Ho iniziato a tenere un archivio dove inserire tutte le idee per pezzi che mi passano per la mente: probabilmente ci avevo già provato ma qualcosa non aveva funzionato. Ma visto che ritentare non costa niente…
Lo spunto di oggi è “Errore di non considerare alternative”: in realtà è un argomento più vasto di quanto non sembri.
È una considerazione nata leggendo i commenti su FB ma in realtà il suo ambito è molto più ampio e lo possiamo ritrovare anche, per esempio, in politica o sui media.
È chiaro che, in genere, tutti noi si sia d’accordo con le nostre idee: se crediamo in qualcosa abbiamo dei motivi per farlo. Fin qui niente di male: è normale ragionare così.
Il problema è che spesso ci si convince che solo la nostra idea è corretta e che quindi, chi la pensa diversamente, o è uno stupido o è in malafede. Sfortunatamente le reti sociali, proprio per la loro struttura, incoraggiano questa radicalizzazione del pensiero invece di promuovere una maggiore comunicazione (di questo ho già scritto nel corto Da FB...).
Ma, sostanzialmente, a cosa è dovuta questa cristallizzazione di un unico pensiero?
Quali ne sono le cause?
Io vi vedo almeno due ragioni principali.
La prima è psicologica: il singolo tende a imitare il comportamento della comunità e, in questo caso, dei media. Ormai per i nostri media è diventato tutto nero e bianco, buono o cattivo: non esistono più le vie di mezzo e le sfumature di grigio.
Per esempio, i terroristi sono i supercattivi e gli USA i superbuoni: le voci che la pensano diversamente, non dico in maniera contraria, ma magari solamente in maniera più sfumata dando cioè un minimo di giustificazione ai primi e di colpe ai secondi, non ricevano spazio sui media e, lentamente, la loro opinione viene coperta dalla massa di voci che ripetono “le cose stanno così”.
E questo vale per una miriade di altre situazioni e problematiche: sempre più spesso sembra esserci un’unica voce ufficiale che ripete la medesima verità.
Per chi la pensa diversamente, non importa su cosa, è stato coniato un apposito termine dispregiativo: “negazionista”, colui che non si omologa a una delle molteplici verità ufficiali, non importa quale dato che comunque egli ha sempre torto.
Le sue opinioni, i suoi dubbi, le sue paure, le sue osservazioni, le sue critiche non vengono minimamente prese in considerazione: tutto ciò è considerato pattume che non merita di essere neppure ascoltato.
Questo rifiuto totale crea un muro che in genere divide la popolazioni fra buoni, ovvero tutti coloro che si adeguano all’unica verità ufficiale (e che, se hanno dubbi, se li tengono per sé) e i dissidenti, ovvero i negazionisti, ridotti così a una piccola minoranza che però è resa esasperata e combattiva.
Nel suo piccolo ogni persona tende a imitare questo modo di rapportarsi agli altri e crea tanti piccoli muri intorno a sé: chi sta dall’altra parte, non importa se è un amico da una vita, diviene un nemico perché la ragione è tutta all’interno del nostro castello e chi è al di fuori di esso ci sta assediando.
Ovviamente da questa logica non può venire niente di buono: ognuno ha il proprio castello e quindi finisce per esserci un tutti contro tutti che, alla fine, ha il solo risultato di dividere la società proprio quando dovrebbe essere unita e coesa per superare le difficoltà che stiamo attraversando.
La maggioranza impone la propria volontà in totale dispregio dell’opinione della minoranza: questo è in totale contraddizione con l’ideale di democrazia in cui è sì la maggioranza che, alla fine, ha il dovere di stabilire cosa fare ma sempre però nel rispetto della minoranza. Ripeto: non sto parlando in questo caso solo a livello politico: è un fenomeno che si replica in una moltitudine di scenari all’interno della società.
Recentemente poi è la stessa Scienza a essere brandita come un’arma per ridurre al silenzio chi la pensa diversamente. Il pensiero unico afferma qualcosa del tipo “la Scienza dice che le cose stanno così e, chi la pensa diversamente, è un negazionista che si oppone alla verità scientifica”. E proseguano argomentando che se gli scienziati che studiano un particolare fenomeno dicono che le cose stanno in una certa manera, cosa può saperne un macellaio o un operaio per obiettare? Questi ultimi sono solo dei negazionisti stupidi, arroganti e ignoranti.
Poi però, quando anche i “negazionisti” trovano uno scienziato che la pensa come loro ecco che per i fautori del pensiero unico anche essere esperto di un qualcosa non è più ragione sufficiente per poter dissentire. Lo abbiamo visto, per esempio, sulla questione dei vaccini dove in Italia si è intromesso addirittura il potere politico negando ai medici la possibilità si esprimere i propri dubbi e perplessità.
Eppure basta leggere un qualsiasi libro sulla storia della Scienza per capire che essa non ha certezze: poi ovviamente ci sono le verità scientifiche appurate e verificate da un centinaio e passa di anni ma, quando si affrontano questioni attuali, la Scienza non ha un’unica verità.
Ovviamente ci sarà, per ogni problematica, una maggioranza di scienziati che la pensa in un determinato modo ma ciò non significa che non possa essere una minoranza ad avere ragione. È questa la forza della scienza accorgersi dei propri errori e correggerli quando un esperimento, replicabile da tutti, dimostra che la maggioranza aveva torto. Chiaramente la maggioranza in genere ha ragione ma c’è la consapevolezza che non sempre sia così e tutti gli scienziati sono quindi pronti, con mente aperta, a rivedere le proprie teorie.
Usare quindi la Scienza per dividere fra buoni e cattivi è assurdo: l’opinione della maggioranza degli scienziati su un certo problema è certamente un argomento a proprio favore ma non dà la certezza della verità.
E questo ci porta alla seconda ragione che induce gli individui a cristallizzare la propria opinione.
Si è persa l’abitudine alla scepsi, allo scetticismo buono cioè, quel dubitare non solo degli altri ma anche di se stessi e delle proprie convinzioni. Il sapere di non sapere socratico è dimenticato: al massimo deve valere per gli altri.
Il singolo nel proprio piccolo replica l’arroganza con cui la società non ammette pensieri discordanti o diversi.
In questo caso dovrebbe essere coltivata l’abitudine del singolo a considerare più opzioni: è un qualcosa che dovrebbe partire dalla scuola dove però, proprio il nozionismo che la caratterizza, toglie spazio alle alternative: solo una risposta è corretta e tutte le altre sono errate.
Probabilmente bisognerebbe tornare al “pensiero analogico” e lasciare il “pensiero binario”, quello dell’assolutamente vero contrapposto all’assolutamente falso, al mondo dell’informatica.
Bisognerebbe pensare invece che “le cose stanno sicuramente così” qualcosa del tipo “le cose al 85% stanno così, poi c’è questa possibilità al 10% e altre minori complessivamente al 5%”.
Io, non per vantarmi, ma da sempre ho spontaneamente adottato questo atteggiamento: ricordo che da ragazzo mi costruii uno schema dove annotai la corrispondenza fra le varie locuzioni ipotetiche che usavo e la corrispondente probabilità che sottintendevo!
Quasi quasi provo a cercarlo e, se non lo trovo, magari lo riscriverò ex novo…
Oggi forse su certe problematiche sono più convinto che in passato ma questo perché magari ho letto e, soprattutto, riflettuto molto su un dato argomento. Complessivamente mi pare di aver conservato il salutare scetticismo, anche sulle mie opinioni, che mi caratterizzava.
Probabilmente c’è anche una terza ragione che porta alla cristallizzazione dell’opinione: l'età.
Man mano che si invecchia ci si costruisce un edificio di certezze che diviene sempre più difficile e faticoso modificare. Qualche eccezione c’è: per esempio mio zio Gip aveva una mente apertissima alle nuove idee; per questo era piacevole discorrere con lui: non partiva dall’assunto di avere ragione ma ti ascoltava ed era a sua volta sinceramente pronto a cambiare opinione. Questa è comunicazione costruttiva.
Molti altri, la maggioranza, invece non vuol sentire opinioni diverse dalle proprie: dall’alto della loro “saggezza”, acquisita con anni di esperienza, sanno tutto e non hanno bisogno di ascoltare nessuno.
Un caso intermedio può essere mio padre: quando facciamo una discussione posso anche momentaneamente convincerlo delle mie ragioni e portarlo ad ammettere che su qualcosa si sbagliava, ma pochi giorni dopo si dimentica delle conclusioni a cui era giunto. È come provare a piegare un bambù: appena lo si lascia andare torna nella posizione iniziale. È proprio come se neurologicamente la sua rete mentale non avesse più la capacità di cambiare… (*1)
Conclusione: ho un po’ divagato ma l’idea di associare a ogni nostra “certezza” la probabilità che sia effettivamente corretta mi pare buona: questo dovrebbe portarci automaticamente a considerare anche le alternative. Da parte mia proverò a metterla in pratica.
Nota (*1): casualmente ho trovato su FB questo articolo: «Covid, il negazionismo come la demenza»: la spiegazione di Barbara Gallavotti a DiMartedì da IlMessaggero.it
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