Mi chiedo quanto io sia emotivo.
Già ai tempi dell’università, quando avevo sui vent’anni per capirci, ero solito dire/pensare che per il 90% del tempo mi comporto in maniera razionale ma la mia natura lo è solo al 10%. Al tempo infatti mi sentivo lo strano incrocio di due personalità totalmente contrapposte: mio padre razionale al 100% e mia madre emotiva al 100%.
Molto più recentemente ho ipotizzato di essere passato nella primissima infanzia da una personalità INFP a una INTP: probabilmente cercando di imitare mio padre e contemporaneamente non apprezzando il carattere di mia madre a cui attribuivo tutta la colpa delle tensioni familiari.
Questo avrebbe spiegato alcune mie caratteristiche che non sono tipiche di INTP ma di INFP come, per esempio, il senso della giustizia. La differenza fra INTP e INFP è che hanno la funzione dominante e quella inferiore opposte: INTP ha Ti dominante e Fe inferiore, INFP ha Fi dominante e Te inferiore.
Insomma ho sempre avuto il sospetto di avere una parte emotiva molto forte anche se, normalmente, non emerge ed è tenuta chiusa in un baule chiuso da catene di ferro e sepolto tre metri sotto terra.
Oppure il mio potrebbe essere solo un effetto “ottico”: nel senso che la mia emotività mi sembra grande e forte semplicemente perché non la so gestire. Questo è un po’ quello che suggerisce la teoria MBTI per i tipi INTP come me.
Ma davvero la mia emotività è “grande” e “forte” come ho scritto di istinto?
Qual è il suo impatto sul mio comportamento?
Alla fine mi pare ben poco… o forse no?
Qualche esempio: l’aver lasciato il mio lavoro facile e ben remunerato in cambio di... niente, è stata una decisione emotiva o razionale? La mia logica fu: questo lavoro non mi piace, la vita è una, allora abbandono questo lavoro. Mi chiedo però se una persona veramente razionale avrebbe agito così o, per esempio, si sarebbe preoccupata di trovare prima un’occupazione alternativa?
O magari la forza di un’emozione non la si deve giudicare da come influenza il nostro comportamento ma da come la sentiamo dentro di noi, come ci abbatte o ci esalta. Invero una definizione molto solipsistica che difficilmente può portare a conclusioni che non siano soggettive.
Quanto è forte un’emozione che mi sembra pesare sul cuore, che mi opprime fino a togliermi il respiro. Un’emozione che mi perseguita, che mi appare davanti dovunque mi volti. Un’emozione che non mi lascia e non mi fa dormire, che mi respira in un orecchio e si abbraccia al mio collo, che mi soffoca ma non mi uccide che mi fa dolere senza ferirmi. È un’emozione forte?
Ma se al mattino l’ignoro, e faccio quel che so di dover fare, allora era un’emozione debole?
Io mi immagino le emozioni come dei quadri: la persona comunemente intesa come sensibile ha delle emozioni che sono dei quadri dettagliatissimi, ricchi di chiaro scuro e di colori di tutte le tonalità. Invece le persone come me (credo) hanno delle emozioni che sembrano quadri dipinti da bambini dell’asilo. Pochi tratti incerti, solo un paio di colori, nessun chiaro scuro o altri accorgimenti tecnici: soggetti semplici e banali: un cuore, una casa, una persona e poco più.
Come possiamo confrontare insieme due quadri così diversi?
Ha senso parlare di quadro più “forte” dell’altro? Magari più ricco di contenuti e significati sì, ma di pura intensità no.
Del resto i pittori più moderni hanno abbandonato la precisione nel dettaglio e nella tecnica per abbracciare tecniche più astratte: di certo non hanno rinunciato a comunicare emozioni ma ne hanno semplificato la forma esteriore.
Ecco, magari la maggior parte dei disegni semplici e stilizzati sono degli scarabocchi da bambino ma, a volte, magari sono un concentrato di espressività, ovvero di emozione.
Senza considerare il soggettivismo della persona coinvolta in prima persona: ogni scarafaggio è bello per la propria mamma, così ogni emozione tocca i precordi più sensibili della persone che la prova. Sembra una tautologia , un’ovvietà, un pleonasmo ma ciò non significa che non sia così. Un po’ come i sogni: i nostri sogni ci sembrano sempre misteriosi e intriganti ma quando li raccontiamo ci rendiamo conto che appaiono solo stupidi, che non riusciamo a spiegare tutti i dettagli, apparentemente banali ma che per noi sono ricchi di significato...
Insomma alla fine di questi ragionamenti, di questo pezzo inutile e contorto, credo si possa affermare che le emozioni contano per quanto le sentiamo forti in noi: questo è soggettivismo ma l’alternativa, valutarli per come si esprimono all’esterno, è paradossalmente relativismo perché nell'equazione entra un nuovo fattore: la forza con cui reprimiamo i nostri sentimenti.
Conclusione: bo… mi sono perso diversi paragrafi fa…
Io vorrei i tre giorni di sonno!
10 ore fa
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