È da un po’ che non scrivo di Gramsci ma comunque sto andando avanti nella lettura: è che ultimamente gli articoli che leggo sono sulla cronaca politica del tempo e, in particolare, di una lotta interna nel partito socialista fra gli "integralisti" e, bo, i “riformisti” credo, ma potrei sbagliarmi.
Gramsci è per gli integralisti (che poi SCIUPATRAMA vincono al congresso di Roma) che, credo (perché Gramsci dà per scontato che tutti sappiano di cosa sta scrivendo!), non vogliono accordi con i partiti “borghesi”: il contrario per i “riformisti”…
Comunque ripensavo a Marx o, almeno, a quello che capisco di Marx tramite gli accenni di Gramsci.
Se ho ben compreso Marx basa la sua analisi politica sulla “storia” e, in particolare su chi detiene i mezzi di produzione e su come sono gestiti gli scambi: altro “termometro” è il livello di “coscienza di classe” dei lavoratori, ovvero quanto i lavoratori sono consapevoli di venire sfruttati e di quale sia la loro forza.
Ho scritto “storia” fra virgolette perché mi pare chiaro che il modello storico costruito da Marx è tutto incentrato sulla situazione sociale del XIX secolo. Probabilmente, limitatamente a quell’epoca, la teoria di Marx inquadra la situazione sociale/economica/politica meglio di quanto non possa fare la mia teoria basata su protomiti/parapoteri e leggi del potere.
C’è però un grosso “ma”: la teoria di Marx è troppo specifica di un’epoca e si adatta malamente sia alle epoche a lui precedenti che a quelle future.
Davvero oggi i piccoli borghesi (a qualunque cosa corrispondano nel mondo odierno) sono dalla parte delle multinazionali? E i mezzi di produzione che vengono delocalizzati? E i proletari dove sono ora che l’industria con le sue tute blu non è più il fulcro dell’economia?
La mia teoria è invece più universale: per ogni epoca e società si devono individuare quali siano i gruppi che la compongono, stabilire per ognuno di essi se è chiuso/aperto e autonomo/subordinato. I gruppi chiusi e autonomi sono i parapoteri e, comunque, tutti i gruppi seguono le leggi del potere.
Grazie a questi elementi è possibile leggere chiaramente, almeno a grandi linee, la situazione, anche dinamica (ovvero dove tende) di qualunque società. E non solo di una società: ma anche di un’azienda, di una squadra di calcio, di un singolo comune, etc…
Un’altra questione interessante che emerge in un articolo è la disputa fra Gramsci e un politico (o forse un giornalista) dell’epoca. Il politico infatti ironizza sul linguaggio tecnico di un articolo de L’Avanti! che, chiaramente, non è il linguaggio degli operai.
Gramsci risponde alla critica con due argomentazioni: la prima è che l’articolo citato era in risposta a una questione sollevata da un altro giornale con un linguaggio ugualmente tecnico: per rispondere compiutamente a essa era necessario usare lo stesso linguaggio. La seconda argomentazione è che l’operaio deve fare un percorso di crescita (la famosa coscienza di classe) che lo porti a imparare la terminologia socialista: non si può né si deve quindi usare sempre un linguaggio semplice altrimenti non vi sarebbe crescita culturale nell’operaio.
Sul primo punto sono d’accordo: sul secondo invece Gramsci bara un po’ o, almeno, CREDO che lo faccia: non ho infatti idea di come fossero gli articoli dell’Avanti! in quegli anni ma ipotizzo che fossero simili agli articoli comunisti degli anni ‘80 e ‘90 di cui ho una vaga memoria. Se così fosse stato l’Avanti! non sarebbe stato un giornale comprensibile da tutti i proletari ma solo da quella minoranza più edotta e in grado quindi di seguire le sottili disquisizioni filosofiche/politiche.
Ho impostato male il discorso. Quello che voglio dire è che l’Avanti!, o qualsiasi altro giornale comunista/socialista, avrebbe potuto contenere articoli con diversi livelli di conoscenza richiesti per comprenderli: in questa maniera tutti avrebbero trovato qualcosa da leggere alla propria portata e, lentamente, leggendo gli articoli del livello appena superiore al proprio, imparare concetti e terminologia e acquisire così “coscienza di classe”. La risposta di Gramsci mi fa pensare che la maggioranza degli articoli dell’Avanti! fossero tutti di grande complessità. Un po’ anche perché questa è la tendenza degli intellettuali italiani: non parlare semplice a tutti (come aveva suggerito Galilei e come hanno effettivamente fatto nei paesi anglosassoni) ma fare sfoggio della propria cultura usando uno stile il più aulico e il più oscuro possibile (questo quando vi è la paura di essere smentiti!)…
A proposito di coscienza di classe, che c’entra il giusto, la scorsa domenica chiacchieravo col mio kebabbaro (pakistano) di fiducia che mi parlava delle mance ricevute dai clienti. Poi la discussione è slittata sul fatto che negli USA i camerieri non hanno uno stipendio ma guadagnano sulle mance ricevute. Lui si diceva molto entusiasta di questa formula perché così “il cameriere è spronato a lavorare di più”: io ero un po’ scettico perché mi sembrava una specie di lavoro a cottimo dove il confine con lo sfruttamento è molto labile. Non ricordo se io o lui siamo poi passati a parlare dei fattorini in bicicletta e io gli ho fatto notare che questi, se unicamente pagati a consegna, sono spronati a prendersi dei rischi in maniera da poter visitare il maggior numero di clienti nel minor tempo possibile: è giusto gli ho chiesto? Non mi ha risposto, probabilmente non mi ha capito: il suo livello di italiano è abbastanza basso anche se sopra la media degli altri kebabbari che conosco…
Il punto è che lui, nonostante la sua cultura pakistana e musulmana, è comunque accecato dai protomiti americani (quelli che io chiamo della prima globalizzazione) del tipo “chi più lavora più guadagna”.
E che c’entra la coscienza di classe?
C’entra nel senso che è sparita la consapevolezza di come il lavoratore possa venire sfruttato da alcune forme di lavoro: è la logica del denaro che paga tutto (quello che io chiamo lo slittamento della morale dall’uomo al profitto), il fattorino che accetta il denaro per le consegne accetta anche il rischio di farsi seriamente male: ci si dimentica di cosa succeda se non può più lavorare o se si ammala. In definiva ci si dimentica che la necessità è nemica della libertà: in altre parole il fattorino è solo apparentemente libero di accettare il rischio di consegnare a tempo di primato il cibo perché evidentemente ha bisogno di denaro e non ha trovato altri lavori più sicuri o meglio remunerati.
In verità mi fa uno strano effetto leggere le teorie riportate da Gramsci: ne capisco il senso, talvolta ne approvo il fine, ma ne vedo anche i limiti. È la mia burbanza che mi inganna oppure la mia teoria è davvero più profonda?
Conclusione: ai non lettori della mia Epitome l’ardua sentenza...
alla prima stazione
1 ora fa
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