L’avevo promesso nei giorni scorsi e quindi oggi ne scrivo.
Seguendo il corso (bellissimo) della professoressa Freeman sulla rivoluzione americana rimasi interdetto da una delle ultime lezioni: non tanto per il contenuto ma per delle allusioni, non solo verbali, che percepii.
L’argomento fu la cosiddetta “Shays’ rebellion” ovvero la ribellione di Shays che avvenne nel Massachussets a cavallo fra il 1786 e il 1787.
Come ho già scritto (v. Obbligazioni e sperequazioni storiche) al termine della guerra gli USA avevano problemi di debiti fatti per mantenere ed equipaggiare l’esercito, contemporaneamente l’embargo inglese non aiutava l’economia a risollevarsi.
Molti fattori si erano così indebitati e, nel clima economico depresso, facevano fatica a ripagare i propri creditori e le tasse. Per questo nei vari stati furono richieste misure di “sollievo” per la popolazione indebitata.
In genere i singoli stati risposero in qualche maniera a questo bisogno ma ci fu una significativa eccezione: il Massachussets.
Qui il governo locale non concesse nessuna misura di sollievo e, anzi, aumentò le tasse per liquidare la propria parte di debito il prima possibile.
C’è anche da sottolineare che la geografia politica dello stato non era uniforme: le città sulla costa erano più ricche grazie al commercio mentre verso l’interno la popolazione era dedita all’agricoltura. Ipotizzo io che le 32 persone che detenevano il 40% delle obbligazioni (v. Obbligazioni e sperequazioni storiche) abitassero tutte sulla costa e che il governatore fosse dalla loro parte: ovviamente questi volevano che il debito pubblico venisse pagato.
Il risultato fu che nell’interno si verificarono varie rivolte armate che poi si riconobbero nella guida di Shays, un veterano della guerra contro l’Inghilterra.
Essenzialmente i rivoltosi volevano misure di “sollievo” analoghe a quelle concesse dagli altri stati della confederazione ma il governatore rispose col pugno duro e, anzi, richiamò la milizia dello stato per reprimere la rivolta con la forza: sfortunatamente per lui però i soldati delle contee interne si rifiutarono di obbedirgli e furono invece i ricchi privati della costa a pagare dei soldati mercenari per proteggere, per esempio, i tribunali dove gli agricoltori insolventi venivano espropriati delle loro terre.
Alla fine anche il Congresso Continentale decise di intervenire ma immediatamente ci si rese conto che non aveva i mezzi per farlo.
In buona sostanza, secondo la Freeman, la rivolta di Shays fu determinante nel cambiare l’opinione di molti padri fondatori sull’importanza di avere un governo centrale forte e capace di intervenire sulle vicende dei singoli stati se necessario.
Questo è più o meno il contenuto della lezione della Freeman: quello che mi colpì furono però tutte le battute e gli ammiccamenti nei riguardi dei rivoltosi i cui motivi, mi pare, erano sostanzialmente ben giustificati. Sempre dalle sue battute mi è parso di capire che gli studenti considerassero i rivoltosi come dei bifolchi che semplicemente non volevano pagare le tasse perché le consideravano troppo alte. Spiegava anzi di non farsi influenzare dalle varie pellicole sulla vicenda ma che, per esempio, i rivoltosi si consideravano un vero e proprio esercito che seguiva, nel suo piccolo, gli ideali della rivoluzione: ma è lei la prima che, dalle espressioni del volto, non sembrava credere veramente alle proprie parole.
Comunque questa era solo una mia sensazione: non avevo né voglia né interesse ad approfondire il fenomeno.
Ovviamente in “Framers’ coup” la ribellione di Shays viene affrontata in maniera estremamente approfondita.
La versione data dalla Freeman è sostanzialmente corretta: semmai è da sottolineare che nelle fila dei ribelli non c’erano solo agricoltori ma anche politici, avvocati e idealisti che credevano nella bontà della loro causa.
La Freeman è anche corretta nel sottolineare come l’episodio fu determinante nello spostare l’opinione dei padri fondatori verso l’idea che un forte stato centrale fosse necessario.
La novità è che queste opinioni si formarono non sulla conoscenza oggettiva dei fatti ma su quanto riportato da delle figure eminenti, ovviamente contigui all'ambiente della costa del Massachussets, che distorsero le rivendicazioni dei rivoltosi facendoli apparire come degli invasati che volevano distruggere quanto costruito, probabilmente ispirati dall’Inghilterra, e che con le loro richieste irresponsabile avrebbero portato tutta l’unione nell’anarchia.
Per esempio anche George Washington si dichiarò allarmato: ricevendo notizie contrastanti ritenne come attendibili quelle dei personaggi eminenti da lui conosciuti personalmente durante la guerra. E così molti altri come lui.
Infine sulla fine della rivolta la Freeman era stata un po’ vaga: i ribelli un po’ si dispersero verso ovest e infine subirono una sconfitta militare nel febbraio del 1787 che pose ufficialmente fine alla rivolta di Shays il quale si rifugiò (fra ammiccamenti e risolini della professoressa) nel Vermont (che all’epoca lottava per l’indipendenza dal New England).
Quello che non disse è che due mesi dopo, nell’aprile del 1787, ci furono le elezioni per lo stato del Massachussets e il governatore che aveva represso la rivolta fu sconfitto dal rivale che invece sosteneva le ragioni dei rivoltosi il quale ottenne il 75% dei voti!
Molte delle misure che i ribelli non erano riusciti a ottenere con le armi le ebbero invece direttamente dalla legge.
L’importanza di queste elezioni è che esse indicano chiaramente quale fosse il volere della maggioranza degli abitanti (vabbè con tutti i “se” dell’epoca) dello stato. Avrebbe quindi dovuto divenire evidente che le rivendicazioni dei ribelli non erano folli ma ben motivate.
Insomma i padri fondatori avrebbero dovuto rendersi conto che l’opinione che si erano fatti della ribellione, basata su informazioni fuorvianti, erano sbagliate.
Ma, si sa, raramente gli uomini ammettono i propri errori. Al contrario le elezioni rafforzarono le preoccupazioni per i pericoli legati alla “troppa democrazia” con il popolo che prende decisioni sbagliate allettato da quelle che i media odierni definirebbero “populismi”. Che follia chiedere meno tasse che arricchiscono pochi e impoveriscono, quando non rovinano, molti! Eppure succede anche nell’Europa di oggi.
Devo dire che le analogie fra UE e la Confederazione Continentale sono molte: gli interessi e le necessità degli stati di un intero continente sono diversi fra loro. È impossibile prendere decisioni che contentino sempre tutti.
Sarebbe necessario che, grazie a questa consapevolezza, i sacrifici fossero ripartiti e/o compensati fra i diversi stati cosa che invece nella UE attuale non avviene e, anzi, ipocritamente gli stati che si avvantaggiano di tutte le decisioni politiche prese rinfacciano a quelli che ne subiscono le conseguenze di non “seguire le regole”…
Eppure, se anche il buon senso non bastasse, la storia ci darebbe tanti avvertimenti utili.
Magari è proprio perché gli USA e l’UK conoscevano bene la storia della Confederazione Continentale che i primi non erano preoccupati e che i secondi sempre tennero un piedi fuori dalla UE…
Conclusione: Non so perché l’atteggiamento della professoressa Freeman mi avesse così colpito: forse perché giudicandola sia molto intelligente che profondamente preparata mi aveva impressionato la sua mancanza di sensibilità su un argomento, la giustizia sociale, che evidentemente sta più a cuore a me che a lei...
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