Dopo critiche pubbliche e private alla mia “antipatia” per il capolavoro del Manzoni, “I promessi sposi” (i PS), mi sono deciso a rileggerlo.
Beh, parlare di rilettura non è esatto perché, in realtà, non l'avevo mai letto tutto dall'inizio alla fine: come forse ho accennato nella serie di post scolastici (vedi Carriere scolastica (1/3), Carriere scolastica (2/3) e Carriere scolastica (3/3)) per mia precisa scelta (*1) non ho mai letto nessuno dei libri scolastici assegnati da leggere a casa o studiati in classe (tipo i PS).
Quindi dei PS conoscevo, e più o meno ricordavo, solo le parti più famose: l'agguato dei bravi a Don Abbondio, l'addio ai monti sorgenti dalle acque, la monaca di Monza, etc...
Inoltre, dopo venti e passa anni, mi ero pure dimenticato la trama generale: sapevo che alla fine Lucia e Renzo si sposavano ma non ricordavo le loro vicissitudini. Da questo punta di vista la lettura del libro è stata gradevole perché mi sono chiarito tanti dubbi che nel frattempo mi erano sorti.
Mi pare completamente inutile mettermi a fare una disanima o una critica organica dei PS: ce ne saranno migliaia fatte da esperti e io, nel migliore dei casi, finirei per scrivere cose già note e banalità varie...
Per questo motivo preferisco limitarmi a scrivere qualche riflessione, un po' a casaccio, così come mi vengono.
Prima di tutto, a denti stretti, devo ammettere che i PS sono meglio di come li ricordavo. Rimango però dell'idea che non ci sia motivo di propinarli in dosi così massicce a generazioni e generazioni di studenti italiani. Sì, ci sono delle parti molto belle, quasi liriche, ma si tratta di parti non di capitoli: quando si arriva all'ottocento studiamo il Manzoni per 2/3 settimane ma non di più!
Arrivato alla fine del libro mi sono chiesto “E allora? Che significa?”. In altre parole sono rimasto piuttosto perplesso.
Renzo e Lucia vorrebbero sposarsi ma, a causa della scommessa di Don Rodrigo e della viltà di Don Abbondio, finiscono per separarsi; ognuno va per la sua strada: Renzo finisce in Veneto passando da Milano, Lucia a Monza, poi fra le grinfie dell'Innominato (*2) e infine a casa di Don Ferrante; arriva la guerra e la peste; Renzo e Lucia sopravvivono, Don Rodrigo muore, e loro finalmente si sposano.
Qual è il messaggio? Che i buoni vincono sempre e i cattivi sono sconfitti? No, non è questo: per i protagonisti va in effetti a finire in questa maniera ma l'autore fa chiaramente capire che non è sempre così (nell'ottica del Manzoni questo vale per “questa vita”, poi, nell'aldilà, i buoni verranno premiati e i cattivi puniti...). Prima di far rapire Lucia e ravvedersi quante atrocità aveva commesso impunemente l'Innominato? La peste poi non guarda in faccia nessuno e uccide indiscriminatamente poveri e ricchi, giovani e vecchi ma, soprattutto, buoni e cattivi...
L'unico filo conduttore che sono riuscito a trovarvi è che gli uomini non hanno praticamente nessun controllo sul loro destino: regolarmente tutti i piani dei personaggi, sia dei buoni che dei cattivi, hanno un esito che è quasi l'esatto contrario di quello che si proponevano di ottenere.
Questo ha senso considerato che il Manzoni era vicino al giansenismo (secondo il quale l'uomo da solo non si può salvare ma ha bisogno della Grazia divina: per estensione le vicende degli uomini sono fortemente guidate dalla “Provvidenza” tanto cara all'autore; da Wikipedia: “La dottrina giansenista si poneva in posizioni tendenzialmente eretiche e vicine al protestantesimo, per il fatto che eliminava quasi del tutto il libero arbitrio dell'uomo di fronte alla grazia divina...”) però non mi sembra un concetto molto attuale che meriti di essere inculcato a tutti gli studenti...
Inoltre sono rimasto sorpreso dall'importanza del ruolo di Don Abbondio: nella mia ignoranza pensavo che comparisse solamente all'inizio del romanzo mentre invece primeggia in almeno un altro paio di capitoli (vedi anche il corto Colloquio fra Don Abbondio e cardinale Federigo Borromeo) e ricompare nel finale.
E il grande umorismo manzoniano? La mia teoria è che possa sembrare “grande” solo a chi non abbia molto senso dell'umorismo. Le parti con Don Abbondio fanno sorridere ma, a mio modesto parere, si tratta di un umorismo piuttosto banale: mi pare che il curato manzoniano, quando è alle prese con i potenti, ricordi molto Fantozzi. Poi, certo, i gusti son gusti, ma io preferisco Woody Allen...
Mi sono poi reso conto che probabilmente, gran parte del mio odio verso questo libro, deriva dalle sperticate note del commentatore (io ho l'edizione scolastica del liceo). Per ogni frase vagamente arguta c'è un entusiasmo che dire eccessivo non è poco ma nulla... Anzi a me puzzava molto di ipocrisia. Ancora, per ogni battuta, seppur modesta, c'è un'esaltazione sfrenata “dell'umorismo manzoniano”. Anche adesso, che son ben più tollerante di quando ero ragazzo, la lettura di tutto questo servilismo (*3) critico/ideologico mi ha dato un fortissimo senso di disgusto.
Molto noiosi i capitoli storici: soprattutto quelli sulla peste sembrano non finire mai...
La seconda parte del romanzo mi pare scritta in un italiano molto meno scorrevole della prima.
Mi ha lasciato perplesso anche il grande spazio riservato a personaggi minori o che non hanno seguito nel romanzo: perché dedicare un intero capitolo all'infanzia della monaca di Monza? Non ricordo se lo faccia il Manzoni stesso o il commentatore ma viene spiegato che è “per far capire/rendere plausibile” il commento della monaca. Non credo sia necessario un intero capitolo per rappresentare vividamente la personalità di un personaggio: a volte sono sufficienti pochi paragrafi...
Evidentemente il Manzoni ci ha voluto “infilare”qualche messaggio extra: io sono incerto su quale possa essere questo messaggio ma dubito che contribuisca a rendere scorrevole i PS.
Delle tante massime sparse per il libro solo una mi ha colpito insegnandomi una verità a cui non avevo mai fatto caso.
Si trova nel XXXVIII capitolo dove il marchese che ha ereditato le proprietà di Don Rodrigo invita a pranzo Renzo e Lucia novelli sposi. Non solo: addirittura per un po' li serve a tavola, però dopo lui si ritira e pranza altrove.
Il Manzoni commenta: “... v'ho detto ch'era umile {il marchese}, non già che fosse un portento d'umiltà. N'aveva quanta ne bisogna per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari.”
Bisogna riconoscere il coraggio e l'intraprendenza del Manzoni nel provare tanti nuovi espedienti letterari nel suo romanzo ma credo anche che sarebbe giusto riconoscere che non tutte le ciambelle gli sono riuscite col buco...
Se i miei ricordi di scuola sono corretti mi pare che l'intento del Manzoni fosse quello di promuovere le sue idee tramite un romanzo che fosse appetibile: cioè “indorare la pillola” ovvero cospargere di miele la medicina amara in maniera che anche i bambini la prendessero volentieri. Dove in questa analogia la medicina rappresenta la visione manzoniana della Provvidenza, il dolce sarebbe il romanzo (invece che un saggio o un'altra opera riservata a un pubblico ristretto) e i bambini gli italiani ignoranti.
Il problema è che dopo oltre 150 anni lo zucchero (*4) che addolciva la medicina è diventato melassa: troppo stucchevole per piacere davvero. Solo la scuola italiana, con la sua nota lungimiranza, non pare essersene resa conto...
Nota (*1): Oltretutto, facendolo per principio, non mi abbassavo a copiare dagli amici o a leggere i “bignamini” quindi scrivevo (se ad esempio c'era da farci un tema o una relazione) per sentito dire. Insomma era come schivare le gocce di pioggia durante un acquazzone!
Nota (*2): Che a me faceva tornare sempre in mente Voldermort, il “tu sai chi” di Harry Potter! Risparmio al lettore l'usuale riferimento al “Ramo d'oro” (“tabù sui nomi” stavolta)...
Nota (*3): Mi si potrebbe obiettare “Servilismo verso chi, dato che il Manzoni è morto?”. In effetti è un'ottima obiezione! Il fatto è che, in realtà, in questa profusione smodata di lodi e apprezzamenti io ci vedo una grande ipocrisia: l'idea del commentatore mi pare essere quella di riempire la nicchia del super-entusiasta, iper-favorevole ai PS in maniera da accalappiare tutti quei professori che vedono in questo romanzo un capolavoro assoluto. Insomma non riesco a credere che il commentatore possa essere stato sincero! Altrimenti saremmo a un livello tale che avrebbe annusato con gusto una scoreggia del Manzoni e l'avrebbe definita "un'ironica fragranza sonora"... (leggi il plot di Smug Alert! per cogliere la remota citazione)
Nota (*4): lo so, nell'antichità per indorare la pillola si adoperava il miele e non lo zucchero (che proviene dall'America), ma la melassa, necessaria per la mia analogia, si fa con il secondo!
alla prima stazione
1 ora fa
Considera quanto segue. Che colpa ha la scuola se la letteratura italiana offre i PS e non altro?
RispondiEliminaNon sono abbastanza esperto per dire quali e quante possano essere le alternative ai PS nella letteratura italiana (ovviamente per il XIX secolo). Comunque, se non ci fosse niente di adeguato, allora non facciamo i nazionalisti ad ogni costo e studiamo qualche classico della lingua straniera...
RispondiEliminaA me successe il contrario,perchè al Liceo mi lessi tutti i Promessi Sposi, anche se per programma bastava leggere le parti più famose, e mi piacquero molto.Fui solo stuccato anch'io dal mio professore, un accanito manzoniano, che ci fece riempire un quaderno di note e commenti che incensavano il Manzoni.Per questo all'esame di Stato, quando comparve un tema sul Manzoni, tutti i miei compagni lo svolsero con entusiasmo riportando tutte le lodi e i commenti del nostro professore....peccato che il prof che ci esaminò fosse un accanito antimanzoniano, che si stufò di leggere trenta temi che incensavano tutti alla stessa maniera il Manzoni.Il mio tema su un argomento generale gli parve acqua fresca ed fui premiato con un sette quando per tutte cinque gli anni del Liceo il mio massimo voto in italiano scritto era stato cinque.
RispondiEliminaGrazie per il divertente aneddoto che dimostra come non sempre l'ipocrisia venga premiata e che anzi, a volte, convenga essere fedeli alle proprie idee.
RispondiEliminaPeccato che in genere non sia così...