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L'evidenza quotidiana ci dice che è così. L'esperienza personale me lo ha confermato. La ragione stessa afferma che non potrà mai essere altrimenti.
Anch'io razionalmente lo penso e lo capisco... eppure in fondo al cuore non riesco a capacitarmene.
Credo che questo equivoco nasca dall'incapacità dell'animo romantico di attribuire una dimensione finita ai propri sentimenti: tutto va oltre, è incalcolabile supera ogni ostacolo sia di tempo che di spazio. L'amore ha per il vero romantico una dimensione di infinitezza che lo dilata oltre ogni logica.
Ed è qui che la matematica ci viene in aiuto!
Supponiamo di indicare con la variabile k l'affetto verso una persona: più questo valore è alto più l'altra persona piace, al contrario se tale variabile è negativa significa che non piace.
Si potrebbe ipotizzare che una coppia, per essere dichiarata innamorata, debba avere (k1+k2)/2 maggiore di una certa soglia che indica il confine fra affetto e amore.
Ecco, il problema dell'inguaribile romantico è che percepisce la propria variabile k1 pari a infinito e così la formula (k1+k2)/2 sarà sempre maggiore del valore di soglia anche se k2 fosse fortemente negativo!
Immagino di aver perso nel paragrafo precedente i pochi lettori che avessero tentato di seguirmi nei miei astrusi ragionamenti...
Provo a rimediare usando un celebre verso di Dante per chiarire cosa io intenda:
«Amor, ch'a nullo amato amar perdona»
E in realtà diffido di chi, dall'alto di una presunta saggezza, afferma che non sia così: in questo tempo, in questa vita, forse ha ragione. Ma verrà il giorno, verrà il tempo e rinasceranno gli amanti: questo lo so con certezza.
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