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sabato 17 marzo 2012

Ledificio (4/10)

Quarta puntata del racconto Ledificio: vedi anche parte 1, 2 e 3.
Il protagonista, entrato insieme a due compagni in un misterioso edificio, è rimasto solo e non riesce più a uscirne. Non solo: l'edificio sembra essere un labirinto dove strani fenomeni inspiegabili sono all'ordine del giorno...

-= 4 =-

Non so quanto a lungo corsi gridando: lentamente però la futilità del mio terrore iniziò a divenirmi evidente. È difficile dire quando successe ma, a un certo momento, iniziai ad accettare che la realtà che mi circondava non seguiva le leggi naturali a cui ero abituato. Stranamente questo pensiero ebbe il potere di calmarmi: per quanto strano, il passare a concepire di non essere in una situazione folle, in una specie di incubo assurdo, ma in qualcosa di ancora, temporaneamente, non comprensibile fece riprendere il controllo alla parte razionale della mia mente. L'alternativa del resto sarebbe stata solo quella di impazzire e di continuare a vagare senza meta per chissà quanto tempo ancora...
So cosa penserà il lettore, ma non è come potrebbe pensare: mi pizzicai più volte il braccio, e verificai che ero completamente sveglio!

Fu poco dopo aver ripreso il controllo di me stesso che mi capitò di notare una luce diversa, più luminosa, veramente luce, filtrare da sotto una porta. Incuriosito dal cambiamento andai subito a investigare: strattonai a lungo la porta che non si voleva aprire ma alla fine questa cedette e io potei passare.
Mi ritrovai in un piccolo balcone: la prima sensazione che provai fu la gioia immensa per aver ritrovato la luce del sole! Era una giornata nuvolosa ma i colori mi sembravano così intensi e vividi come mai ricordavo di averli visti. L'aria puzzava di cattivo e di fumo e il balcone sembrava essere stato usato per accatastarci delle cianfrusaglie: c'erano pile di scatole piene di rottami metallici, pezzi di legno, tubi ma anche bambole e giochi per bambini, cornici di quadri, un vecchio lampadario e molti altri oggetti ancora. Ma la mia attenzione era tutta rivolta a quanto vedevo all'esterno: a nemmeno dieci metri di distanza, quattro persone, tre uomini e una ragazza, erano in attesa alla fermata dell'autobus.
Mi accorsi che un pannello della vetrata del balcone si poteva aprire e freneticamente sganciai i fermi che lo tenevano chiuso. Stranamente non urlai: per qualche motivo ero sicuro che non avrebbero udito la mia voce. Presi invece una cassetta di plastica nera e la scagliai con tutte le mie forze sulla strada. Con mio stupore questi si voltarono e guardarono verso l'alto, nella mia direzione. Abituato a rimanere sempre deluso ero convinto che non mi avrebbero visto o che, improvvisamente, sarebbero scomparsi. Invece uno degli uomini gridò: “Che fai ragazzo, sei impazzito?” e poi “Come hai fatto a finire lassù?”.
Non capii bene cosa intendessero ma ero così felice che non me ne preoccupai e, finalmente, ritrovai la voce e urlai: “Fatemi uscire! Sono imprigionato qua dentro! Non riesco a trovare l'uscita!” o qualcosa di questo tenore, non sono più sicuro...
Evidentemente il tono allarmato della mia voce fece capire agli uomini che non scherzavo e che dovevo avere un serio problema: subito infatti due di essi passarono attraverso una fessura nel recinto che circondava l'edificio (che alla luce del giorno mi sembrò molto più mal ridotto di quel che ricordavo) e sparirono poi dalla mia visuale.
Un vecchio con la ragazza rimasero invece a guardarmi: io non osavo muovermi e rimasi anch'io zitto a fissarli. Il vecchio stava mormorando qualcosa all'orecchio della giovane che mi fissava intensamente. Poi mi sentii stupido a restare così senza parola e, accorgendomi che doveva essere quasi mezzogiorno, chiesi: “Sapete niente dei miei amici?”.
Fu il vecchio a rispondermi: “Quali amici?”. E io: “Eravamo insieme: avevamo bevuto e volevamo visitare una stanza famosa al secondo piano...”.
Il vecchio ridacchiò. Non capii ma non mi preoccupai troppo perché, nel frattempo, mi sembrava di udire dei rumori provenire dall'interno dell'edificio: i soccorsi si stavano avvicinando!
Poi il vecchio, dopo aver meditato qualche secondo, mi rispose con lo strano sorriso furbo di chi pensa di saperla lunga: “Se tu avessi la mia età e avessi letto i giornali lo sapresti!”
I rumori all'interno dell'edificio erano ancora più forti e finalmente sentii delle voci che mi chiamavano proprio dietro la porta del balcone.

Fui scellerato: non ragionai. Questi minuti di ritorno alla realtà mi avevano fatto dimenticare tutto quello che avevo passato compresi i paradossi nei quali mi ero imbattuto. Senza riflettere aprii la porta e ritornai nella stanza adiacente al balcone sicuro di incontrare i miei salvatori. Invece ritrovai solo l'odiosa luce grigia e il silenzio assoluto. In un attimo di panico mi girai ma la porta che dava al balcone non c'era più.
Tentai freneticamente tutte le porte della stanza ma fu inutile: ero di nuovo completamente sperduto.

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