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venerdì 12 giugno 2020

Icone ineffabili

Sto aspettando una telefonata per uscire e andare a riprendere la mia macchina (ne scriverò in un corto a parte, penso) e devo decidere cosa fare. Mi piacerebbe iniziare un corso di videolezioni sulla rivoluzione americana che ho visto su Youtube: la professoressa mi è parsa molto brava (gli americani sono bravi a fare introduzioni che incuriosiscono!) e il suo corso dovrebbe toccare proprio gli elementi che mi stanno a cuore (v. Spunti per Epitome) però, non sapendo bene quanto tempo ho a disposizione, preferisco darmi un compito in cui un’interruzione sia meno fastidiosa.

Per questo ne approfitto per qualche riflessione sparsa su ciò che sto leggendo. Di nuovo sono incerto se scrivere del libro di religione o di quello di sociologia: per alternare un po’ passerò a Storia di Dio di Karen Armstrong.

L’autrice ripercorre l’idea di Dio attraverso i secoli e al punto di vista delle tre grandi religioni monoteiste.
Il capitolo che sto leggendo in questi giorni parla del misticismo, vissuto in maniera estremamente diversa in occidente e in oriente. In occidente era un percorso quasi doloroso, in oriente un’esperienza soave. Curiosamente i mistici greci (diciamo intorno al VI secolo d.C.) avevano riscoperto autonomamente delle pratiche di preghiera molto simili alle tecniche yoga e basate anch’esse sulla respirazione e sulla postura.
Da qui l’autrice ha accennato alle icone, le immagini sacre della chiesa d’oriente. In esse l’artista non mirava al realismo ma cercava di riproporre l’esperienza percettiva dei mistici. Non ricordo le parole esatte dell’autrice (il libro è in bagno!) ma le icone erano per i fedeli “visioni di un sogno”.

Le icone divennero così importanti che presto scoppiò la polemica. L’argomento dei contrari alle icone era più o meno questo: Dio non è rappresentabile quindi le immagini mostrano solo l’aspetto umano di Cristo, ma questo corrisponde a separarne completamente la parte divina come nel nestorianesimo (seconda cui la natura divina e umana di Cristo erano nettamente divise), quindi anche le icone erano “eretiche”.

Inciso: ciò che trovo più divertente della religione sono le sottigliezze delle eresie contrapposte all’ortodossia. Non saprei dire il perché: forse mi diverte lo spreco di intelligenza su questioni che mi sembrano così microscopiche e secondarie…

Questo per dire che a leggere di “eresia” avevo subito (metaforicamente) drizzato le orecchie.
Pensavo che io avrei difeso le icone con il seguente argomento e dimostrazione pratica. Avrei obiettato che anche il linguaggio è limitato eppure lo si usa per discutere della natura di Cristo: il disegno ha limiti ma anche una capacità espressiva diversa rispetto al linguaggio: un’immagine può esprimere concetti sulla natura divina che sfuggono alla lingua scritta.
La dimostrazione sarebbe stata la seguente: al mio avversario iconoclasta avrei fatto descrivere a parole, il più precisamente possibile, un disegno. Leggendo la descrizione dieci artisti avrebbero cercato di realizzare l’immagine originaria. Sono sicuro che, nonostante gli sforzi dell’iconoclasta, le dieci immagini sarebbero venute anche molto diverse le une dalle altre.
Questo, secondo me, avrebbe dimostrato che l’espressività di linguaggio e disegno sono diverse, che entrambi hanno i loro limiti e i loro pregi e che, soprattutto, il disegno, per quanto inadeguatamente, avrebbe potuto, così come la parola scritta, tentare di fornire una rappresentazione del divino.

Nella pagina successiva si accenna alla musica e questa è forse ancora più ineffabile del disegno: provate a descrivere a parole una sinfonia!
È così assurdo pensare che la musica possa esprimere concetti al di là delle possibilità del linguaggio?

Nel frattempo è arrivata la telefonata che aspettavo: adesso devo uscire e ne approfitto quindi per chiudere il pezzo su questa “profonda” domanda…

Conclusione: meglio un lungo corto che un corto lungo.

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