andrà a parare!
In altre parole Marcuse ha costruito un’utopia, una società basata non solo su istituzioni diverse ma su uomini dotati di una psicologia completamente diversa dall’attuale e che, a loro volta, plasmano una società a propria immagine e somiglianza in una specie di circolo virtuoso. Insomma di sicuro un esercizio notevole!
Io però rimango un po’ scettico quando confronto la teoria di Marcuse (al netto di quanto letto e capito) con la mia Epitome. Mi pare che ci sia un grave errore di fondo: il filosofo tedesco sopravvaluta l’uomo e le sue qualità. Non vedo nell’uomo, per esempio, quella capacità di temperanza che dovrebbe renderlo in grado di autolimitare il proprio principio del piacere.
Mi pare anzi che questa visione ricalchi l’errore di previsione di Marcuse il quale si attendeva una società sempre più ricca e con più tempo libero disponibile per tutti: non aveva previsto cioè l’avidità dei potenti e la loro volontà di divenirlo sempre di più. Di nuovo un limite umano è più determinante di eventuali caratteristiche positive. Da questo punto di vista mi pare che la mia epistemologia negativa porti a risultati più verosimili dell’ottimismo nell’uomo di Marcuse.
Si potrebbe obiettare che l’uomo della nuova società ipotizzata da Marcuse non avrebbe i limiti dell’uomo attuale. Sarebbe così se questi fossero forgiati dal principio di realtà, ovvero dalle regole della società e dalle sue costrizioni: ma in realtà, così a memoria, tutti i limiti umani sui quali poi baso la mia teoria sono o limitazioni cognitive o comunque sono legati all’es e non al super-io. Cioè sono connaturati nell’uomo e non frutto della civiltà. Sì, forse si potrebbe ipotizzare che qualche limite potrebbe non esistere o essere ridimensionato, ma nella sostanza cambierebbe poco…
Conclusione: beh, ovviamente le conclusioni definitive le potrò trarre solo a lettura ultimata ma non mi aspetto più grandi sorprese. Mi sono fatto l’idea di un Marcuse mezzo poeta e mezzo visionario, indotto in errore dalla troppa fiducia nelle qualità dell’uomo. Chiaramente la sua idea di società è una totale utopia ma nondimeno è affascinante e dà ottimi spunti di riflessione.
Nota (*1): da quello che ho capito il tentativo non è nuovo: prima o poi mi confronterò con il “Trattato di sociologia generale” di Vilfredo Pareto del 1916…
alla prima stazione
1 ora fa
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