E così i giorni passavano allegri e sereni e all’improvviso fu estate.
Mentre Strabuccino lavorava ogni giorni dal suo albero la bella Stramele se ne era andata in vacanza al mare dove il marito possedeva poche stanze, niente di che: un piccolo appartamento su una palma che però aveva il pregio di essere sulla passeggiata lungo mare…
Un giorno Strabuccino roso dalla voglia di riabbracciare per qualche ora la sua mogliettina decise di farle una sorpresa e di andarla a trovare. Usci presto dal suo ufficio per poter prendere la diligenza delle 17:00 e arrivare dalla moglie prima di sera. Quindi passò alla Lidl per comprare una cena da consumare insieme alla moglie. Prese le solite cosucce: caviale, formaggio roquefort, salmone bianco, una bottiglia di vodka e del delicato e croccante pane bianco francese; per sé invece due salsicce.
Stanco ma felice finalmente arrivò alla sua palma: ad accoglierlo però non trovo la sua Saltabecca ma l’anziana e fidata domestica filippina Cyncia che, dopo averlo salutato con un cenno, gli disse: «Badrona non essere in casa ma tornare bresto: lei intanto si accomodi bure, brego...»
E lo condusse nel salottino dove, con suo stupore trovò due uomini bruni e barbuti e un terzo, il biondo Telaimbrattio. Il pittore però non lo riconobbe e anzi gli chiese: «Che cosa desiderate? Cercate Saltabecca? Aspettate un momento, verrà subito.»
Uno degli uomini bruni fu più educato e, vedendo Strabuccino stanco e con le tipiche occhiaie che il suo lavoro gli procurava, si versò del tè dal samovar e gli domandò: «Forse volete anche voi del tè?»
Strabuccino aveva fame e sete ma decise di non prendere niente per gustarsi poi più pienamente la cena insieme alla moglie.
Stramele arrivò poco dopo e, vedendo il marito, con uno strilletto di gioia, subito corse ad abbracciarlo, baciarlo e laccarlo lascivamente con la sua lunga lingua: l’infilava dalla scollatura della scamicia e la spingeva giù giù, arrivando alla peluria del petto fino a sfiorare l’ascella, poi risaliva sotto il mento, passava sopra il naso, gli umettava gli occhi e, infine, si tuffava dentro un orecchio. E tutto questo in un unico fluido e affettuoso movimento.
«Ma che bella sorpresa mi hai fatto mio amatissimo! Deve essere il destino ad averti ispirato questa visita! Devi sapere che domani un cassiere della Coop, un poveretto, si sposa: e noi turisti ci siamo messi d’accordo per allietare le sue squallide nozze. Saremo una cornice di colore e allegria che gli renderà la giornata indimenticabile! Il problema è che però io non ho niente da mettermi: non posso mica andarci con questi stracci, no? Tu mi devi salvare: torna a casa e prendi nel guardaroba il mio vestito rosa, è il primo che trovi appeso. Poi nell’armadio in basso ci sono due scatole di cartone: nella seconda ci sono le borsette: tu cerca quella verde e quella con i fiori e portamele entrambe, sceglierò poi...»
«D’accordo: domani mattina andrò a prenderti queste cose...»
«Ma allora maritino mio bello non hai capito un cazzettino? Il matrimonio è domani mattina: devi partire subito altrimenti non farai in tempo: anzi, se necessario, spediscimi il tutto con un corriere!»
«Va bene amore mio, parto subito...» disse tristemente Strabuccino.
«Ah, sapessi come mi rincresce lasciarti andare via… Ma, aspetta piccioncino mio!»
«Sì?» - chiese Strabuccino speranzosamente.
«Lascia qui la cenetta che hai portato: sarebbe un peccato sprecarla!»
E così il caviale, il formaggio, il salmone bianco, e perfino le due salsicce, li mangiarono gli uomini bruni e il biondo pittore godendo loro di ciò che avrebbe dovuto essere di Strabuccino.
A metà estate Stramele e Telaimbrattio stavano facendo un’amena crociera in patino lungo il corso del maestoso Arno. In una calma notte di luna piena Stramele osservava le plaghe del grande fiume scorrere lentamente. Al suo fianco il biondo pittore le indicava delle macchie scure muoversi rapidamente sulla rena dell’argine in golena e le diceva: «Vedi come, sulle pensose rive, rapide le ratte pantegane corrono simili alle vanità della nostra vita? Guardale giocare beate in questa notte stupenda, le ombre nere, la gloria, l’amore del popolo: perché non dovremmo cogliere l’attimo?»
«Oh Telaimbrattio, che parole bellissime! Tu conosci il cuore delle donne: sai bene che al vizio, al peccato e alla colpa sono naturalmente le femmine tutte labili! Ma come potrei mai tradire il dolce Strabuccino che mi ama così tanto?»
«Invero hai ragione Saltabecca: male ho fatto a tentare la tua purezza ma...»
Ma il pittore non fece in tempo a completare il suo pensiero: le parole di Stramele lo avevano respinto, ma l’agile lingua di lei l’aveva già afferrato per il collo e lo trascinava a sé sul duro fondo del patino del quale, lei, divenne voluttuoso e morbido materasso.
Pure le audaci pantegane, esterrefatte e turbate dalle alte grida di piacere delle donna e dai grugniti porceschi dell’uomo, corsero a nascondersi nelle loro tane: perfino la pudica Luna preferì coprire la squallida vista del vile tradimento nascondendosi dietro a una nuvola spessa e scura come il peccato.
Ma poche settimane dopo l’idillio era già finito: Telaimbrattio si fece burbero e mal sopportava le asfissianti attenzioni della donna: la sua creatività esigeva la completa libertà ma la passione di lei, una volta soddisfatta la propria, era divenuta un fastidio e non un piacere.
«Ascoltami» le diceva «di una sola cosa da te ho bisogno: non tormentarmi!»
«Su via, allora uccidetemi! Uccidetemi dico se per voi non sono più niente!» - replicava lei con le lacrime agli occhi.
«Sì, che palle! ci mancava solo il pianto. Smettete! Io avrei mille motivi di piangere, nondimeno non piango.»
«Mille motivi? Tigre! Le fiere delle foreste più selvagge non avrebbero osato tanto!».
In quel mentre entrò nella stanza la contadina che li ospitava nella sua sudicia dimora nella campagna di Vecchiano per fare le faccende: il mese precedente era parso meraviglioso a Stramele soggiornare in quell’ambiente primitivo e rustico. Mangiare su un tavolaccio di legno, senza posate né tovaglioli, non un bagno ma una latrina nel cortile, le era sembrato un’avventura meravigliosa ma adesso il costante malumore di Telaimbrattio l’aveva trasformata in una squallida tortura, un cilicio intollerabile e che non avrebbe sopportato ancora a lungo.
Dopo aver pianto a lungo sul letto pieno di pulci si decise: trasformò la propria frustrazione in decisione e tornò ad affrontare l’amato quanto riottoso pittore.
«Bisogna che ci separiamo per qualche tempo, se no per niente potremo litigare sul serio.» gli disse.
«Quindi hai deciso di partire?» - chiese mollemente Telaimbrattio.
«Sì: torno dal mio Strabuccino che mi aspetta speranzoso, con il suo dolce sorriso e la sua testa taurina. Ci vedremo poi quando tornerai in città...»
E così, alla fine dell’estate, Stramele era di nuovo alla casa-albero di Strabuccino. Il marito l’accolse col suo largo, mansueto e felice sorriso: fu allora che la donna decise che non era il caso di confessare a Strabuccino cos’era successo: “è tanto buono, ma è di mentalità così ristretta: non capirebbe il mio amore per Telaimbrattio: magari ne sarebbe perfino geloso!” pensò.
Così si limitò a salutarlo con apparente calore e poi cenarono insieme: Stramele mangiò il piccione arrosto che Strabuccino si era cucinato. A lui toccarono gli avanzi della moglie per cena e gli avanzi di Telaimbrattio per la notte.
mercoledì 25 marzo 2020
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento