Nel vuoto non esistono appigli e se ti trovi a precipitare al suo interno, completamente privo d’orientamento, ti aggrappi a ciò che capita.
Magari non ti rendi neppure conto che, visto che sei un naufrago, ti sei afferrato a un nulla che rotea su se stesso come te: ma, una volta ritrovato l’equilibrio, ecco che ai tuoi occhi il suo movimento, solidale col tuo, te lo fa apparire fermo. I naufraghi del mare hanno lo stesso istinto di afferrarsi a qualsiasi cosa ma, almeno, hanno ben chiara la dicotomia fra basso e alto: sanno che da una parte vi è l’acqua e dall’altra l’aria, sanno dov’è il bene e dove il male. È la malasorte che li ha messi in una situazione disperata ma essi conoscono a cosa agognano tornare e, se si salvano, riprenderanno la loro antica posizione.
Chi precipita nel vuoto, privo di orizzonte, privo di gravità, perde invece completamente l’orientamento non solo fisico ma anche morale.
Ti aggrappi a qualcosa per dare una parvenza di senso alla tua vita: con l’oggetto che abbracci realizzi una relazione che magari non ha senso nel mondo esterno ma che almeno per te, singola entità, diviene un riferimento col quale confrontarsi e che ti fa acquistare a tua volta senso: esso diviene infatti il metro con cui puoi misurarti e che ti dà significato. Certo, ricordiamolo, è un metro illusorio, basato sul nulla e che ha una validità solo per te.
Ma è l’uomo che non sopporta di stare solo. È l’uomo che sente il bisogno istintivo, oltre che di stare con i propri simili, di essere inserito e accolto nella società, di trovare un posto in essa che sia il più possibile apprezzato, ammirato e, magari, invidiato.
Già la società.
La società vedi questi grandi vuoti immensi, dall’esterno sono evidenti, appaiono come delle grandi bolle colorate, di una consistenza fluida, semitrasparenti che lentamente rotolano e rimbalzano quasi senza peso nell’aria. Attraverso la superficie vi intravede i giovani (ma talvolta anche vecchi, non è l’età la discriminante che fa di un uomo un naufrago) che vi vagano disperati, senza metà, o strettamente avvinghiati ai loro relitti, irrilevanti per tutti fuorché per loro.
Ma la società se ne infischia e il motivo è semplice: queste bolle sono chiuse, rimbalzano lontano, chi è fuori non può entrarvi in contatto: è sicuro.
Ma questa assoluta separazione fra mondi è un’illusione perché nelle loro fantastiche evoluzioni nell’aria, di tanto in tanto, anche queste bolle toccano terra e allora la superficie, normalmente invalicabile, per un attimo si spezza e ciò che è dentro interagisce con ciò che è fuori.
E in questi casi talvolta accade che il giovane abbrancato al proprio unico punto di riferimento interagisca in maniera incomprensibile col frammento del mondo esterno con cui viene in contatto.
E la società, talvolta ipocrita e talvolta semplicemente stupida, si scandalizza o finge di scandalizzarsi per il comportamento del giovane visto che esso non ha senso al di fuori della bolla: perché è chiaro che lui, ritrovatosi improvvisamente nel mondo “reale”, non può avere la prontezza di adeguarsi istantaneamente a esso e agisce quindi secondo il proprio metro di valori senza comprendere che esso non è condiviso né valido dove si trova adesso.
In realtà sono queste bolle a non avere senso ma la società, come detto, le tollera, anzi le ignora, fino a quando non è costretta ad averci a che fare a causa di un rimbalzo imprevisto o sfortunato.
Nella sua ipocrisia la società è poi lesta a condannare i comportamenti che non capisce, che vanno contro le usuali direzioni della morale: ma, se sarà il singolo a essere condannato per le proprie azioni, la colpa è invece della società che ignora le bolle di vuoto che rimbalzano alla periferia di ogni grande città.
Potremmo poi costruire una classificazione dei vari tipi di bolla e dei suoi contenuti: vi sono infatti bolle dalla superficie più o meno pervia e che si muovono più o meno velocemente. Ci sono bolle piccole piccole a volte costruite proprio dal singolo che si chiude volontariamente in esse. Oppure vi è, in quelle più grandi, chi vi nasce dentro e che non ha mai conosciuto un’altra realtà.
Soprattutto quelle più grandi sono pericolose perché possono contenere più persone che alla fine, venendo a contatto fra loro, possono illudersi che la loro sia l’unica e vera realtà: non capiscono che stanno roteando e cadendo: per loro è al massimo la realtà esterna, quando l’intravedono attraverso la superficie trasparente della bolla, che vortica in maniera incomprensibile su se stessa. Quando la bolla prende l’aspetto di una piccola società allora diviene una trappola per chi vive al suo interno: perché in quanto società, seppure piccola, placa il bisogno dell’individuo di far parte di un qualcosa di più grande: allora vi può essere anche il rifiuto della società esterna, il non voler uscire dalla propria bolla perdendo la posizione che si ha in essa, confrontarsi con altro, ripartire da capo, ritornare soli, deboli e vulnerabili…
Ma questa è un’altra storia che lascerò per il futuro.
Conclusione: che noia le condanne superficiali e i facili moralismi privi di comprensione: che giustizia potrà mai provenire da cuori aridi e da menti chiuse? Perché a sua volta, anche la nostra realtà, è una grande bolla...
alla prima stazione
1 ora fa
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