Era da molti anni che non scrivevo un pezzo della serie “KGB le origini” perché, semplicemente, gli episodi significativi della mia infanzia sono comunque in numero limitato. La seguente vicenda però, fino a oggi, non me l’ero sentita di pubblicarla: il motivo è che coinvolge mia madre e lei non ne esce particolarmente bene.
Prima di tutto una premessa: mia mamma per dormire iniziò a prendere un barbiturico prescrittole dal nostro medico di famiglia. All’epoca non si sapeva infatti quanto fossero pericolosi (*1) né della potentissima assuefazione che danno. Una loro controindicazione è che non devono essere mischiati con alcool perché altrimenti si ottiene un effetto simile a una forte ubriacatura.
Col senno di poi credo che quel giorno fosse successo proprio questo: mia mamma doveva aver preso una miscela di alcool e barbiturici.
Eravamo in vacanza a Livorno (ora non ricordo esattamente in che anno ma doveva essere l’estate dopo la terza o la quarta elementare: quindi io dovevo avere 9 o 10 anni) dove mia mamma aveva preso una casa in affitto per un mese o roba del genere. Quel giorno mio padre era partito al mattino per andare a giocare a un torneo di bridge cosa che dovette aver irritato moltissimo la mamma. In effetti lei aveva iniziato a prendere il sonnifero proprio per non “accorgersi” dell’assenza del babbo che quasi tutte le sere andava a giocare a bridge in qualche circolo e rincasava verso le 00:30AM.
Era un primo pomeriggio e io ero a giocare nel giardinetto della casa quando arrivò la mamma, tutta “strana” nel senso che si vedeva che non era completamente in sé, e disse qualcosa del tipo che io dovevo venire a dormire in casa con lei adesso perché dovevo prendere il posto del babbo che non c’era.
Io, che di giorno non dormivo mai e pochissimo di notte, ovviamente non ne volevo sapere. Non ricordo come ci arrivammo ma ricordo che, una volta in camera, ero veramente arrabbiato perché non ritenevo giusto che mi si imponesse di dormire quando non avevo sonno. Così sul lettone mi decisi a usare tutta la mia forza per divincolarmi e tornare a giocare: ma la mamma era ovviamente più forte e infatti mi disse, come un complimento, che io “ero forte come un leoncino ma lei era la leonessa”. Per farla breve mi ritrovai, bloccato a letto dalla sua forza soverchiante, al suo fianco contro la mia volontà. A quel punto mi arresi e, suppongo, dovetti iniziare a piangere. La mamma mi disse di dormire e io, sorprendentemente, dovetti addormentarmi molto rapidamente: ebbi però degli incubi molto vividi, qualcosa del tipo che ero intrappolato in una giungla e che non riuscivo a muovermi. Escludo che ci sia stato altro, tipo che mi abbia “toccato” o roba del genere.
Il giorno dopo non ricordavo niente però dissi una cosa strana a mio padre (non ricordo il quando e il come ma solo le mie parole: la seguente è quindi una ricostruzione plausibile): suppongo che fosse l’ora di dormire (a quell’età avevo degli orari precisi) ma, diversamente dal solito, volli andare direttamente nel letto della mia camera perché, gli spiegai come se fosse la cosa più naturale del mondo, nel lettone “c’erano le liane ai piedi”. Ricordo l’espressione perplessa di mio padre che però non disse niente né mi chiese ulteriori spiegazioni.
Ora, come ho spiegato nell’aneddoto “propedeutico” in Altri appunti di viaggio, ho tre caratteristiche interessanti: 1. un’ottima memoria; 2. la capacità di cogliere minime incoerenze logiche in frasi o eventi; 3. memorizzo automaticamente tutto ciò che mi pare “strano” per rianalizzarlo con calma.
In questo caso mi rimase fortemente impressa la mia frase al babbo e la sua espressione dubbiosa. Oltretutto, qualche giorno dopo dovettero convincermi a riprovare a dormire nel lettone e, con mio stupore, ci dormii benissimo: tanto che (mi pare) proprio io ipotizzai di essermi confuso con un incubo.
Tutto tornò normale nei rapporti familiari e, una volta tornati a casa, ripresi ad andare a dormire nel lettone matrimoniale (*2) dato che non ricordavo nulla.
Negli anni successivi però, non ricordo esattamente quando ma nel giro di 4 o 5 anni, la mia strana frase periodicamente mi tornava in mente e, un giorno, non tutto insieme ma frammento dopo frammento, ricostruii quello che era successo e che ho descritto qui sopra. Non dissi niente a nessuno e oggi è la prima volta che ne parlo, anzi ne “scrivo”.
Quali furono le conseguenze di questo episodio isolato?
La più evidente è che da quel giorno non volli più essere abbracciato da mia mamma e quando mi dava un bacino rimanevo rigido e distaccato: anche quando mi ricordai di cosa era successo continuai a non volerla abbracciare dato che mi sembrava una giusta penitenza: da questo punto di vista sono estremamente severo e metodico.
Un elemento che mi fa pensare che il trauma sia stato lieve è proprio il fatto che io sia riuscito a ricordarmelo da solo. La decisione consapevole di “punire” mia mamma evitandone le smancerie mi fa poi credere di aver accettato e gestito con giustizia l’episodio.
Gli effetti inconsci, soprattutto sul mio rapporto con le donne, ovviamente non posso valutarli: io credo che un certo impatto possa esserci stato ma che dovette trattarsi di un fattore minore e aggiuntivo: se fossi stato bello o atletico o alto o spiritoso o popolare o meno intelligente e più normale o con un carattere estroverso o più voglioso di essere come gli altri e, magari, con gli incisivi (v. KGB le Origini: risa distratte) probabilmente lo avrei superato senza accorgermene. Insomma alla fine credo che sia stato un piccolo handicap aggiuntivo che si è però andato a sommare a una lunga serie di difficoltà…
Ho notato poi che alcune persone riescono a sviluppare una sorta di dialogo con la propria mamma: cose del tipo che se hai un problema ti rivolgi a lei per avere un consiglio su come risolverlo. Questo a me non è mai successo: da questo punto di vista c’è sempre stata una sorta di barriera fra noi e io non l’ho mai fatta in alcun modo partecipe di alcun mio sentimento o riflessione personale: questo però creda dipenda principalmente dalla mia natura di INTP ma forse l’episodio accaduto ha accentuato questa mia tendenza innata.
La psicoanalisi da pizzicagnoli vorrebbe, suppongo, che io abbia paura delle donne: bo, non mi pare, ma ora mi è difficile distinguere le sensazioni di quando ero adolescente, oppure di quando ero un ventenne o dai trent’anni in poi. È plausibile che un minimo, non di paura, ma forse di titubanza sia andata scemando nel tempo. Vero è che proprio negli anni in cui si inizia a relazionarsi con l’altro sesso io sia stato particolarmente passivo: non che le ragazze non mi piacessero ma mi era inconcepibile l’idea di avere una relazione sentimentale. Intendiamoci, sarebbe bastato che una ragazza avesse fatto il primo passo nei miei confronti: ma, come detto, avevo tutta una serie di caratteristiche che non mi rendevano molto “appetibile” e all’epoca, proprio culturalmente, non erano le donne a prendere l’iniziativa.
Quando alla soglia dei trent’anni finalmente mi innamorai con tutto il cuore di una ragazza, un mio amico con cui mi confidavo e che pazientemente cercava di darmi buoni consigli acutamente osservò che gli sembravo un quindicenne dato che mi mancavano delle esperienze che normalmente si maturano a partire da quell’età. Ecco credo di non aver ancora riassorbito del tutto tale svantaggio sentimentale e, ormai, dubito che lo farò mai. Del resto ci si affeziona anche ai nostri difetti: essi contribuiscono a renderci quello che siamo e, istintivamente, amiamo noi stessi e quindi anche i limiti che ci definiscono: quindi perché cambiare?
Mi viene anche da pensare che, in effetti, sono sempre stato attratto dalle relazioni impossibili, dalle donne che non erano interessate a me: forse perché, ipotizzo, inconsciamente le ritenevo più “sicure” nel senso che era praticamente inevitabile che non nascesse niente di serio. Forse mi piaceva l’inebriante sensazione di essere innamorato, il galvanizzante aroma di una promessa di felicità, ma non volevo veramente impegnarmi in una relazione?
In effetti nel periodo in cui ho lavorato all’estero, e che per vari motivi ero leggermente “più appetibile” al sensibile palato femminile, mi sono capitate almeno tre casi di ragazze che mi piacevano ma che, quando mi sono accorto che anch’esse erano variamente interessate a me, ho iniziato accuratamente a evitarle.
Stranamente mi rendo conto di non averne mai scritto o parlato con nessuno di queste: vabbè, magari un’altra volta...
Conclusione: spero di non aver dato un’impressione sbagliata di mia madre che, a parte l’episodio sullodato, è sempre stata una mamma esemplare, forse un po’ troppo protettiva e incapace, non per colpa sua, di capirmi. Anche l’impatto di questa vicenda sul mio inconscio non credo sia stato enorme: significativo sì, ma non determinante.
Nota (*1): infatti credo che il tumore al fegato che l’ha uccisa sia stato provocato proprio dalle dosi enormi di farmaco barbiturico che era abituta ad assumere quotidianamente.
Nota (*2): mi sembra di averlo spiegato in un altro “KGB le Origini” di quanto mi piacesse essere poi preso in braccio dal babbo e portato nel mio letto e sentirlo rincalzarmi le coperte!
AVE CESARE
9 ore fa
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