Come ho già avuto modo di accennare ho iniziato a leggere “Italia fragile” di Prezzolini.
Avevo diverse sue opere in libreria ma ho scelto questa perché l’ha scritta a 94 anni e, immagino, la si possa pensare come una sorta di testamento spirituale: si tratta infatti di una serie di articoli che spaziano su vari argomenti più o meno collegati all’Italia.
Ero molto curioso perché avevo sentito citare spesso Prezzolini e avevo quindi voglia di farmene un’idea diretta. Beh, sono più o meno ai 2/3 del libro e al momento sono profondamente deluso.
Secondo me una buona idea della grandezza di un intellettuale la si può ricavare da quanto le sue idee resistono alla prova del tempo. Flaiano e ancor di più Pasolini mi sono apparsi attualissimi, con intuizioni profonde che diventano pienamente comprensibili solo adesso, dopo oltre 50 anni.
Invece la quasi totalità degli argomenti di Prezzolini mi sono sembrati superati e, spesso, sconfessati dai fatti. Un capitolo sull’informazione fa quasi tenerezza per il suo buon senso superficiale che però già dopo pochi decenni sarà completamente smentiti dalla realtà.
Non ho voglia di ricopiare le sue parole ma in pratica afferma che non è un problema se un giornale viene acquistato da una multinazionale perché se il nuovo editore falsa le notizie allora semplicemente i lettori acquisteranno altri quotidiani: è quindi nell’interesse dell’editore raccontare la realtà nella maniera più oggettiva possibile.
I fatti hanno dimostrato che già da oltre 30 anni le cose non vanno così ma all'esatto contrario. I motivi sono sostanzialmente due: 1. i lettori non sono capaci di rendersi conto se un giornale racconta loro la verità (o almeno una sua umana approssimazione) oppure no (specialmente quando poi tutti i principali media ripetono le stesse cose con soli piccole diversità d’accento); 2. alla multinazionale che possiede un giornale può convenire raccontare il falso, anche al prezzo di perdere credibilità e quindi lettori, in cambio di favori dal potere politico.
In realtà, lo capii dopo poche pagine, Prezzolini nel suo lungo soggiorno negli USA, si è imbevuto della mentalità iper liberista che sarebbe divenuta dominante dagli anni ‘90 in poi (e forse è tutta qui la sua "grandezza"). È alla luce di questi principi che giudica tutto: meglio il privato del pubblico, male la spesa pubblica, il debito dello Stato un disastro, gli scioperi sono ancora peggio, le pensioni sono troppo alte, la sanità pubblica è insostenibile etc.
A questa base ideologica si sovrappone poi una religiosità abbastanza bigotta con venature di razzismo “leggero” (nel senso che neppure se ne rende conto) che oggi sarebbe considerato “pesante”.
Comunque, finalmente, arrivato a circa i 2/3 dell’opera, ho trovato per la prima volta uno spunto interessante e che mi pare profondo.
Il capitolo è sul divorzio e Prezzolini mi pare piuttosto dibattuto: la sua natura religiosa gli dice che il divorzio è sbagliato ma la sua cultura americanizzata lo ha talmente abituato a esso che non se la sente di scriverne contro. Alla fine, per cavarsi d’impaccio, finisce per dare la colpa al matrimonio!
E qui viene l’osservazione che mi è piaciuta: per gran parte della storia umana e in tutte le culture il matrimonio è stato un atto razionale, una specie di affare, un contratto che metteva insieme interessi diversi. Se poi l’amore c’era, o nasceva nel tempo, tanto meglio: ma non era fondamentale.
Anche in passato i matrimoni potevano fallire ma erano basati sulla ragione e sulla comunità d’interessi: adesso invece i matrimoni sono basati sulla passione amorosa che però è di gran lunga meno stabile ed effimera.
Ecco quindi perché, secondo Prezzolini, i matrimoni di oggi sono molto meno solidi che in passato.
Io credo che, al netto di tanti “se” e di varie semplificazioni storiche e sociali, l’intuizione di Prezzolini sia sostanzialmente corretta. L’amore è probabilmente un sentimento che ha lo scopo di cementare la coppia soprattutto dopo la nascita dei figli ma senza compatibilità di carattere, di interessi, di obiettivi, di visione del mondo è una fondamenta fragile.
Conclusione: è possibile che Prezzolini abbia dato il suo meglio negli anni ‘20, magari riuscendo a intuire cosa sarebbe accaduto nei 50 anni successivi ma, se così fosse, credo che avrebbe mantenuto un minimo di questa capacità anche negli anni ‘70 mentre invece così non è.
Comunque mi manca ancora 1/3 a finire il libro: dubito di trovare molte altre idee interessanti ma vedremo…
alla prima stazione
1 ora fa
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