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mercoledì 5 settembre 2018

Al di là di Nietzsche

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.0.0 "Bennata").

Quattro anni fa, nel pezzo FNHM 3, scrissi di quanto ai tempi dell'università mi trovai sorprendentemente bene nel comprendere Al di là del bene e del male di Nietzsche: come se fossi in stretta sintonia con il filosofo tedesco.
A distanza di così tanti anni (circa 25 direi!) avevo il dubbio che la memoria mi ingannasse: che mi fosse solo parso di capire o che avessi capito molto meno di quanto ricordassi. Siccome nei libri ereditati da mio zio è compresa tutta l'opera di Nietzsche, decisi di fare una riprova leggendo un altro testo: scelsi un criterio cronologico e optai quindi per Nascita della tragedia greca.

Inizialmente il testo mi risultò indigesto ma piano piano mi abituai alle lunghe costruzioni dell'autore e, credo, lo capii piuttosto in profondità. Diciamo che fu un successo parziale: non era come se l'avessi scritto io il giorno prima ma, dopo un po', l'iniziai a capire senza troppe difficoltà. Oltretutto in più punti non mi trovai neppure troppo d'accordo: ma dopotutto si tratta di un'opera giovanile e lo stesso autore, in una prefazione aggiunta svariati anni dopo la prima pubblicazione, spiega che alcune sue idee e il suo stesso stile non erano pienamente sviluppati e che adesso (ovvero all'epoca!) l'avrebbe riscritta diversamente.

Qualche giorno fa ho deciso di leggere un altro libro di Nietzsche e, procedendo in ordine cronologico, avevo cercato Umano troppo umano. Evidentemente o tale opera non è presente nella mia libreria oppure è fuori posto: entrambe le ipotesi sono plausibili.
Allora ho deciso di togliermi subito il dubbio e di riprovare a leggere la mia vecchia copia di Al di là del bene e del male di Nietzsche, Grandi Tascabili Economici Newton, 1991, trad. Silvia Bortoli Cappelletto.

Ebbene il “miracolo” si è ripetuto! Leggo questo testo, che non mi pare esprima concetti banali, senza difficoltà.
I capitoli sono divisi in periodi numerati lunghi da un quarto di pagina a, più raramente, poche pagine e quindi scorre bene perché tali sezioni sono delle riflessioni autoconclusive. Per ognuna di essa potrei scriverci un pezzo di commento ma sicuramente prima i miei lettori, e poi io stesso, ci stancheremmo presto di un'analisi troppo minuziosa e approfondita.

Piuttosto ho deciso quindi di concentrarmi su una curiosità che evidenzia bene la sorprendente similarità fra le mie idee e il pensiero di Nietzsche.

Subito all'inizio del primo capitolo Nietzsche spiega che i filosofi hanno sempre ricercato la verità ed è quindi sensato chiedersene il motivo: qual è il valore della verità? ovvero perché si ricerca la verità invece che la non-verità? Perché riteniamo che la verità sia più importante delle apparenze?
La risposta di Nietzsche è che la verità non ha un valore oggettivo superiore all'illusione: è soltanto per la nostra sopravvivenza che il vero ci è più utile del falso.
Scrive Nietzsche: «Che cosa in noi tende propriamente “alla verità”? … … Abbiamo posto il problema del valore di questa volontà [ovvero la volontà di ricercare la verità]. Posto che vogliamo la verità: perché non piuttosto la non verità? E l'incertezza? E addirittura l'ignoranza?».
Nella sezione successiva Nietzsche spiega: «Si può infatti dubitare, … ..., se in generale esistano contrapposizioni [ad esempio verità / non verità], secondariamente, se quelle valutazioni popolari [ad esempio il valore superiore del vero all'apparenza] e contrapposizioni di valori, … …, non siano forse altro che valutazioni pregiudiziali...»
«Malgrado il valore che può essere attribuito al vero, al veritiero, al disinteressato, sarebbe possibile che all'apparenza, alla volontà d'illusione, all'interesse personale e all'avidità si dovesse attribuire un valore superiore e più fondamentale per ogni vita.» (*1)
E, nella terza sezione: «Anche dietro ogni logica e l'apparente dispotismo dei suoi movimenti [si riferisce alle filosofie] stanno giudizi di valore, detto con maggiore chiarezza, esigenze fisiologiche per il mantenimento di un determinato tipo di vita [ogni filosofia è cioè una giustificazione a posteriori dei principi morali del suo autore che vuole giustificare il proprio stile di vita e visione del mondo]. Per esempio, che il determinato abbia più valore dell'indeterminato, che l'apparenza abbia meno valore della “verità”: tali valutazioni, pur con tutta l'importanza normativa che hanno per noi, potrebbero essere tuttavia soltanto delle valutazioni pregiudiziali, un determinato tipo di niaiserie [cioè un “non senso”], quale può essere appunto necessaria per la conservazione di esseri come noi.»

Ma lasciamo adesso Nietzsche per passare a un pezzo che scrissi l'anno scorso, ovviamente totalmente immemore di quanto letto decine di anni prima: L'ironia della non logica.
Ovviamente rinvio alla lettura di tale pezzo ma qui di seguito ne ripropongo i passaggi più rilevanti:
«Ma davvero questa mia fiaba non ha una logica?
E se la logica fosse invece proprio la sua mancanza di logica?
Non sarebbe “logico” pensare che se io scrivo qualcosa di illogico lo faccio volontariamente?
E se c'è una volontà c'è anche uno scopo e, quindi, una logica. Ma qual è la logica dell'assenza di logica?

Devo però anche ammettere che a me l'idea di una storia priva di senso non mi irrita, non mi lascia un fastidioso senso di attesa tradita, com'è successo a mio padre con la mia fiaba, ma anzi mi diverte: mi piace il contrasto fra la cura (che credo traspaia) con cui scelgo le parole e costruisco le frasi e la relativa mancanza di logica. E trovo molto divertente che in un racconto intitolato “le due tazze” si parli di tutto tranne che di queste...
Forse in questa assenza ci percepisco più di quanto non vi sia: ci intravedo delle potenzialità; vi colgo la logica della non logica; la futilità delle aspettative e, forse, della vita; è un'assurdità di cui intuisco un senso nascosto anche se magari sul momento questo mi sfugge...
»

In pratica nel mio pezzo spiego (con esempi concreti) che anche la non logica ha un suo valore. Se sostituite “verità” a “logica” capirete perché la teoria di Nietzsche non mi suoni affatto strana!
E anche la spiegazione di Nietzsche è molto coerente con le mie idee: alla fine partiamo entrambi dai limiti dell'uomo ([E] 1) e dalle illusioni con cui si circonda (che io chiamo protomiti: [E] 2)...

Conclusione: vabbè... non so, magari questa affinità con Nietzsche è solo una mia sensazione... vedremo come andrà nei prossimi capitoli (*2)...

Nota (*1): frase costruita in maniera strana; io la riformulerei così: “Malgrado il valore che può essere attribuito al vero, al veritiero, al disinteressato, sarebbe possibile attribuire un valore superiore e più fondamentale per ogni vita all'apparenza, alla volontà d'illusione, all'interesse personale a all'avidità.”
Nota (*2): in effetti, avevo scritto questo pezzo un paio di giorni fa, ho già incontrato delle sezioni relativamente ostiche: mi chiedo però quanto dipenda dalla traduzione. Mi sto convincendo che la filosofia, analogamente alla poesia, non possa venir tradotta ma vada letta in lingua originale...

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