Senza voler scrivere un lungo papiro sintetizzando frettolosamente tutto quanto ho letto in Scienza e democrazia di Maria Luisa Villa, (E.) Guarini e Associati, 2018 (sono al quarto capitolo) riporterò solo alcuni concetti che mi hanno colpito.
L’importanza di Galileo Galilei è fortemente sottovalutata: non si comprende a pieno la novità totale delle sue teorie sulla scienza perché queste sono diventate ormai la nostra norma e, proprio per questo, ci appaiono banali e ovvie. Ma all’inizio del XVII erano assolutamente innovative…
Con bassa priorità voglio prendere l'impegno di leggermi una biografia sul grande scienziato per saperne di più…
I lettori di questo ghiribizzo conoscono bene la mia “antipatia” per i testi universitari di autori italiani con cui ho avuto a che fare e, contemporaneamente, il mio apprezzamento per la chiarezza per i testi di autori anglosassoni: ebbene, nello statuto della Royal Society (1660), uno dei pilastri della cultura scientifica inglese, si pone l’accento sull’uso di un linguaggio piano, in grado di raggiungere ed essere compreso non solo da uomini di scienza ma anche da artigiani e mercanti.
La stessa idea l’aveva avuta Galileo ma, evidentemente, in Italia per motivi diversi non attecchì (*1).
Isaac Newton è stato un prolifico alchimista!
Nel XVIII secolo acquista grande importanza la classificazione del sapore (Linneo, Lavoisier). Nella spiegazione dei motivi vi ho rivisto molte similitudini con quanto scrissi a difesa dei miei neologismi: v. Definizioni.
Mi piace poi la definizione di “scienza” dell’autrice che essenzialmente si riduce alla ricerca del consenso di come il mondo funzioni.
Io, nell’introduzione all’Epitome, spiego che il suo scopo è «...fornire del materiale e un'interpretazione del mondo e della società su cui riflettere. Sarà chi legge a dover poi spigolare dal campo delle mie idee, guidato dal proprio spirito critico, ciò che ritiene giusto e corretto.»
Notate la differenza?
Io non cerco il consenso ma semplicemente propongo agli altri la mia visione: sono infatti consapevole della natura fondamentalmente ascientifica (ad esempio non ci sono dimostrazioni ma solo tesi!) di quanto ho scritto: considero e prevedo di aver fatto numerosi errori. Questo non significa che la mia opera non abbia valore! Semplicemente deve essere presa per ciò che è: un modello (quindi di per sé imperfetto) interpretativo della realtà. E di nuovo, vedete, che la definizione di scienza ritorna!
Ci sarebbero poi innumerevoli altri spunti degni di nota ma rientrano più prettamente nel percorso storico della scienza che, come spiegato, ho intenzione di rielaborare a parte per inserirlo nell’Epitome. Ancora sto trattenendomi dall’affrontare seriamente la problematica perché voglio terminare la lettura di questo libro e avere così il panorama completo, almeno dal punto di vista dell’autrice.
Nota (*1): suppongo soprattutto per il fatto che l’italiano era già una lingua “colta” e per pochi di per sé, basata sul modello toscano, visto che la maggioranza della popolazione usava i vari dialetti della penisola. In queste condizioni di partenza è molto facile che il linguaggio scientifico tendesse a divenire (rimanere) sempre più per pochi. (Per raggiungere artigiani e mercanti la scienza avrebbe dovuta essere contemporaneamente diffusa in veneto, lombardo, siciliano, etc...)
Il post sentenza
44 minuti fa
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