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lunedì 14 giugno 2021

Troppa democrazia

Ieri sono andato avanti nella lettura di “Framers’ coup”. Solo un paio di pagine ma mi sento obbligato a descrivere ciò che ho imparato perché mi pare molto importante.

Riassumo la situazione: si è da poco conclusa la ribellione di Shays, sconfitta militarmente, ma il nuovo governatore eletto a stragrande maggioranza dalla popolazione ha concesso gli aiuti ai debitori che i rivoltosi chiedevano.
Nei vari stati serpeggiano due tendenze entrambe ritenute pericolose dai “padri fondatori”: la prima è il desiderio di un ritorno alla monarchia vista come garanzia di ordine e legalità; la seconda è l’osservazione che “troppa” democrazia porta a governi che favoriscono eccessivamente la volontà popolare e, così facendo, travalicano vari principi di giustizia.
Su questa questione ho già scritto in Shays e Obbligazioni e sperequazioni storiche: ovviamente dal mio punto di vista parlare di “eccesso di democrazia” è un controsenso, sopra ho però riassunto il punto di vista dei padri fondatori: questi non erano semplicemente degli idealisti molto istruiti, determinati e coraggiosi ma, in genere, erano membri della fascia di popolazione più affluente. George Washington, tanto per fare un nome, aveva la propria piantagione in Virginia con i suoi schiavi.
Questo per dire che probabilmente i padri fondatori erano molto sensibili, anche per interesse personale o magari per gli interessi di amici e conoscenti, alla questione del rimborso delle obbligazioni. I padri fondatori erano sì per la giustizia, la libertà, l’autodeterminazione e simili ma questi valori terminavano dove iniziavano i loro interessi. L’idea di impoverirsi un po’ a favore della maggioranza della popolazioni doveva sembrargli innaturale.

È un’idea recente il ritenere semplicemente concepibile, e non dico fattibile, la volontà dell’uomo comune di vivere meglio, divenire cioè più ricco e meno sfruttato. All’epoca sembrava una volontà di sovvertire l’ordine naturale della società, addirittura un andare contro alla volontà di Dio.
L’ho letto proprio pochi giorni fa in “Lettere filosofiche” di Voltaire: niente… al momento non lo ritrovo… vedrò di aggiungerlo in seguito se ricordo dove l’ho letto di preciso… ricordo però che un nobile affermava chiaramente che la volontà del popolo di vivere meglio era contraria alla Provvidenza: un qualcosa affermato in Inghilterra una cinquantina di anni prima che negli USA ma credo ancora ben indicativo di una mentalità dove veniva considerato naturale e inevitabile che i più lavorassero in cambio di niente o quasi per il benessere di pochi.

Inciso: ho scritto questo pezzo ormai 2-3 giorni fa e nel frattempo ho cercato meglio il frammento che mi interessava riportare non solo in “Lettere filosofiche” ma anche altrove: mi pare però degno di nota evidenziare ancora una volta come funziona la mia memoria e il problema di leggere più libri contemporaneamente. Da una parte suddividere le mie letture mi aiuta (credo) a metabolizzare più informazioni contemporaneamente: talvolta però, come in questo caso, vi possono essere delle sovrapposizioni che mi confondono sulla fonte. Cioè dove ho letto cosa: in generale credo che questa mia caratteristica sia positiva perché equivale a fare completamente mie le idee che trovo più interessanti ma contemporaneamente, come in questo caso, mi impedisce di ritrovare l’origine dell’informazione (cosa che a volte potrebbe essere utile non solo per citazioni ma anche per verificare e/o approfondire).

Modificato 14/6/2021: Imbarazzo… appena pubblicato questo articolo con l’aggiunta/precisazione che avete letto qui sopra mi è venuta l’idea di controllare la lista delle mie epigrafi ed ecco che ho subito trovato la frase che mi interessava:
«Un parlamentare inglese giunse ad affermare che i giornali dei lavoratori “infiammano le passioni e solleticano l’egoismo delle persone contrapponendo la loro condizione attuale a quella a cui dichiarano di aver diritto in futuro, anche se quest’ultima è incompatibile con la natura umana e con le leggi immutabili stabilite dalla provvidenza per regolamentare la società civile”.» (*2)
La frase in questione non è di metà del XVIII secolo come erroneamente pensavo ma dell’inizio del XIX: insomma, non una generazione prima ma una generazione dopo, la ribellione di Shays. Credo che comunque sia molto indicativa di come i ricchi, anche se istruiti e animati da spiriti libertari, dovevano giudicare le rivendicazioni popolari: qualcosa di contrario alla natura umana e allo stesso volere divino.
Il mio imbarazzo è dovuto al fatto che questo passaggio faceva parte di un concetto più ampio che avevo pubblicato pochi giorni fa nel corto Esercizio di comprensione!

Comunque dalle premesse sullodate i padri fondatori iniziarono a sentire l’urgenza di riformare il Congresso Continentale con una costituzione completamente nuova, repubblicana sì ma che non desse troppo potere al popolo e che, all’occorrenza, potesse intervenire sui singoli stati per bocciarne i provvedimenti ritenuti troppo, diremmo oggi, “populisti”.

Di seguito la mia traduzione al volo delle idee di Madison su come raggiungere gli obiettivi precedentemente enunciati:
«Attraverso meccanismi come la lunga durata delle cariche elettive, elezioni indirette, vasti collegi elettorali, una nuova costituzione che poteva rendere il governo federale meno suscettibile alle pressioni popolari di quanto i governi statali avevano dimostrato essere. Il governo federale, se dotato con il potere di veto sulla legislazione dei singoli stati, avrebbe potuto evitare gli abusi di democrazie populiste.» (*1)

Non vi sembra di riconoscere in queste parole dei fantasmi di tendenze non solo recenti ma anche recentissime? Il potere di intromettersi nell’economia delle singoli nazioni della UE non equivale a una sorte di potere di veto che, per inciso, va generalmente contro degli interessi delle popolazioni locali? E le legislature che ultimamente in Italia si protraggono fino alla loro durata massima anche quando il parlamento non è più evidentemente rappresentativo della volontà della popolazione?
La storia si ripete ma manca la conoscenza per accorgersi dei ricorsi storici significativi…

A proposito di memoria: ricordate la proposta di riduzione del numero di parlamentari del M5S?
I parlamentari sono troppi: bisogna diminuirne il numero e che importa se così si ampliano i collegi elettorali diluendo così il potere dei singoli elettori.
Ricordo che un solerte ingegnere, basandosi su uno studio dalle premesse decisamente arbitrarie, di cui pubblicai il collegamento al suo articolo suggerendone la lettura, dimostrava che l’Italia aveva troppi parlamentari e che era quindi giusto ridurli. Presentava anche un grafico in cui erano visualizzati il numero di parlamentari in rapporto alla popolazione: dal gruppone spiccavano due nazioni. L’Italia con più parlamentari per abitanti rispetto alla media e gli USA che, al contrario, ne avevano molti meno.
C’è da dire quindi che, almeno secondo la normalità attuale, i collegi elettorali delle prime legislature americane non erano così ampi considerando che la popolazione (ipotizzo) non raggiungeva i 20 milioni e che donne, nativi, schiavi e poveri non votavano. Da un altro punto di vista è una conferma indiretta a quanto la democrazia attuale sia sempre più distante dal rappresentare la volontà popolare anche solamente per questa ragione strutturale: popolazione troppo numerosa rispetto alla rappresentanza parlamentare.

Conclusione: leggo poche pagine ma spesso sono feconde di nuove idee.

Nota (*1): mia traduzione da “The framers’ coup” di Michael L. Klarman, (E.) Oxford University Press, 2016, pag. 101.
Nota (*2): tratto da “La fabbrica del consenso” di Noam Chomsky e Edward S. Herman, (E.) Il Saggiatore, 2014, trad. Stefano Rini.

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