Come forse qualcuno ricorderà il Manzoni non mi sta troppo simpatico (v., per esempio, W il divorzio o Salgari vs Manzoni) ma, su consiglio di un amico, ho iniziato a leggere “Storia della colonna infame”. Per sicurezza prima ho dato un’occhiata su Wikipedia per capire di cosa si trattava e, alla fine, ho deciso di dare un’altra possibilità al Manzoni!
La trama è basata, mi pare a un primo livello (sono al 31%), su una storia vera: il processo a due untori nella Milano del 1630.
Il processo, e questo è ciò che sta particolarmente a cuore all’autore, usò estensivamente la tortura.
Il Manzoni si chiede quindi come sia possibile che si sia giunti a tanto e, mi pare, tenti un’interpretazione psicosociologica dell’evento.
Un po’ curiosamente, secondo me, l’autore impiega molto spazio per dimostrare che il giudice abusò dei suoi poteri ordinando immediatamente la tortura poiché andò contro i pareri legali che si erano accumulati nei secoli precedenti (viene presentato materiale del 14°, 15° e 16° secolo). Chiaro che il Manzoni vuole evidenziare che il giudice non agì seguendo la procedura penale dell’epoca ma sotto l’influenza di passioni umane. Capisco che sia un punto importante da sottolineare ma mi pare vi sia stato dedicato uno spazio eccessivo: oltretutto questi autori argomentano non contro la tortura di per sé (che sarebbe stato interessante) ma cercano di limitarla il più possibile minimizzando la discrezionalità del giudice sul suo uso e prevedendo indizi fortissimi di colpa. Lo stesso Manzoni ammette che fanno mezzo passo nella direzione giusta ma senza il coraggio di completarlo: secondo lui sono comunque importanti perché sono state prese di posizione propedeutiche all’opera “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria del 1764.
Ripeto, da quello che ho letto (il 31%), ho la sensazione che il Manzoni vada a puntare il dito sulla natura umana, sui suoi limiti e di come l’uomo sia facilmente influenzabile dalla paura e dall’isteria.
Tutto vero e molto attuale: sono evidenti i paralleli sulla gestione “apparentemente isterica” (*1) della pandemia quando la maggioranza della popolazione è stata aizzata volutamente falle autorità contro la minoranza che nutriva dubbi legittimi, poi rivelatesi corretti, sulla sicurezza del vaccino sperimentale.
I limiti dell’uomo sono sempre gli stessi: non sono cambiati fra il 17° e il 21° secolo!
Eppure il Manzoni è riuscito comunque a farmi arrabbiare: sapete perché mi ricordo la data del 1630? Perché qualche giorno fa ho ricontrollato l’anno del processo a Galilei: il 1633.
Ed ecco che si inizia a intuire un elemento culturale fondamentale del quale il Manzoni, almeno fino a quanto letto, tace: l’influenza della Chiesa sull’uso della tortura. Non solo Galilei fu torturato per costringerlo all’abiura delle sue teorie eliocentriche ma non dimentichiamoci i processi alle streghe che proprio nel 17° secolo raggiunsero il loro apice. In Italia non ci furono le stragi della Germania ma, se non erro, proprio nella zona di Como, e quindi in Lombardia, ci furono numerosi casi e relativi roghi.
Il punto è che se in una società religiosa come quella europea del 17° proprio la Chiesa, ovvero la massima autorità morale, usa e abusa della tortura è inevitabile che gli autori coevi non si azzardino a denunciare la bestialità di tale pratica.
Guarda caso è invece nel 18° secolo, il secolo dei “lumi” che la tortura viene finalmente definita inumana: la religione fa un passo indietro e la ragione uno in avanti.
Questo particolare ancora il Manzoni non l’ha sottolineato: e intanto non ha perso l’occasione per un’invocazione alla Provvidenza! («[...] il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla»)
Va bene: questo pezzo mi è un po’ scappato di mano! Prima di arrabbiarmi col Manzoni avevo in mente di proporre una paio di passaggi che mi erano sinceramente piaciuti e, magari, commentarli brevemente. Poi avete visto che piega ha preso la mia esposizione!
Ma veniamo a qualche frase: «Ma quando, nel guardar più attentamente a que' fatti, ci si scopre un'ingiustizia che poteva esser veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche da loro, dell'azioni opposte ai lumi che non solo c'erano al loro tempo, ma che essi medesimi, in circostanze simili, mostraron d'avere, è un sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa»
Qui si riferisce ai giudici: li accusa di non aver dimostrato la ragione che in altre occasioni avevano e aggiunge che questo da una parte è un sollievo (che l’uomo non sia intrinsecamente così cieco) ma dall’altra è una colpa (era nelle loro capacità agire bene).
Si tratta di un limite dell’uomo ben noto: direi un misto fra misconoscenza e dissonanza cognitiva sotto l’effetto della pressione del gruppo e l’effetto gregge.
Curiosità: vediamo come chatGTP mi “traduce” questa stessa frase con parole sue…
Ecco qui: Colonna infame
Insomma: manca l’accenno al sollievo del Manzoni ma soprattutto secondo lui c’è la volontà dei giudici di non seguire la morale (né la normale procedura legale). Secondo me invece solo a un livello superficiale i giudici hanno deciso volontariamente come comportarsi: in realtà erano vittime anche loro dei limiti umani.
In effetti io ho troncato il paragrafo al punto e virgola ma ci sarebbe poi la seguente frase: « e che di tali fatti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori.»
Mi pare di senso un po’ ambiguo: non mi è chiaro a chi si riferisce: ai giudici o ai prigionieri? Il senso cambierebbe totalmente…
Bo, lascio il dilemma ai “manzonologi”!
«Così almeno avvien d'ordinario: che chi vuol mettere in luce una verità contrastata, trovi ne' fautori, come negli avversari, un ostacolo a esporla nella sua forma sincera. È vero che gli resta quella gran massa d'uomini senza partito, senza preoccupazione, senza passione, che non hanno voglia di conoscerla in nessuna forma.»
Il Manzoni si riferisce a chi vorrebbe argomentare contro la tortura e a cui gli scritti dei secoli precedenti, di fondo contro di essa ma che poi almeno parzialmente la giustificano, sono più di impiccio che di aiuto.
Ma qui la frase importante, che esprime con eleganza un concetto generale, è la seconda.
Alla stragrande maggioranza delle persone le questioni morali sono indifferenti: non c’è verso di smuoverle. Io talvolta mi faccio cattivo sangue per una singola frase e ci scrivo un pezzo dove cerco, a fatica, di conciliare logica con indignazione: e poi, temo, ai lettori che iniziano a leggere il pezzo si chiudono gli occhi per la noia e pensano “che palle! oggi scrive di fuffa: questa roba non sto a leggerla!”.
Io credo che all’origine di quest’indifferenza vi sia una carenza psicologica: il non capire che il principio teorico prima o poi, se non contrastato, si rifletterà concretamente sulle loro vite o su quelle dei loro cari. Se il senso di giustizia non smuove queste persone almeno dovrebbe farlo l’egoismo personale, la difesa del proprio bene… invece…
Manzoni avrebbe scritto altre “cose buone” ma non voglio prolungare oltre questo pezzo. Superata la parte noiosa, sui giureconsulti un po’ contro la tortura ma non troppo, spero che vi siano delle ulteriori riflessioni interessanti. Vedremo…
Conclusione: onestamente Manzoni scrive bene: la sua prosa sembra spesso sfiorare la poesia. Da questo punto di vista mi ricorda un po’ il D’Annunzio. Peccato per la fissa sulla Provvidenza.
PS: libro scaricato da Liber Liber...
Nota (*1): “apparentemente isterica” perché, col senno di poi, è evidente (vedi anche i vari messaggi rivelati nei mesi scorsi, fra alti funzionari/tecnici e politici, dove si decide che il pubblico deve essere un po’ spaventato) come vi fossero dietro solo interessi economici.
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