[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.5.0 "Coronavirus").
Qualche giorno fa ho terminato di leggere “Le origini della democrazia greca” di W. G. Forrest, (E.) Il Saggiatore, 1966, trad. Vincenzo Mantovani.
Un libro particolare: nei saggi moderni gli autori supportano minuziosamente ogni loro affermazione con fonti o citando altre ricerche. È quindi chiarissimo comprendere qual è il pensiero dell’autore e quali sono i fatti più o meno appurati.
Negli anni ‘60 evidentemente non c’era ancora tutta questa attenzione e l’autore scrive a ruota libera le sue teorie su un periodo di circa quattro secoli (dal IX al V secolo a.C.) sul quale, oltretutto, le fonti sono scarsissime. Vado a memoria: Plutarco con le sue “Vite parallele”, in particolare con “Vita di Licurgo” e “Vita di Solone”, Aristotele con “La democrazia ateniese” e opere e/o frammenti di opere di poeti coevi (Esiodo, Archiloco, Euripide, Aristofane, etc..). Poco altro: forse qualche epigrafe archeologica ma non credo ci sia molto di più…
Alla fine la ricostruzione dell’autore è basata al 70% sulla sua fantasia e intuizione: da pochi parole ricostruisce decenni di storia. Tutte le sue ipotesi sono logiche e filano benissimo ma…
...ecco, ora non riesco a ritrovare il commento che annotai a margine (*1), ma a un certo momento mi resi conto di un’anomalia: la ricostruzione dell’autore è troppo logica, una catena di cause ed effetti assolutamente convincente e credibile. Ma la storia invece è sempre piena di imprevisti: il senso alle varie azioni lo danno gli storici a posteriori. Basta confrontare le cronache del tempo della rivoluzione francese (v. per esempio Notti magiche...) con le ricostruzioni ideologizzate dei secoli seguenti…
Ovviamente non posso puntare il dito su nessun aspetto della teoria di Forrest dato che ne so pochissimo sull’argomento: ma il risultato è che ho letto il saggio con estrema diffidenza, come se fosse un romanzo storico, piacevole e interessante ma dei cui dettagli è bene essere scettici.
Oltretutto la costruzione del libro è squilibrata: chiaramente l’autore è interessato ai secoli “bui” della Grecia, ai secoli successivi all’invasione dei dori e alla relativa evoluzione della società.
Per questo motivo metà del saggio è dedicata alla storia di Sparta e Corinto che niente o quasi hanno a che vedere poi con la nascita democrazia greca.
Di nuovo il VII e VI secolo di Atene sono trattati approfonditamente ma il V, dove la democrazia si concretizza, è piuttosto frettoloso e superficiale.
La mia sensazione è che l’autore avrebbe voluto scrivere un’opera sui secoli dal IX al VI a.C. della Grecia ma che, forse, l’editore gli abbia imposto un tema più “vendibile”. Ovviamente è solo una mia ipotesi…
Siccome adesso questo libro è considerato un classico sarebbe interessante verificare com’è giudicato dai contemporanei: magari farò poi una ricerca su Wikipedia per togliermi la curiosità…
Comunque vediamo di ricostruire i vari passaggi che portarono alla democrazia ateniese.
XII-IX a.C. - Il punto di partenza è la società greca (in realtà ogni città era un mondo a sé stante) nei secoli successivi all’invasione dei dori della penisola. Ovviamente abbiamo pochissimi dati al riguardo: la scrittura arriverà solo qualche secolo dopo dall’oriente. Per esempio una “fonte” che mi ero dimenticato di ricordare è Omero che nell’Iliade nomina la “fratria”: quella che secondo l’autore è l’unità fondamentale della società. Si tratta di una piramide, una specie di grande famiglia, al cui vertice vi è un nobile e sotto di lui vari strati di popolazione che gli devono vincoli di obbedienza in cambio della sua protezione. Addirittura la fratria fa parte del nome di una persona, la caratterizza e contraddistingue.
Tutto il potere appartiene ai nobili e i popolani non valgono niente: indicativo è di nuovo Omero dove quando Odisseo, a un’assemblea dell’esercito greco, vede un semplice soldato che cerca di prendere la parola per dire la sua lo riprende dicendogli: «“Tu, là” disse, “sta’ seduto e aspetta gli ordini dei superiori, tu che non sei un guerriero ma una scartina, tu che non conti nulla né in battaglia né nella discussione.”»
Infatti in battaglia andavano principalmente i nobili (a cavallo) mentre il popolo poteva partecipare, armato solo alla bell’e meglio, magari con attrezzi agricoli (o a tirare sassi!) e senza avere nessuna preparazione militare. Gli aristocratici non solo combattevano ma avevano anche funzioni pubbliche (per esempio giudiziarie).
I dori si fondono poi con le popolazioni autoctone con la possibile eccezione di Sparta che mantiene una netta separazione con gli iloti.
Nella fase successiva entra in gioco anche la particolare conformazione geografica della Grecia che offriva scarse risorse per il sostentamento alimentare della popolazione (con l’eccezione di Sparta che controllava delle fertili pianure nel Peloponneso).
Si creano quindi colonie sulle sponde del mediterraneo e vi è una grande crescita economica dovuta al commercio dei vasi (inizialmente quelli di Corinto che però poi vengono superati da quelli ateniesi) e dell’olio di oliva. La nobiltà, più legata al controllo del territorio, beneficia relativamente meno della crescita economica mentre invece si sviluppano nuove classi sociali: i mercanti/marinai e gli artigiani (con magari decine di operai alle proprie dipendenze). Questi iniziano a essere in grado di permettersi un’armatura e diventano opliti, fanteria pesante cioè (VIII-VII secolo a.C.). L’uomo comune non è più indifferente sul campo di battaglia, anzi.
La crescita economica pone la ricchezza in concorrenza con la nobiltà anche se occorreranno ancora secoli per vederne gli effetti.
Secondo l’autore le colonie non portano solo ricchezza economica ma anche idee: oltre all’astronomia e alla scrittura arrivano anche nuove suggestioni (protomiti) e in particolare che la prosperità sociale è possibile anche attraverso diversi sistemi sociali. Forrest sottolinea l’importanza della consapevolezza di possibile alternative (*2).
Alla fine dell’VIII secolo c’è una grande guerra che coinvolge tutte le città greche, l’autore ipotizza che fu dovuta a motivi economici e che fu scatenata dall’instabilità in Anatolia portata dall’assiro Sargon II (guerra contro la Frigia e relativa pressione sulle colonie greche).
Di questa guerra sappiamo pochissimo ma Forrest la considera importante per lo sviluppo della cultura greca: io vi vedo un’applicazione della legge dell’evoluzione e omogeneizzazione ([E] 5.13 e 5.14). In questa guerra si sviluppa l’idea del soldato oplita che caratterizzerà l’esercito greco nei secoli seguenti.
Saltiamo Corinto e Sparta e passiamo direttamente ad Atene con un’unica precisazione: l’autore sottolinea l’importanza dell’esempio della costituzione spartana ideata da Licurgo, non tanto per la sua forma ma per la sua esistenza in se stessa: l’idea di una legge scritta è fondamentale per evitare l’arbitrio del giudice che la deve applicare (e quindi è condizione necessaria per la democrazia). E di nuovo è importante anche solo l’idea che un qualcosa del genere possa esistere.
Pensiamo, per esempio, anche a quanto sia fondamentale anche nel mondo attuale l’esempio di nazioni vicine: quanto volte sentiamo dire “in Francia (o Germania o Svezia, etc) hanno fatto così, perché non facciamo anche noi lo stesso?” (*3).
Da questo punto di vista la costituzione di Licurgo potrebbe aver ispirato Solone non nei dettagli delle sue leggi ma proprio nella creazione di essa.
Nell’ultimo quarto del VII secolo a.C. Atene è governata da un’aristocrazia i cui membri sono chiamati gli Eupatridi, ovvero i “nati bene”. La principale istituzione esistente era l’Areopago di cui solo gli Eupatridi potevano far parte e la cui autorità era completa.
È in questi anni che il giovane nobile Cilone, col sostegno di Megara e dell’oracolo di Delfi (*4), cerca di impadronirsi del potere e divenire tiranno (*5) di Atene. La rivolta fallisce e Cilone viene ucciso nonostante avesse avuto la promessa di aver salva la vita.
Qui l’autore va a naso: ipotizza che nella società ci fosse del malcontento ma che ancora i tempi non fossero maturi per un cambiamento sociale. Sta di fatto che circa 10 anni dopo, nel 620 a.C. si hanno le famose leggi di Dracone.
La mia ipotesi è che nella società greca la nuova “classe media” iniziasse a essere insofferente per i probabili abusi della nobiltà che, lo ricordo, erano anche giudici. Mi immagino che a livello politico nell’aristocrazia, nella consueta lotta fra parapoteri, vi fosse chi cercasse l’appoggio anche dei nuovi ricchi che, lo ricordo, iniziavano ad avere un significativo peso militare in quanto opliti.
Questa probabilmente era la tendenza sociale: cresceva l’importanza militare ed economica dei cittadini non nobili e, per questo, come qualsiasi potere, aspiravano a un riconoscimento della propria forza.
Una generazione dopo le leggi di Dracone viene eletto arconte Solone che, nel 594 a.C. avvia un’importante riforma sociale.
La fonte principale è Plutarco (v. Quel solone di Solone) che pone l’accento sul liberare i poveri dal pericolo di divenire schiavi. Non per niente nell’Epitome cito questo passo di Plutarco riferito a Solone: «Particolarità di Solone fu il cancellamento de' debiti, col quale stabilì a' cittadini la libertà: che non giovano le leggi promettenti l'agguaglianza fra' cittadini, qualora non possano i poveri a cagione de' debiti goderne: anzi ove mostra che usino più libertà, cioè ne' giudizi, là sono più servi, venendo forzati a obbedire e prestare l'opera loro a' ricchi lor creditori.»
Come al solito Forrest è costretto a ipotizzare i dettagli: immagina che il mancato pagamento dell’affitto di un podere (appartenente a un nobile) potesse portare a varie forme di schiavitù. Fenomeno comune nell’antichità (*6).
L’autore scrive una decina di pagine ipotizzando quali fossero i motivi della riforma di Solone: dopo varie congetture esclude che ci fosse del malcontento dovuto a un aumento della povertà e della fame e, anzi, concorda con l’opinione di Aristotele (ne “La democrazia ateniese”) che ci fosse malcontento verso i ricchi (cioè i nobili) che potevano abusare del proprio potere.
Mi immagino che la fazione politica (non entro nei dettagli ma secondo Forrest vi erano tre fazioni) che sosteneva Solone cercasse l’appoggio del “popolo” che, è bene ricordarlo, iniziava ad avere un’importante peso militare.
Alla fine emerge la figura di un Solone “pacificatore” che fa delle riforme che cercano di contentare un po’ tutti ma completamente nessuno: insomma la tipica riforma equilibrata.
La novità politica più importante è che le cariche pubbliche non sono più riservate ai nobili ma sono aperte in base al censo: ovvio che gli aristocratici all’epoca dovessero mantenere la maggioranza delle cariche pubbliche ma è altrettanto ovvia la diminuzione del loro potere non avendone più l’esclusiva.
All’areopago potevano poi accedere coloro che avevano ricoperto una carica pubblica e quindi, per forza di cose, inizialmente rimase esclusivamente composto da aristocratici.
Solone controbilancia però il potere dell’areopago facendo in modo che l’arconte e altri importanti magistrati fossero eletti fra 40 candidati estratti a sorte fra gli aventi diritto (e quindi in base al censo).
Oltre a questo Solone istituì anche un nuovo Consiglio composto da 400 membri (100 per tribù) precursore del Consiglio dei 500 del V secolo. Le funzioni di questa assemblea non sono chiare: probabilmente inizialmente doveva solo prendere atto delle decisioni dell’areopago ma nel corso dei due secoli seguenti il suo potere crebbe sempre più.
Personalmente ho notato che la storia è fatta da tendenze, di per sé quasi inarrestabili, che però a volte vengono influenzate da singoli eventi (tipo una sconfitta militare) o individui. Solone è a mio parere uno di questi individui che non si limitano a seguire la storia, vivendo il proprio tempo, ma in questo caso l’anticipano: ne percepiscono le tendenze e agiscono con una visione politica nel lungo termine. Solone si era reso conto delle novità sociali e aveva riorganizzato la società in maniera tale da adattarsi a esse. Probabilmente senza Solone il potere dei nobili non sarebbe diminuito così rapidamente ma la lungimiranza del grande legislatore portò poi in effetti alla supremazia di Atene sulla Grecia e, culturalmente, sull’intero mondo antico.
Chissà: forse senza Solone, e quindi senza un'Atene forte, la Persia avrebbe conquistato la Grecia e oggi il mondo sarebbe totalmente diverso…
Nel 582 a.C. un eupatride, Damasia, è eletto arconte e tenta di divenire tiranno della città rimanendo in carica più del previsto ma viene espulso con la forza.
Come al solito non abbiamo abbastanza dettagli e siamo costretti a fare ipotesi: l’autore conclude che parte dell’aristocrazia (*7), ovviamente contraria alle riforme, tenta di riprendere il potere ma, evidentemente, non ha la forza per imporre un ritorno al passato.
Aristotele afferma che dopo la cacciata di Damasia fu stabilito di scegliere 10 arconti: 5 fra gli eupatridi, 3 fra i “contadini” e 2 fra gli “artigiani”. Cosa intendesse Aristotele con "contadini" e "artigiani" non è chiaro ma dall’accordo emerge evidente il nuovo rapporto di forza nella società ateniese del 580 a.C.: 50% aristocrazia e 50% resto della popolazione.
Nelle pagine seguenti Forrest si domanda quanto veramente volesse essere democratico Solone: come al solito in assenza di informazioni certe si può solo fare ipotesi. Alla fine mi pare di capire che secondo l’autore la democrazia nasca per caso: sia cioè un qualcosa al di là delle previsioni di Solone: credo sia verosimile.
La mia personale sensazione è che Solone, oltre che intelligente, fosse anche molto pratico: capì che una società organizzata diversamente sarebbe stata di beneficio per tutti ma non credo che prevedesse né che si auspicasse un declino della nobiltà nel lungo periodo.
L’autore per esempio specula sull’importanza del consiglio cittadino voluto da Solone: inizialmente i suoi poteri sono scarsi se non nulli ma intanto la familiarità del popolo con questa istituzione genera sicurezza e consapevolezza; in seguito la responsabilità produce fiducia nelle proprie capacità. E così via: ecco che il consiglio cittadino, nel corso dei decenni, rende i suoi membri più consci di sé, consapevoli delle proprie capacità e mezzi. Lentamente si arriverà a un punto in cui la popolazione voglia di più: più controllo, e quindi potere, sul futuro della città.
Ma ormai questo pezzo (scritto in ben tre sessioni!) è diventato anche troppo lungo: magari concluderò l’argomento della nascita della democrazia in un prossimo pezzo; oltretutto ci sarebbero le solite curiosità e riflessioni varie che mi sono appuntato a margine del libro…
Conclusione: la nascita della democrazia ateniese è sicuramente un problema stimolante e non privo di fascino. L’autore fa uno sforzo coraggioso per interpretare e mettere in ordine i pochi dati disponibili e, complessivamente, mi pare faccia un buon lavoro. Chiaro che tutto quello che afferma, per sua stessa ammissione, non può essere preso per oro colato...
Nota (*1): e che sarebbe stato utile per verificare dopo quante pagine ebbi la seguente intuizione.
Nota (*2): concetto che, non per vantarmi, permea gran parte della mia Epitome e che evidenzio nel capitolo 6.
Nota (*3): ho la sensazione che l’uomo sia molto più abile a copiare gli altri che a creare idee proprie e credere in esse tanto da realizzarle.
Nota (*4): periodicamente continuo a stupirmi dell’importanza dell’oracolo di Delfi nella storia greca. A Corinto, circa 50 anni prima, Cipselo era divenuto tiranno della città anche grazie all’appoggio dell’oracolo.
Nota (*5): ancora il termine “tiranno” non ha una connotazione nettamente negativa: indica semplicemente un nobile che prende il potere con la forza.
Nota (*6): Forrest cita un passaggio della Genesi ma basta pensare alla preghiera del “Padre Nostro” nel passaggio che recita “...rimetti [ovvero “condona”] a noi i nostri debiti...”
Nota (*7): Solo “parte dell’aristocrazia” perché va ricordato che anche Solone era appoggiato da una fazione degli eupatridi. Probabilmente il fronte dei nobili non era quindi schierato in maniera compatta dietro a Damasia.
giovedì 26 marzo 2020
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