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sabato 23 novembre 2019

Proletariato e democratastenia

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.2 "Westernheim").

Oggi ero tentato di scrivere un pezzo “faceto”: dopo i tanti articoli seriosi e noiosi dei giorni scorsi probabilmente ci sarebbe anche stato bene…
Invece la lettura di Gramsci mi ha dato uno spunto interessante... e poi c’è una curiosa coincidenza.

Parto da quest’ultima: un paio di giorni fa, su FB, un amico di sinistra (uno di quelli che davvero ci capiscono di politica) ha condiviso un meme che più o meno diceva: “la sinistra attuale è troppo concentrata sugli individui e i diritti mentre invece dovrebbe puntare sulla comunità e i doveri”.
In genere sono spesso d’accordo con lui ma in questo caso gli ho scritto che non ero d’accordo né con la premessa né con la conclusione.
Ora io con “sinistra” ho inteso il PD (magari si riferivano più a una generica ideologia, non so) che, come partito sistemico, dal mio punto di vista si rivolge ai parapoteri e mina le libertà e i diritti della democratastenia (non più diritti: solo più obblighi).
La conclusione invece non l’avevo proprio capita: però l’accenno ai doveri mi suonava come “meno libertà” e non mi pare certo che ce ne sia bisogno!

In verità una delle conclusioni della mia Epitome ([E] 7.5) è che per ottenere una società più giusta si deve aumentare la forza della democratastenia, questa sarebbe la popolazione vista in opposizione ai parapoteri ([E] 4.2 e 4.4), e/o diminuire quella dei parapoteri. L’unico modo che prevedo per aumentare la forza della democratastenia è quello di aumentare l’autonomia dei singoli individui, dandogli più diritti e meno obblighi.
Dal mio punto di vista quindi un’ipotetica “sinistra” che volesse stare dalla parte dei più deboli dovrebbe proprio concentrarsi sugli individui aumentandone i diritti.

Ma arriviamo a Gramsci…
Nello scritto 42, “Individualismo e collettivismo”, Gramsci ripercorre a rapidi passi quella che deve essere la prospettiva storica della dottrina marxista. Inizialmente l’aristocrazia domina su tutti, poi con l’aumento della ricchezza la borghesia le strappa il potere e, infine, il proletariato si impone sulla borghesia. Gramsci vede tutti questi passi come consequenziali e quindi inevitabili (*1). Una volta al potere il proletariato si impossessa della ricchezza e capacità produttiva (fabbriche) della borghesia per produrre ricchezza e beni da distribuire a tutti (*2).
Ma come dovrebbe funzionare questo processo: di certo non può essere il singolo proletario a decidere di espropriare qualcosa, questa sarebbe infatti totale anarchia.
Gramsci parla genericamente del bisogno di “organizzazione” del proletariato e, in un caso, accenna a un “sindacato” che agisca in nome del popolo.
Mi pare evidente che Gramsci qui pensi a una qualche sorta di potere delegato che rappresenti il proletariato.
La teoria dell’Epitome ci dice però che un potere delegato è per sua natura un parapotere i cui interessi, in base alle CdRI ([E] 5.8), si differenzieranno da quelli del potere rappresentato (in questo caso il proletariato) e che tenderà a cooperare con gli altri parapoteri ([E] 5.9). Mi si obietterà che in una società comunista non ci sono altri poteri: sbagliato, al massimo saremo nel caso di un unico grande potere egemone sulla soglia dell’implosione ([E] 5.5 e 5.6) in cui i vari “sindacati”, ufficialmente facenti parte dello stesso potere, si alleano e si combattono fra loro, in genere a danno della del potere rappresentato ([E] 5.10).
Può quindi funzionare il modello comunista? Difficilmente: il dare pochissimi diritti all’individuo contando sulla giustizia “dell’organizzazione” (comunque un potere delegato) che pensi e faccia il meglio per tutti è molto rischioso: bisognerebbe assicurarsi, in qualche maniera, che le CdRI non si verificassero a nessun livello…

Mi pare molto più sicuro, semplice ed efficace massimizzare i diritti, ovvero l’autonomia e quindi la forza, dei singoli individui.

Oltretutto c’è un altro problema: la teoria di Gramsci è che: «La ricchezza che ognuno può produrre in misura superiore ai bisogni della vita immediata è della collettività, è patrimonio sociale» (*3). Ma perché allora l’individuo si dovrebbe sforzare di produrre “di più” se poi non ne avrebbe nessun vantaggio diretto? Per Gramsci lo farebbe grazie alla cognizione che solo così si avrebbe una società più giusta: un altruismo generato dalla consapevolezza culturale: «...gli individui [durante la fase storica in cui la borghesia ha il predominio] acquistano le capacità necessarie per produrre indipendentemente da ogni pressione del mondo esteriore, imparando a proprie spese come niente di più reale e di più concreto esiste del dovere della laboriosità, e come il desiderio della sopraffazione, la concorrenza brutale e sfrenata debba, per il bene di tutti, essere sostituita dall’organizzazione, dal metodo, che assegna a tutti un compito specifico da svolgere e a tutti assicura la libertà (*4) e i mezzi di sussistenza.» (*3)
Una bella idea ma molto ingenua: la natura umana non è così altruistica e tende, all’opposto, a spingere l’individuo a fare il meno possibile. Vedere gli esperimenti di psicosociologia riguardo il “social loafing”: Pigrizia sociale su Wikipedis.org

Nel complesso quindi questo aspetto fondamentale del comunismo, come spiegato dalla teoria dell’Epitome, difficilmente può funzionare: 1. da una parte la legge della rappresentatività ci dice che “l’organizzazione” tenderebbe a raggiungere i propri scopi (principalmente conservare e aumentare la propria forza; [E] 5.1 e 5.2) invece che il bene della collettività: ci si potrebbe però opporre a questa tendenza minimizzando le CdRI, ma la vedo dura; 2. d’altra parte la natura umana porterebbe gli individui a produrre il meno possibile in assenza di vantaggi personali diretti a impegnarsi di più.

Eppure la questione della ridistribuzione della ricchezza è fondamentale: stranamente nella mia Epitome non propongo niente al riguardo ma sicuramente lo farò in una delle prossime versioni (le idee le ho già piuttosto chiare).

Conclusione: ciò che emerge dalle considerazioni di questo pezzo è in realtà una riflessione molto profonda. Il comunismo divide la società in alta borghesia (industriali, banchieri, etc) e piccola borghesia da una parte e il proletariato dall’altra. Nella mia teoria abbiamo al posto dell’alta borghesia i parapoteri mentre la piccola borghesia può corrispondere ai poteri medi: la democratastenia equivale però all’intera società con l’esclusione dei soli parapoteri. Questo significa che, nella mia teoria, piccola borghesia e proletari sono dalla stessa parte!
Questo ha, a mio avviso, molto senso ora che con la globalizzazione le multinazionali hanno acquistato dimensioni ciclopiche: col cambiamento di scala della società moderna (globale) e della ricchezza anche l’industriale con un centinaio di dipendenti assomiglia più a un operaio che a uno dei pochi supermiliardari che da soli detengono il 50% della ricchezza mondiale!
Questo punto di vista, come spiegherò chiaramente in un altro pezzo o direttamente nell’Epitome, ha conseguenze nella mia visione di come risolvere il problema della ridistribuzione della ricchezza che infatti, a differenza del comunismo, tutelerebbe le classi medie (evitando così facilmente il problema del social loafing). Ma per queste idee rimando appunto a un’altra occasione!

Nota (*1): per la precisione afferma anche che nella rivoluzione russa si è saltato il passo intermedio (il potere è passato direttamente dallo zar al proletariato) ma che, comunque, questo non è un male.
Nota (*2): questo è il collettivismo e credo sia un po’ l’analogo della “comunità” citata nel meme: la sinistra non dovrebbe concentrarsi sui singoli ma su ampi strati della popolazione, ecco quale doveva essere il senso della seconda parte del meme che non avevo pienamente compreso.
Nota (*3): frammento di “Scritti politici 1” di Antonio Gramsci, tratto dall’omonimo e-book pubblicato su Liber Liber e curato da Paolo Spriano.
Nota (*4): non volevo entrare nei dettagli ma in questo caso non resisto: come si può parlare di libertà per l’individuo quando addirittura è il “sistema” che decide in sua vece quale debba essere il suo ruolo nella società (lavoro)?

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