Ho ormai praticamente terminato “Who we are and how we got here” di David Reich: un buon libro scritto dal massimo esperto dello studio del DNA antico. Non è eccezionale perché ho trovato le spiegazioni un po’ più tecniche confuse e perché, nonostante, sia molto recente (2019) per certi aspetti è già superato. Come lo stesso autore ammette i progressi in questo campo hanno cadenza mensile o quasi e le nuove teorie e ricerche si sovrappongono con velocità frenetica.
Per esempio uno dei punti più interessanti è che, secondo ricerche effettuate dalla squadra dell’autore, le popolazioni orientali hanno una percentuale significativa di DNA dell’uomo di Denisova, un ominide con un’evoluzione parallela all’uomo di Neanderthal e alla nostra specie Sapiens. Secondo Reich le popolazioni del sud est asiatico (e in particolare gli abitanti di Giava) ne avevano una percentuale che toccava anche l’8%. Per spiegare come abbia fatto l’uomo di Denisova, i cui resti sono stati ritrovati in Siberia, ad accoppiarsi con popolazioni dell’Asia meridionale è stato spiegato introducendo una (o forse due) popolazioni fantasma: ovvero popolazioni che adesso non esistono più direttamente ma che si sono fuse con altre popolazioni di cui noi siamo i discendenti.
La logica di questo passaggio, del come e del perché di queste due popolazioni fantasma, è uno dei tanti punti che non mi sono chiari: fatto sta che secondo gli studi più recenti la percentuale di uomo di Denisova è di circa lo 0,1% e, anzi, mi pare di capire che si nutrano dubbi sull’esistenza stessa di questa antica specie (i resti ritrovati sono minimi). Insomma un intero capitolo il cui valore, se non nullo, è stato comunque decisamente ridotto dalle scoperte più recenti.
Questo non significa che non ci siano tantissime informazioni interessanti. Per esempio è evidente come l’agricoltura abbia permesso alle prime popolazioni che la praticavano di sovrapporsi alle comunità di cacciatori raccoglitori molto più ridotte numericamente e, sembrerebbe, in maniera abbastanza pacifica.
Soprattutto è completamente sbagliato il modello di uomo Sapiens che, uscito dall’Africa, colonizza l’Euroasia e successivamente le Americhe e l’Australia in maniera che le varie popolazioni umane evolvono separatamente senza contatti significativi se non negli ultimi millenni.
No: è stato fin da subito un continuo rimescolamento di popolazioni!
Mi limito all’esempio dell’Europa sulla quale abbiamo il maggior numero di dati e ricerche.
Oltre 39.000 anni fa arrivano i primi Sapiens in Europa provenienti dagli “emigrati” dall’Africa (50.000 anni fa).
Fra 33.000 e 22.000 anni fa, arriva dall’est la popolazione di Gravettian, derivata dalla popolazione fantasma degli Ancient North Euroasian (da cui derivano anche i nativi americani che, per questo, sono geneticamente più vicini agli europei che alle popolazioni asiatiche): che arriva fino alla Francia e scende anche in Italia.
Fra 19.000 e 14.000 anni fa, durante l’ultima era glaciale, vi è un’espansione da ovest della cultura “Magdalenian” che dalla Spagna risale fino al centro Europa.
Finalmente, circa 14.000 anni fa, arrivano stavolta dalla penisola anatolica le prime popolazioni di agricoltori che vanno a sovrapporsi alle meno numerose di cacciatori raccoglitori che tendono a spostarsi verso nord.
Circa 5.000 anni fa arrivano però gli Yamnaya, una popolazione guerriera (nelle loro tombe si trovano solo uomini circondati dalle loro armi), probabilmente patriarcale che conquista l’Europa e penetra anche nell’India: in pratica gli Yamnaya sono gli indoeuropei…
Apparentemente da un punto di vista del politicamente corretto la genetica antica è un campo minato e l’autore spreca un capitolo per spiegare tutto quanto non si può dire perché i “geni” del PC si oppongono con argomentazioni anti scientifiche che, infatti, stanno crollando ma contemporaneamente rallentando e causando inutili disagi alla ricerca scientifica.
Ma anche Reich sta bene attento a quello che scrive: in particolare, pur senza mai affermarlo esplicitamente, tende a descrivere queste sovrapposizioni di popolazioni diverse come eventi pacifici e naturali ma appare abbastanza evidente che non sia sempre proprio così. Soprattutto con gli Yamnaya i dati scientifici dimostrano che questi si sono sì fusi con le popolazioni preesistenti ma si è trattato di unioni fra donne locali e uomini Yamnaya: traetene voi le conclusioni su cosa ciò significhi. A onor del vero lo stesso Reich afferma che queste “asimmetrie” genetiche possono indicare anche delle asimmetrie economiche: dove le classi sociali più ricche, quelle dei conquistatori, si possono permettere famiglie più numerose e più donne. Mi sembra che nella sostanza cambi ben poco.
Alla fine una delle conclusioni più importanti di Reich è che i dati scientifici dimostrano che, geneticamente, le differenze fra quelle che comunemente chiamiamo “razze” esistono e sono significative: questo non significa che vi sia un meglio o un peggio ma non ha senso negare l’evidenza. Piuttosto si dovrebbe arrivare a una logica in cui, a fronte di eventuali diversità, devono valere uguali diritti per tutti.
Traduco al volo: «Sarebbe tentante, al sorgere della rivoluzione del genoma, fermarsi in una zona di conforto, invocare la storia di ripetute mescolanze nel passato dell’uomo come la prova che le attuali differenze fra le popolazioni siano ininfluenti. […]
[le “razze” attuali] sono state sufficientemente isolate fra loro da dare un’ampia opportunità per il sorgere di differenze biologiche medie sostanziali. La giusta maniera per rapportarsi con le inevitabili scoperte di significative differenze fra le diverse popolazioni è comprendere come la loro esistenza non dovrebbe cambiare il nostro comportamento. Come società dovremmo stabilire di accordare a tutti uguali diritti indipendentemente dalle differenze che esistono fra gli individui» (*1)
Cosa che a me pare assolutamente logica ma che nel mondo dominato dalla logica del PC suona quasi come una eresia.
Al riguardo copio e incollo un frammento del mio pezzo Frammento #201 e dintorni del 3 novembre 2018:
«[...] di natura sono portato a una certa longanimità verso tutti miei simili ma liquidare la teoria di Nietzsche come razzista [pochi uomini superiori ostacolati dalla miopia della maggioranza di “normali”] equivale a nascondere la testa sotto la sabbia negando l'esistenza di un problema.
Tendenzialmente, non ricordo dove l'ho scritto, sono dell'idea che tutti gli uomini siano diversi ma con uguali diritti: in effetti conciliare il bene comune partendo da queste premesse non è facile. Io credo che la soluzione debba favorire l'uguaglianza anche a costo di una diminuzione di benessere complessivo.»
Ho cercato di trovare il pezzo originale, interamente dedicato a questa mia teoria che gli uomini siano non uguali ma anzi tutti diversi ma che comunque debbano avere gli stessi diritti, ma deve essere del 2011 o 2012 quando usavo superficialmente i marcatori per identificare il contenuto dei diversi pezzi.
Già da questo breve accenno mi pare però evidente come, senza bisogno di analisi del DNA, considerassi le diversità fra gli uomini come un’ovvietà.
Conclusione: ho già scritto abbastanza ma ci sarebbero ancora molti aspetti dei risultati di Reich da approfondire. Per esempio ho trovato affascinante la forza della cultura nel plasmare anche geneticamente la società: nel sistema delle caste indiane era permesso sposarsi solo all’interno di esse. Ebbene si sono sviluppate delle differenze genetiche significative fra queste. Sembrerebbe che bastino un 2000 anni per sviluppare differenze fra diversi gruppi di popolazioni prima omogenei ma tenutisi poi separati fra loro. Ma questo significa che la stragrande maggioranza degli indiani negli ultimi 5000 anni (dall’invasione degli Yamnaya cioè) si è strettamente attenuta al sistema delle caste. A me pare incredibile!
Nota (*1): tratto da “Who we are and how we got here” di David Reich, (E.) Oxford University Press, 2019, pag. 265.
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