Qualche giorno fa ho terminato di guardare la miniserie coreana “Kingdom”: mi è piaciuta per più motivi!
Per prima cosa è una serie in costume, ambientata in quella che deve essere la Corea medioevale all’inizio del XVII secolo: sbirciando su Wikipedia ho poi riconosciuto il palazzo reale coreano e una nave dell’epoca. Insomma si è prestata molta attenzione ai dettagli storici: ad esempio l’illuminazione, gli abiti, le armi, i cappelli… e poi il rapporto fra le diverse classi sociali dove i nobili sono più simili a dèi e il ruolo della donna è decisamente sottoposto all’uomo.
Interessanti e diversi, più che belli, i paesaggi che però danno l’idea di un paese collinoso non particolarmente ospitale o fecondo.
Colpisce poi, sempre che la ricostruzione sia accurata, la povertà dei contadini che, a occhio e croce, mi pare maggiore di quella presente all’epoca in Europa (*1).
La miniserie è interessante anche perché è un miscuglio di generi diversi, come detto è in costume, ma vi è aggiunto anche il genere degli zombi, dei vampiri e delle pandemie: infatti la trama si basa principalmente su una malattia che trasforma le persone in zombi affamati di carne umana che di giorno cadono in catalessi e si risvegliano esattamente al tramonto...
Secondariamente ci sono degli intrecci politici e romantici. Ah, c’è anche un personaggio che dovrebbe apparire comico ma che mi pare solo un po’ patetico: il particolare umorismo a sfondo sessuale, con la donna ingenua e l’uomo imbranato, non è compatibile col gusto occidentale: oramai siamo abituati a ben altre provocazioni!
Le puntate sono solo sei ma in realtà la storia si interrompe poco prima del climax: insomma sembra più una prima parte che una prima stagione…
Ah, poi mi sono divertito a seguire la miniserie in lingua originale: non ho idea di eventuali collegamenti linguistici ma così, musicalmente, il coreano mi è parso a metà strada fra il cinese e il giapponese. Con “musicalmente” intendo il suono della lingua: il cinese mi pare molto melodioso mentre il giapponese è un furioso abbaiare di secchi comandi. Ecco ho trovato il coreano generalmente piacevole ma con molte parole un po’ dure che ricordavano il giapponese.
Qualche giorno prima (o forse dopo?) sono riuscito a finire di vedere una serie di cartoni animati giapponese: altre volte ci avevo provato ma ero riuscito a guardarne solo poche puntate…
Si tratta di “Highschool of the dead” dove un gruppo di discinte studentesse liceali, coadiuvato da un paio di umbratili, timidi, impacciati, coraggiosi studenti, cerca di sopravvivere alla “tipica” invasione zombi.
La domanda principale che pone questa serie è come sia possibile che i giapponesi siano ancora così ossessionati dalle studentesse in uniforme: cioè intendo, grazie a Internet, qualsiasi genere di porno è a portata di un clic, che senso ha quindi realizzare un cartone animato di genere “soft-soft-soft-porno”?
Ipotesi: ho scritto che “qualsiasi genere di porno” è adesso facilmente raggiungibile tramite Internet ma in realtà non è così: non ci sono porno con studentesse liceali in quanto queste sono spesso minorenni. I protomiti occidentali hanno innalzato una barriera tanto arbitraria quanto insormontabile: la soglia dei 18 anni. È quindi possibile che invece i giapponesi, per cultura tradizionale, siano maggiormente attratti dalle ragazzine?
È ovviamente solo un’ipotesi che però ha il pregio di essere compatibile con quanto lessi mesi fa (v. 80000 pedofile e turisti) ovvero che la maggior parte dei turisti sessuali sono di origine orientale.
Un’altra forte sensazione che ho avuto è che la mentalità giapponese sia cambiata ben poco negli ultimi quarant’anni soprattutto nel rapporto uomo/donna.
In questo cartone infatti le donne, anche quando sono apparentemente forti, in realtà rimangono fragili e delicate, bisognose del sostegno maschile: e lo stereotipo dell’uomo (beh, del ragazzo) giapponese è sempre il solito: introverso, impacciato, timido, forte, sincero, coraggioso (*2). Ma forse, in questo caso, confronto cartoni destinati a un pubblico diverso e quindi non direttamente comparabili fra loro: i cartoni della mia infanzia erano per un pubblico generico di bambini mentre questa serie è per adulti…
E poi è sempre presente il tema dell’ubbidienza (senso dell’onore, etc) agli ordini e all’autorità (*3), ovviamente in perfetto accordo con l’hagakure di Tsunetomo. Ad esempio in una scena a un ufficiale di polizia viene ordinato di tenere libero un ponte a ogni costo e così questi ordina a sua volta ai propri uomini di aprire il fuoco sulla popolazione civile: subito dopo però, per il senso di colpa consapevole di aver compiuto un’ingiustizia, si uccide sparandosi. Cioè non era meglio disobbedire direttamente all’ordine visto che sapeva già che l'ordine ricevuto era sbagliato? Per i giapponesi no.
Ho provato anche a imparare qualche parola di giapponese ma non mi è riuscito: ho riconosciuto solo “arigatò” (grazie), che già conoscevo, e “hay” (sì/obbedisco). In parte il problema è che i sottotitoli italiani sono delle traduzioni assolutamente non letterali e questo rende tutto più complicato…
Conclusione: in realtà volevo concludere con una riflessione sull’importanza del mar Mediterraneo per la comunicazioni e sulla frammentazione dei parapoteri statali per evitare l’effetto di omogeneizzazione e, quindi, lo sviluppo di idee diverse. Insomma il mar Mediterraneo visto nel duplice ruolo di barriera e via di comunicazione. Che c’entra la Corea (o il Giappone)? Questo era il collegamento complesso e sottile che non ho avuto modo di fare (*4)...
Nota (*1): possibili che un secolo di ricchezza proveniente dalle Americhe si fosse parzialmente diffusa a tutta l’Europa?
Nota (*2): tutto sommato sarei un ottimo giapponese!
Nota (*3): tutto sommato sarei un pessimo giapponese!
Nota (*4): suggerimento: mi ha colpito l’estrema raffinatezza/complessità di oggetti diversi ma costruiti tutti con i medesimi materiali. Come se dei mestieri si fossero specializzati moltissimo a scapito di altri invece quasi non esistenti.
sabato 2 febbraio 2019
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