Per scrivere questo pezzo mi ero preparato una paginata di appunti ma adesso ho deciso che non vale la pena costruire un discorso molto articolato, meglio invece andare al sodo.
Qual è lo scopo dell'ingiuria? Io lo definirei come “ferire con le parole”.
In quale stato mentale si verifica l'ingiuria? Variabile ma, in genere in una via di mezzo fra razionalità e istintualità (*1). Il caso che mi interessa discutere è quello dove entrambe le parti abbandonano la calma della normale comunicazione, intesa come scambio di informazioni, e cercano di ferire verbalmente l'altra dicendole espressioni che le causano dolore e quindi rabbia. In genere si tratta di un circolo vizioso che allontana i partecipanti sempre più dalla ragione avvicinandoli invece all'istintualità dello scontro fisico.
Ma se lo scopo di entrambi i litiganti è “ferire con le parole” ha senso limitare l'uso di alcune espressioni?
A me pare un controsenso e, anche se ci fosse una sottile linea di confine fra un'ingiuria e un'altra, è giusto pretendere tale sensibilità da persone che hanno entrambe abbandonato la piena razionalità?
Insisto molto sul fatto che “entrambe” le parti si ingiurino a vicenda perché, nel caso lo faccia solo una, il torto è palesemente dalla parte di quest'ultima.
Se invece entrambi i litiganti si offendono l'un l'altro mi pare ovvio ritenere che ci sia un mutuo accordo a “ferirsi a parole”: chi non vuole essere “ferito a parole” dovrebbe astenersi dall'offendere l'altra parte e, se quest'ultima ingiuria, allora la colpa è interamente sua.
Inoltre la sensibilità alle offese è molto personale: ciò che ferisce una persona potrebbe non significare niente per un'altra, e la gravità di un'offesa non dovrebbe essere proporzionale al male che provoca? Può benissimo darsi che una persona ritenga di aver subito un'offesa gravissima e che qualsiasi altra propria replica sia quindi commisurata a essa e perciò giustificata. Ha senso quindi distinguere a tavolino, ovvero per legge, quali sono le offese più o meno gravi? Secondo me no: la gravità di un'offesa varia da persona a persona, da cultura a cultura e da epoca a epoca.
Diversi anni fa, non mi stupirei se fosse passata una decina d'anni o più, mi colpì un articolo: non ricordo i dettagli ma la sostanza era che, in una lite fra un uomo di colore e una donna italiana, l'uomo “augurò” alla donna che le morisse il figlio e la seconda rispose con un “negro” qualcosa. Il tribunale condannò prontamente la donna per razzismo (*2).
Ecco, per quanto scritto precedentemente, a me in una situazione del genere, dove cioè entrambe le parti hanno mutualmente deciso di “ferirsi verbalmente”, non pare giusto discriminarne una solo perché, nel contesto della lite, usa particolari espressioni arbitrariamente considerate più “gravi” di altre.
Diversa invece la situazione dove frasi ritenute razziste sono espresse nel corso di una normale conversazione, non cioè di una lite. In tal caso potrebbe essere giusto condannare chi le esprime anche se, personalmente, ci andrei con i piedi di piombo per non rischiare di limitare la libertà d'espressione o, magari, d'ironia (*3).
Suppongo che per la legge alcune espressioni, indipendentemente dal contesto in cui vengono dette, non sono considerate normali ingiurie ma qualcosa di diverso e più grave, anche se non mi è chiaro cosa. Quasi quasi voglio provare a interpellare le mie conoscenze esperte di legge per avere il loro parere su quale sia in questo caso la giustificazione morale (*4) dietro alla legge.
Conclusione: se fossi uno squalo d'avvocato proverei a convincere qualche profugo ad arrotondare la misera paghetta giornaliera, in realtà poco più di una mancia, con il seguente stratagemma: convincerei il profugo a inscenare una lite (magari ripresa con i telefonini da complici/testimoni) con un'idrofoba mamma italiana, facendolo insistere molto sull'augurare tutto il male possibile ai suoi figli, nella speranza che questa replichi con insulti razzisti o, ancora meglio, con un'aggressione fisica; in questo caso porterei infatti l'iraconda madre in tribunale e le chiederei un cospicuo risarcimento a favore del profugo offeso. Ovviamente come rapace avvocato mi tratterei i ¾ della somma...
Nota (*1): ci potrebbe essere il caso della persona che, con perfetta lucidità, ingiuria l'altro volutamente per provocarlo. Ma questo caso non ci interesse nel contesto di questo articolo.
Nota (*2): non so perché questo episodio di cronaca mi sia rimasto così impresso: forse perché avevo immaginato cosa sarebbe successo in una situazione analoga con mia madre... l'unica speranza sarebbe stata che lei non avesse avuto con sé nessuna arma perché altrimenti sarebbe stata condannata per omicidio invece che per razzismo!
Nota (*3): che probabilmente non è neppure una libertà anche se per me dovrebbe invece esserlo!
Nota (*4): perché se non ci fosse sarebbe una legge amorale, ovvero tecnica/politica, e per questo potenzialmente (anzi spesso a mio avviso) ingiusta.
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