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domenica 4 settembre 2022

Evoluzione docile

Mentre cenavo ho guardato questo video di Barbero: Alessandro Barbero: Perché l'Italia diventò fascista - Racconti di Storia

Barbero spiega che parte dello stile della retorica fascista era già presente nel linguaggio dei generali (e quindi della popolazione in genere) della prima guerra mondiale. Una retorica tronfia, vuota, eccessiva e pomposa: ne vengono letti vari frammenti di discorsi che ricordano da vicino, almeno nei toni, quelli che saranno del fascismo.
Poi, vabbè, il video va a trattare altri argomenti che, seppure interessantissimi, sono irrilevanti per quanto andrò a scrivere.

Quello che mi ha colpito, e che Barbero sottolinea, è la fascinazione degli italiani per questa retorica che solo dopo Caporetto viene messa in dubbio. Ma evidentemente è un ravvedimento momentaneo, l’equivalente dello sbattere la faccia della fantasia contro il muro della realtà, perché pochi anni dopo gli italiani si rifaranno affascinare dalla stessa retorica adesso fascista.

Da qui in poi ho iniziato a pensare con la mia testa e a seguire con solo un orecchio il resto del video.

Un’idea che ho da diversi giorni è che proprio nel DNA degli italiani sia codificata la facile suscettibilità all’influenza della propaganda. Come ho scoperto leggendo “Who we are and how we got here” bastano un migliaio di anni o poco più per modificare geneticamente una popolazione.

Non è poi assurdo pensare che proprio la psicologia evolutiva spinga verso una società i cui membri siano più docili e ubbidienti al potere costituito, ovvero più amanti dell’ordine e delle strutture precostituite e più facilmente influenzabili (indirettamente questa tendenza potrebbe contribuire a una diminuzione dell’intelligenza: v. Evoluzione della stupidità).

Ma perché proprio gli italiani dovrebbero essere più suggestionabili di altre popolazioni?
Beh, se la spinta evolutiva verso l’essere facilmente condizionabili proviene dal vivere in società altamente organizzate, con una netta separazione fra ricchi e poveri e con la capacità dei primi di reprimere i secondi, allora in Italia questo fenomeno è presente da almeno un paio di millenni: tempo sufficiente per causare una specifica pressione evolutiva che favorisca specifici tratti caratteriali.
Lo schiavo che si ribella muore, quello che obbedisce al padrone vive; il servo della gleba che obbedisce vive, quello che si ribella muore. In generale reprimere (uccidere o comunque svantaggiare fortemente) chi si oppone al potere e alle regole della società vigente, in genere perché inorridito dall’ingiustizia che vede e subisce porta, almeno statisticamente, alla selezione di una popolazione più mansueta e acquiescente.

Popolazioni dove la qualità migliore di un singolo individuo sono, per esempio, il valore e il coraggio invece della cieca ubbidienza avranno invece un’evoluzione diversa.
Forse sono proprio le società basate sul denaro e quindi sull’avidità, società che tendono a esaltare l’ingiustizia visto che la ricchezza può essere trasferita fra generazioni andando ad accumularsi, che creano le maggiori diseguaglianze sociali e hanno quindi la maggiore necessità di giustificare la propria strutture: in questo tipo di società il valore dell’ubbidienza e della docilità dell’uomo comune è massima così come la spinta evolutiva a ottenerle.

Se poi la società non è divisa in caste (come in India) queste caratteristiche selezionate nel 99% della popolazione si trasferiscono anche all’1% dei potenti: del resto, in genere, in un regno è proficuo se nessun nobile si ribella al proprio re…
Viene cioè facilitata anche la struttura piramidale della società in cui le varie persone si adattano al proprio ruolo e posizione in essa: non solo vi è la tendenza a obbedire ai propri superiori ma anche quella ma mal tollerare l’indipendenza dei propri sottoposti.
Non posso non ricordare il seguente giudizio di mio zio Gip: “La prima cosa che l’italiano fa del potere è abusarne” che corrisponde cioè a usare il potere che la società gli ha conferito in maniera da selezionare la docilità e l’ubbidienza nei propri sottoposti.

E guardiamo proprio ciò che sta accadendo in Italia (ma anche in molti altri paesi occidentali): il potere politico chi va a colpire e penalizzare? La minoranza coraggiosa che ha avuto il coraggio di ribellarsi alla logica immorale del verdepasso e alla perdita di libertà fondamentali. Queste persone, ammesso che non abbiano perso il lavoro, sicuramente non faranno carriera: e io ipotizzo che mediamente avranno, a causa delle difficoltà ulteriori a cui vanno incontro, meno figli del resto della popolazione.

Mi pare ovvio poi che l’intelligenza, normalmente utile sia al singolo che alla società, sia influenzata da molti altri fattori: in una società altamente competitiva l’intelligenza può essere mantenuta in parallelo alla spinta evolutiva verso caratteri più docili e influenzabili.

Questo potrebbe spiegare (*1) come mai la diminuzione dell’intelligenza media segnalata da varie ricerche sia un fenomeno relativamente recente. Infatti gli italiani, nella mia limitata esperienza di vita all’estero, non mi sembrano più stupidi della media di altre popolazioni, anzi!

Poi ci sarebbe la Cina: un paese dove per millenni vi è stato un precario equilibrio fra popolazione e risorse alimentari. Un paese dove l’obbedienza all’autorità era particolarmente necessaria per la sopravvivenza della società.

Sfortunatamente non ne so abbastanza per giudicare altre società. Nell’India, altro paese con una storia di lunghissima civilizzazione, il sistema delle caste potrebbe aver alterato questo fenomeno in maniere su cui dovrei riflettere.
Va tenuto presente che se questa tendenza all’ubbidienza e alla suggestionabilità è un fattore genetico allora rimescolamenti genetici fra popolazioni diverse potrebbero avere effetti significativi.
L’Egitto, per esempio, ha una storia lunghissima di civiltà che farebbe pensare a una popolazione estremamente mansueta e obbediente ma ho la sensazione che con l’invasione araba vi sia stata una forte sostituzione genetica: ma è solo una mia impressione, magari esistono già ricerche scientifiche che confrontano il DNA antico con quello attuale e che indicano differenze minime!

Conclusione: non so, a me pare una teoria plausibile. Dubito che nel corso della mia vita avrò mai i dati necessari per sciogliere questo dubbio: ricerche genetiche di questo tipo sono fortemente avversate dall’ideologia (antiscientifica) attuale che vuole tutti gli uomini sostanzialmente uguali anche geneticamente. Il libro “Who we are and how we got here” dimostra che non è così, che le diverse etnie hanno differenze significative, ma quello in quello di psicosociologia è scritto esplicitamente che non si devono diffondere queste informazioni (come ho spiegato in altri pezzi l’etica della psicosociologia è particolarmente debole e, per esempio, mette sempre avanti il fine rispetto al mezzo)...

Nota (*1): a mio parere anche fattori ambientali, come l’inquinamento, o culturali o sanitari potrebbero avere una significativa importanza.

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