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giovedì 14 novembre 2019

Il biennio rosso

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.2 "Westernheim").

Corto “tragicamente” allungatosi troppo e che quindi pubblico autonomamente.

Nel pezzo Italiani mala gente non ne ho accennato perché non volevo aggiungere troppa carne al fuoco ma nel video del professor Barbero (Alessandro Barbero racconta la Resistenza italiana pubblicato da “Partito Comunista”) c’è stata anche una domanda dal pubblico sul biennio rosso del 1919-1920 che chiedeva quanto questo potesse aver influito sulla formazione della mentalità “intimamente fascista” degli italiani.
Il biennio rosso è un periodo di circa due anni dove anche in Italia, sull’onda del successo della rivoluzione russa, la salita al potere del socialismo sembrava a portata di mano.
Il professor Barbero conferma che: 1. all’epoca non si sapeva, come oggi, che il fermento si sarebbe tradotto con un nulla di fatto; 2. questo portò la maggioranza “piccola borghese” a prendere fermamente posizione contro tale eventualità (*1) (*2).

Curiosamente proprio ieri sera leggendo l’articolo 26, “I massimalisti russi”, di Gramsci vi avevo aggiunto la nota: “potenza ispiratrice della rivoluzione russa”.
Scrivere annotazioni sul libro elettronico è operazione lentissima e tediosa: per questo sono ultra sintetico. L’entusiasmo di Gramsci, per quanto superficialmente controllato e freddo, è in verità facilmente percepibile: il continuo insistere sui rivoluzionari russi che si alternano alla guida del movimento e che, in questo modo, non perdono energia accontentandosi di quanto già raggiunto né si fermano dà chiaramente l’idea di una valanga inarrestabile.
Non so bene in che anno fu scritto questo articolo, immagino nel 1917, forse nel 1918, ma è facile pensare che questa stessa atmosfera fosse respirata non solo da Gramsci ma, con accenti diversi, dall’intera società italiana.
L’accenno al “biennio rosso” di cui io, come al solito, non sapevo niente (o, meglio, non ricordavo di questo suo picco estremamente limitato temporalmente), mi ha rincuorato sulla mia abilità nell’intuire molto da pochi dettagli: in questo caso avevo immaginato la particolare tensione dell’epoca che, solo molto indirettamente, traspare dalle parole di Gramsci.

Già che ci sono aggiungo anche una riflessione all’articolo 27, “L’orologiaio”, a cui avevo apposto la nota “analogie fra nascita populismo e rivoluzione”:
«Il disagio è l’orologiaio che fa scattare insieme tutte le molle, che imprime un movimento sincrono a tutte le lancette.» (*3)
Che fuori dalla metafora creata da Gramsci significa che è necessario un impulso, il disagio appunto, per smuovere la società e attivarla tutta insieme. Ovviamente Gramsci si riferisce alla rivoluzione ma io vi vedo una grande analogia con l’equivalente democratico della rivoluzione: il populismo. Nel nostro caso ([E] 12, in particolare 12.1 e 12.2) il disagio è quello economico e sociale causato dalla crisi prolungata.

Conclusione: curioso come sto già “macinando” i nuovi concetti suggeritimi da Barbero, vero?

Nota (*1): Barbero non lo ha detto esplicitamente ma mi sembra chiaro che intendesse dire che, paradossalmente, il biennio rosso favorì l’ascesa del fascismo proprio in ottica anti socialista.
Nota (*2): non posso fare a meno di sottolineare l’estrema semplificazione del considerare l’italiano “intimamente fascista”. Con le sue parole il professore afferma che fu necessario il biennio rosso per far schierare da una parte la maggioranza “piccolo borghese”: non è quindi sufficiente, o condizione sine qua non, l’essere proprietari, occorre un “di più”. Per chi ha avuto la “fortuna” di leggere la mia Epitome dovrebbe essere ovvio che cosa sia questo “di più” perché ce lo suggeriscono le leggi del potere: la legge della conservazione ([E] 5.1) stabilisce infatti che nessun potere vuole perdere forza. Nel caso dei piccoli borghesi la loro forza era rappresentata dalla loro proprietà e, quindi, il comunismo togliendoli ciò che era loro, li avrebbe privati della loro forza: da qui l’opposizione al comunismo/socialismo.
Le mie conclusioni sono: 1. non è la proprietà a rendere “intimamente fascisti” ma la minaccia della sua perdita; 2. ma soprattutto, non è “intimamente fascista” reagire alla minaccia di perdere in tutto o in parte la propria forza ma “intimamente umano”: è infatti una legge del potere e, come tale, la si applica a TUTTI i gruppi della società: anche quindi al gruppo del lavoratori o alla democratastenia in senso lato.
Nota (*3): tratto da “Scritti politici 1” di Antonio Gramsci, tratto dall’omonimo e-book pubblicato su Liber Liber e curato da Paolo Spriano.

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