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lunedì 24 giugno 2024

Serie e pellicole ipnobatiste

Altro pezzo leggero oggi.

Fra i vari canali YouTube che seguo, in primo luogo Asmongold, ce ne sono tre o quattro che parlano di videogiochi e di serie/pellicole televisive.

Inevitabilmente finisco per incuriosirmi e seguire anche le polemiche generate dalle infiltrazioni dell’ideologia ipnobatista (“woke”; v. Sonno della ragione) nelle serie televisive e, più recentemente, nel mondo dei videogiochi.
Trovo le relative polemiche sia divertenti che indicative, soprattutto quelle per i videogiochi perché danno il polso del pensiero giovanile sull’ipnobatismo (“ideologia woke”).

Comunque recentemente l’argomento caldo del momento è la serie Disney “L’accolita” ambientata nell’universo di Guerre Stellari.
Ora non avendo mai avuto la fruizione del canale Disney non ho potuto vedere le varie serie prodotte per Guerre Stellari da quando il marchio è stato acquistato dalla Lucasfilm. Le mie informazioni sono quindi di seconda mano e di parte.
Comunque, da quello che avevo capito, si pensava che il fondo fosse già stato toccato dalle serie precedenti e che non fosse possibile fare peggio: invece “L’accolita” ha dimostrato che era possibilissimo. Il punteggio del pubblico (l’unico che conta) era al 19% in diminuzione, forse adesso al 15%, non sono sicuro…

La reazione della Disney (in senso lato, intendendo quindi anche attori, sceneggiatori, registi e non solo i vertici dell’azienda) si difendono attaccando il pubblico di appassionati definendolo razzista: ovvero che vota negativamente il programma a causa dei “messaggi” della serie che propongono insistentemente tutti gli ideali ipnobatisti. Gli appassionati si difendono dicendo che è invece la serie a essere veramente brutta e mal prodotta.

Io, non avendo visto il programma non posso giudicare, ma tendo a credere agli appassionati. Il motivo è la mia esperienza con “Gli anelli del potere” di Primevideo. Anche qui, già prima di vedere la prima puntata, ero a conoscenza delle polemiche per la nomea di ipnobatismo con cui la serie si presentava.
Sinceramente temevo che avrei vissuto l’esperienza in maniera conflittuale: da una parte felice di immergermi comunque nel mondo fantastico della Terra di Mezzo ma da un’altra sentendomi in colpa per stare “tradendo” la visione originale di Tolkien.
Invece no: trovai la prima puntata estremamente noiosa e priva di fascino e guardai la seconda a velocità accelerata soffermandomi solo sulle parti che mi sembravano più interessanti. Quindi ne abbandonai completamente la visione senza la minima curiosità né rimpianto per la storia di cui non avrei mai saputo la fine.
Mio padre, che non sapeva niente delle polemiche, e che guarda le pellicole del Signore degli Anelli a ripetizione provò anch’egli a guardare “Gli anelli del potere” ma non gli piacque e lasciò perdere.

La posizione di Asmongold è che sarà il mercato a decidere: se queste produzioni non piacciono e saranno dei fallimenti economici allora si tornerà a prodotti migliori non inquinati dal goffo tentativo di inserirvi “messaggi” ideologici.
Come al solito Asmongold è molto sobrio nelle sue analisi ma, a mio avviso, in questo caso sbaglia.
Già da tempo queste produzione a base di ipnobatismo hanno dimostrato di essere scarsamente apprezzate (quando va bene) dal pubblico mentre altre che ne erano libere (vedi la prima stagione di “Reacher” e “Mercoledì”) sono state dei grandi successi.
La Disney sta distruggendo il marchio “Guerre Stellari” e Marvel con i suoi patetici prodotti ma qui non si tratta più di economia ma di ideologia. Ai vertici Disney, e quindi ai suoi maggiori azionisti (fra cui BlackRock), non importa se l’azienda perde milioni se non miliardi: quel che conta è che insista nello spingere il suo “messaggio”. Esattamente come succede per i media tradizionali e la loro propaganda: non importa se vanno in rimessa, le perdite saranno riassorbite altrove, l’importante è che la macchina della propaganda non perda un colpo.
Questa similitudine fra media tradizionali e produzioni cinematografiche sfugge ancora ad Asmongold.

Tornando a queste produzioni Disney ci si potrebbe chiedere: ma perché non fanno sì dei prodotti ripieni di ipnobatismo ma comunque divertenti e capaci di intrattenere il grande pubblico? Io, pur sentendomi un po’ in colpa, avrei guardato gli “Anelli del potere” se fosse stata una serie guardabile. Cosa intendo con “guardabile”? Intendo una trama che non sia piena di buchi, colpi di scena che stupiscono, una storia che intriga, personaggi memorabili, dialoghi significativi, effetti speciali che ricreano l’atmosfera magica di un mondo immaginario…
Invece queste produzioni falliscono su tutti questi fronti e, in più, vi inseriscono i “messaggi” in maniera goffa, troppo evidente, che va a rompere l’immersione nella storia e irrita lo spettatore medio perché il tentativo di condizionarlo è troppo scoperto.

E perché la Disney non sa più produrre, non dico un capolavoro, ma neppure un buon prodotto?
Evidentemente al suo interno si è creato un microcosmo (vedi il concetto di “Microsocietà” in [E] 22.1; “La società nella società”) di persone, all’interno di un altro microcosmo comparabile che è l’ambiente di Hollywood, che la pensano tutte allo stesso modo e che hanno gli stessi valori/principi ormai diversi da quelli della gente comune (vedi il concetto di epomiti “locali” e “assoluti” in [E] 6.2 e 6.3). Un ambiente chiuso in cui, suppongo, conta più l’ideologia che il merito con la conseguenza di abbassare, in una specie di circolo vizioso, la capacità complessiva dell’azienda.
Io credo che produttori/registi/sceneggiatori/attori fossero sinceramente convinti di aver creato un capolavoro per il semplice motivo che hanno perso completamente il contatto con il sentire del grande pubblico e, contemporaneamente, si tratta di produttori/registi/sceneggiatori/attori scelti in base all’ideologia e non alle loro reali qualità e, quindi, complessivamente con capacità ridotte rispetto ai loro colleghi di venti e passa anni fa.

Il bello della mia teoria, intendo quella dell’Epitome, è la sua applicabilità indipendentemente alla scala: intendo che le leggi del potere si applicano sia allo Stato che alla città che all’azienda.
In questo senso credo che la Disney sia in una crisi di decadenza nel significato di [E] 15.1 che la porterà in una parabola di autodistruzione.
Poi ovvio che un’azienda non è uno Stato: qui basterebbe che il vertice venga cambiato dagli azionisti e che si torni a puntare sulla qualità del prodotto invece che sull’ideologia. Al momento questo non avviene perché agli azionisti sta bene perdere denaro che, evidentement3e, compensano guadagnando altrove.

Conclusione: aspetto oramai con impazienza il prossimo prodotto Disney: non per guardarlo ma per divertirmi a seguirne le molteplici stroncature...

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