Ieri sera ho visto questo video: Coronavirus: scuole chiuse, bar pieni - Mezz'ora in più dal canale RAI 3 su FB
A Roma, la sera dopo l’istituzione della quarantena generale, molti giovani escono comunque di casa e si ritrovano in centro per socializzare con gli amici.
Alcuni di questi semplicemente credono che non vi siano pericoli o, comunque, li ritengono trascurabili. Ma il caso più interessante è quello di coloro che sanno che la malattia è molto più letale per gli anziani che per i giovani e, proprio per questo, si sentono tranquilli.
I casi precedenti infatti, se si accettano le premesse errate dei giovani, hanno una loro logica e la decisioni di uscire di casa diviene comprensibile.
Invece il caso del ragazzo che non si preoccupa perché sa che la malattia è più letale per gli anziani che per i giovani è (forse) logica a livello egoistico ma moralmente molto dubbia.
Sarebbe stato interessante se la giornalista avesse chiesto a questi giovani se fossero preoccupati per i propri nonni: questo per capire la percentuale di giovani che, non avendo famigliari anziani, credono di non danneggiare direttamente la propria famiglia. Questo ci darebbe infatti l’idea della dimensione della mancanza di sensibilità verso il resto della popolazione (in particolare anziana). Ovvero, poiché io non rischio nulla o quasi (falso in verità), allora non mi preoccupo se il mio comportamento potrebbe seriamente danneggiare estranei alla mia famiglia.
Mi chiedo come si possa giustificare questo modo di pensare, di completa indifferenza per gli altri (ricordo che mi sto riferendo ai giovani ben consapevoli che il loro comportamento potrebbe nuocere gravemente ad altre persone: non a quelli che non se ne rendono conto).
Probabilmente la risposta più semplice, e forse più corretta, è semplicemente un misto di stupidità e immaturità.
Mi affascina però un’altra spiegazione, più sociologica, per spiegare questo contrasto fra gioventù e società. La società, evidentemente percepita come un’entità grigia, distante e burocratica, cosa fa per i giovani? Li istruisce in una scuola lasciata allo sbando e senza mezzi per poi proiettarli in un mondo del lavoro dove l’alternativa è fra l’essere sfruttati, rimanere disoccupati o emigrare all’estero. Una società che, in buona sostanza, gli impedisce di formarsi una famiglia e li obbliga quindi in uno stato di perenne immaturità e di dipendenza, almeno parziale, dai propri genitori.
Il comportamento di questi giovani, da questo mio punto di vista, sarebbe quindi una forma di ribellione verso la società: essa tradisce le aspettative e le speranze del giovane ed egli, per reazione, non si preoccupa di danneggiarla a sua volta. Del resto la reciprocità è uno degli istinti basilari dell’uomo: si tende a trattare gli altri così come ne veniamo trattati. La società che dai giovani esige e pretende ma che in cambio non dà speranza per un futuro migliore si guadagna così l’aperta ostilità degli stessi.
Probabilmente fra i giovani l’opinione che le pensioni degli anziani siano troppo alte e che l’impoverimento dell’Italia dipenda da questo (e non dalle scriteriate decisioni macroeconomiche) deve essere molto diffusa. Un'altra variante dell’idea che i propri genitori abbiano “vissuto al di sopra delle proprie possibilità” (assolutamente falso) è che loro, i giovani, siano costretti a pagarne le conseguenze.
Conclusione: magari la spiegazione giusta è banalmente quella più semplice: i giovani che non si preoccupano delle conseguenze delle loro azioni sono immaturi e sciocchi. Ma anche in questo caso io ho la forte sensazione che a nutrirne sia l’immaturità che la stupidità sia, sebbene indirettamente, la società stessa. Certo questo non li assolve ma rende il loro comportamento più comprensibile.
L'esempio di Benjamin Franklin
3 ore fa
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