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domenica 12 novembre 2023

Mi (e vi) tocca Rawls

Non ho molta voglia di scriverne ma ho letto una ventina di pagine (due sottocapitoli di cui uno più lungo del solito) e sto accumulando molto materiale.

Il primo è “La giustificazione dell’obiezione di coscienza”.
Tutto piuttosto ragionevole: l’obiezione è giusta se la guerra è ingiusta (per motivi o per conduzione). Per stabilirne la “giustizia” di deve però avere una sorta di morale fra stati di riferimento.
Rawls ripropone la sua idea dell’assemblea originaria col suo velo di ignoranza: stavolta i suoi membri sarebbero i rappresentanti delle diverse nazioni.
Il problema di fondo è che le nazioni, a differenza degli uomini (e anche qui con molti “se”), non sono tutti uguali. Anche qui i partecipanti possono uscire con un accordo più o meno equilibrato ma c’è il problema che poi, nella realtà, gli stati nettamente più forti degli altri avranno comunque modo di approfittarsi di quelli più deboli.

Il risultato di questo codice fra nazioni secondo Rawls è di nuovo qualcosa di analogo a quanto ha già spiegato: non si può opprimere la libertà delle altre nazioni. Non si deve cioè interferire nelle sue decisioni, nell’autodeterminazione di altre popolazioni. In più vi sarebbe un principio di uguaglianza: tutte le nazioni devono avere pari voce nelle decisioni comuni. Ho usato il condizionale perché questo mi pare il tipico accordo ragionevole in teoria ma che in pratica si rivela utopistico.

Comunque la guerra giusta è sostanzialmente quella di difesa: ma anche in una guerra di difesa vi è uno ius in bello che non deve essere violato.
Scrive Rawls: “Anche in una guerra giusta, certe forme di violenza sono assolutamente inammissibili e, nel caso in cui il diritto di un paese a muovere guerra sia discutibile o incerto, le restrizioni sui mezzi che esso può usare devono essere ancora più severe.”(*1) e poco dopo “Lo scopo della guerra è una pace giusta, e di conseguenza i mezzi impiegati non devono distruggere la possibilità della pace, o incoraggiare a un disprezzo della vita umana che metta a repentaglio la nostra sicurezza e quella dell’umanità.” (*2)

Giudicate voi se, in questa prospettiva, la guerra in Israele sia giusta.

Il capitoletto successivo è intitolato “Il ruolo della disobbedienza civile”.
Anche qui si ripetono con piccole variazioni i concetti già visti: il più importante è che la disobbedienza civile ha senso solo in una società quasi giusta perché alla fine si tratta di un appello della minoranza alla moralità del potere e della maggioranza della popolazione: si presume quindi la buona fede nel resto della società.
A mio avviso non è quindi applicabile in una società dove il potere è ormai corrotto e la maggioranza della popolazione non in grado di valutare correttamente in quanto manipolata da media il cui unico scopo non è più informare ma solo controllare l’unica narrativa dominante.
Inoltre Rawls assume che la giustizia dei tribunali sia indipendente ma essa è invece fortemente influenzata sia dai veleni della politica che dalle bugie dei media: difficile in queste condizioni aspettarsi giustizia dai giudici.
Ribadisce l’autore per l’ennesima volta: “Dobbiamo quindi riconoscere che la disobbedienza civile giustificabile è, di norma, una forma efficace di dissenso soltanto in una società regolata in grado considerevole da un senso di giustizia.” (*3)

Rawls prosegue poi cercando di definire quando sia giusto, o addirittura doveroso, opporsi al potere. Nel bel mezzo di questa analisi fa però un’osservazione non filosofica ma psicologica che mi ha colpito e che, mi pare, sia molto profonda.
“Negare la giustizia a qualcuno significa o non considerarlo come un uguale […] o manifestare la volontà di sfruttare [gli eventi] a nostro vantaggio. In entrambi i casi, l’ingiustizia deliberata invita o alla sottomissione o alla resistenza. La sottomissione stimola il disprezzo di coloro che perpetuano l’ingiustizia e li conferma nelle loro intenzioni mentre la resistenza recide i vincoli di comunità” (*4) (il neretto è mio).

La “stimolazione del disprezzo” è una considerazione psicologica, non filosofica. In questo caso mi sembra però corretta e mi sembra spiegare bene il comportamento delle autorità nei confronti di una popolazione acquiescente e obliosa di fronte alle ingiustizie: raddoppiarne e triplicarne la dose.

Anche la resistenza all’ingiustizia ha delle conseguenze negative (lacera la società) ma nel lungo andare, secondo Rawls, avrebbe comunque un effetto benefico sulla democrazia rendendola anzi migliore.

Alla fine rimane una questione chiave: chi stabilisce quando sia lecito, se non doveroso, ricorrere alla disobbedienza civile che, ricordiamolo, per definizione è illegale?
Scrive Rawls: “Essa [cioè il NON stabilire chi può decidere se e quando effettuare la disobbedienza civile] inviterebbe all’anarchia, perché incoraggia ognuno a decidere per se stesso, e ad abbandonare l’interpretazione pubblica dei principi politici. Si può rispondere che in realtà ciascuno deve prendere le proprie decisioni. Anche se, di norma, gli uomini ricercano consigli e suggerimenti e accettano le imposizioni di coloro che detengono l’autorità, quando ciò sembri loro ragionevole, essi sono pur sempre responsabili delle proprie azioni. Non possiamo spogliarci delle nostre responsabilità e riversarne il peso sugli altri.” (*5)

Questo mi pare il punto più saliente dell’intero capitolo. Forse perché vi trovo una forte conferma di un passaggio che ritengo io stesso “difficile” della mia teoria.
In [E] 18.1, “Diritti e doveri”, descrivo quali dovrebbero essere i limiti della libertà nel nuovo modello di società che propongo arrivando a una difficoltà chiave:
“Come ho appena scritto il principale dovere è quello di obbedire alle leggi ma esso nasconde un potenziale pericolo: cosa dovrebbe fare il cittadino a cui una legge impone di compiere azioni che egli ritiene non semplicemente ingiuste ma inumane?
Io credo che la risposta a questa domanda dovrebbe darla il primo articolo della costituzione, inabrogabile e inemendabile, che dovrebbe esprimere qualcosa di questo genere: «Il cittadino ha il dovere di non obbedire alle leggi o agli ordini inumani».
Ovviamente queste articolo avrebbe due evidenti problemi dato che vi è un sostanziale livello di interpretazione personale:

1. Il cittadino potrebbe abusarne per giustificare il non obbedire a leggi perfettamente legittime.
Questo problema è facilmente superato dal fatto che l’ultima parola sull’applicazione corretta o no del primo articolo costituzionale non sarebbe del cittadino ma del giudice che lo giudica. Questo però non risolve il problema ma lo accolla al giudice.
2. Il giudice, al cittadino che si appella al primo articolo della costituzione, si troverebbe nella difficile situazione di giudicare la morale di una legge ed, eventualmente, affermare che essa non è applicabile perché inumana.

[…]

Ma perché creare tutti questi “problemi” addizionali inserendo nella costituzione un articolo così controverso?
Io credo che sia fondamentale responsabilizzare tutti i cittadini a vigilare sulla correttezza delle leggi: questo articolo glielo imporrebbe come dovere. Se tutti gli altri meccanismi istituzionali dovessero incepparsi e si arrivasse a una sorta di dittatura allora, grazie a questo articolo, la resistenza popolare sarebbe forte: il limite dell’ubbidienza all’autorità, che così spesso ha dimostrato di avere effetti devastanti sul comportamento delle persone, avrebbe una minore influenza perché contrastato dall’autorità della costituzione.” (*6)

Conclusione: ci sarebbe anche una parte sulla scienza e il metodo scientifico che vengono usati da Rawls come esempio di corretto meccanismo di dialogo e confronto. Ovviamente scrive quello che scrivo sempre anch’io: che la scienza non si basa sull’autorità di pochi (“scienziati” che vengono presentati sui media come gli unici detentori delle verità scientifiche) ma sul confronto razionale e oggettivo delle prove ottenute dalle ricerche. Riovviamente colpisce l’abuso che la propaganda nostrana e non solo fa della scienza. Ma come dice Osho la popolazione è ritardata (v. il corto Osho sulla democrazia (*7))...

Nota (*1): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 361.
Nota (*2): ibidem, pag. 362.
Nota (*3): ibidem, pag. 369.
Nota (*4): ibidem, pag. 366.
Nota (*5): ibidem, pag. 370.
Nota (*6): da notare che scrissi queste parole molti mesi fa, molto prima di leggere il parere di Rawls che sembra interpretare fedelmente! io per semplicità parlo di “leggi inumane” mentre Rawls direbbe “leggi che violano la giustizia” ma il senso è il medesimo.
Nota (*7): ne approfitto per aggiungere che Osho, secondo me, non si riferisce agli individui, che singolarmente possono anche essere molto intelligenti, ma all’intelligenza collettiva della massa, molto inferiore alla media dei suoi componenti.

2 commenti:

  1. Mi è saltata la connessione proprio durante la fase di pubblicazione. Il copia&salva preventivo si è rivelato, ancora una volta, assai utile.
    Ripubblico il commento: nel caso la copia precedente Vi fosse arrivata, Vapore Sodo, cestinate pure quella (in questa seconda "copia" ho corretto alcune piccole cose).

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    La guerre (in)giuste non esistono.
    Nel senso questo criterio riguarda società in uno stato civile limitatamente nel tempo (e morale) e nello spazio (culture diverse hanno norme e morali diverse, spesso incompatibili).
    Le guerre sono sangue e merda.

    Il criterio principe nonché obiettivo della guerra, che è espressione, fatto, realtà di un gioco-a-somma-zero è l'efficacia nello sconfiggere il nemico ovvero di far proprie alcune risorse sulle quali il conflitto è a somma zero.

    Il criterio di (in)giustizia è utile come propaganda e per (de)motivare le comunità coinvolte, uno strumento al servizio della guerra, non l'obiettivo.

    Siamo da decenni così lontani da una guerra che abbiamo semplicemente perso la capacità di pensare la guerra e lo facciamo con i modi del tempo civile, di pace (ovvero di non-guerra).
    A questa incapacità contribuì e contribuisce anche la narrazione imposta dai vincitori alla popolazione e ai vinti, qui, in Italia e in Europa.
    La narrazione si fonda sulla giustezza, bontà e superiorità morale dei vinti e sulla ingiustizia, cattiveria, inferiorità morale dei vinti.
    Osservata razionalmente questa è una colossale fregnaccia... ohsp, scusate la caduta di registro.
    Fu proprio la superiorità marziale, bellica, nello sconfiggere il nemico che i vincitori(SUA, URSS, capitalisti e comunisti, talassici) vinsero gli sconfitti (fascisti, nazisti, tellurici) e il loro sistema ideologico e valoriale nel quale l'aspetto marziale era importante se non fondamentale e accusato proprio come fondamento di malvagità.
    Voi brutti e cattivi e malvagi volevate imporre il vostro "impero del male" basato su sopraffazione, guerra, distruzione di massa etc. etc. narrarono e narrano i vincitori che vinsero (e tutt'ora occupano) usando sopraffazione, guerra, distruzione di massa.
    Quindi una colossale contraddizione logica oppure, forse più popolaresco ma anche più efficace, una grande fregnaccia imposta dai vincitori nella loro narrazione lavacervelli.
    Vince chi vince la guerra e si impone, a prescindere da qualsiasi criterio di giustizia.

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  2. Qui di nuovo emerge la vostra tendenza a concentrarsi sulle peculiarità, sulle varie differenze, sulle contingenze piuttosto che astrarre arrivando alla forma distillata di un’unica frase/concetto come fa Rawls concludendo che l’unica guerra giusta è quella che mira a una pace giusta.

    Allora voglio provare a stupirla: ha ragione lei!
    Tutti i suoi esempi e argomenti sono corretti e validi.

    Questo al livello di dettaglio molto concreto a cui analizza i vari esempi che propone. Da notare che la conclusione a cui arriva è un’astrazione che si riduce a un “non ci sono regole” la “guerra è caos”.
    Ora, se mi riesce ritrovare il giusto passaggio, le voglio citare Jung…
    Dopo 9 minuti di ricerca non ho trovato il passaggio che avevo in mente ma uno simile: accontentiamoci!
    “Dovunque sussistano motivi atti a far sì che prevalga il sentimento individuale [Fi, che secondo la mia ipotesi è la vostra funzione dominante] il pensiero [T] e il sentimento [F] […] divengono per forza negativo-critici: ogni cosa è analizzata e ridotta al particolare concreto. La molteplicità caotica di cose singole che ne risulta viene nel migliore dei casi sottoposta a una generica unità universale nella quale traspare, più o meno evidentemente, il carattere di desiderio.” (p.42)

    Che, più o meno, io traduco che il suo tipo psicologico ha la tendenza a concentrarsi sui dettagli perdendo di vista, o magari sminuendo l’importanza, della generalizzazione più astratta.
    È sbagliato? Assolutamente no!
    Come ha scritto lei stesso nei commenti precedenti, in generale, si deve conciliare insieme estroversione e introversione (nelle loro varie declinazioni).
    In questo caso specifico è giusto non limitarsi alle astrazioni più asettiche ma considerare anche il concreto ma, contemporaneamente, non si dovrebbe basarsi solo su quest’ultimo. Occorre una sintesi. Io le proposi una metafora mesi fa su un principio generale di Rawls che lei riteneva troppo astratto per essere utile: io suggerii l’esempio di una persona persa in un territorio impervio, fatto di gole, terreni scoscesi e fitta boscaglia; i principi generali sono come una mappa (non troppo dettagliata!) che ci indica la direzione generica nella quale si dovrebbe andare (per esempio indicando un rifugio sicuro con cibo e acqua) ma poi, la forma specifica del terreno o degli ostacoli che ci si parano davanti (ovvero la concretezza della situazione) ci potrebbero costringere a seguire altri percorsi meno diretti.
    Cosa è più importante in questo caso? L’affidarsi ciecamente alla mappa o seguire percorsi praticabili? Io credo che entrambi i processi siano necessari: si può ipotizzare che senza la mappa il rifugio non sarebbe localizzabile ma anche che, non considerando gli ostacoli del terreno (o la tana di un orso!) si rischierebbe di non raggiungere l’obiettivo e magari di ferirsi nel tentativo.

    Quindi ha ragione lei ma ha ragione anche Rawls!

    Passando dal generico “la guerra giusta mira alla pace giusta” al particolare, per esempio del conflitto israelo-palestinese, mi viene da pensare che se si fosse partiti col piede giusto, trattando con equità e giustizia i palestinesi, per esempio compensandoli più che ampiamente per le terre perse, probabilmente non vi sarebbe stato nessun conflitto.
    Le guerre vinte da Israele, che non si proponevano mai una pace giusta ma ampliamenti territoriali, a cosa ci hanno portato? A una situazione di tensione costante in cui gran parte del mondo islamico ha in odio Israele la cui sopravvivenza si basa essenzialmente sul supporto incondizionato degli USA che, fino ad adesso, hanno potuto imporre la propria volontà agli stati della regione.
    Questo perché Israele non ha seguito questo principio generale di Rawls (secondo me corretto) e ha invece cercato di massimizzare il proprio vantaggio politico/economico da ogni scontro senza preoccuparsi della giustizia per il popolo palestinese.
    Questa miopia israeliana ha portato il paese in una situazione sostanzialmente insicura che oggi, in caso la situazione precipiti, potrebbe portare alla sua distruzione.

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