Fra il pezzo di ieri e i corti di oggi mi sono accorto di aver fatto scivolare nei miei scritti alcuni vocaboli che sto studiando (*1).
Sempre più spesso (vedi ad esempio la scherzosa nota 2 in Donini & Goethe) mi vengono spontanei dei termini non troppo comuni ma, in genere, ero riuscito a trattenermi: sono dell'idea che sia più importante essere chiaro e comprensibile piuttosto che lasciarmi tentare da una ricercatezza che non mi appartiene.
È però anche vero che comunque, già da tempo, vari termini studiati su Anki li avevo comunque "sdoganati": pletora (abbondanza negativa), specioso (apparentemente vero ma in realtà falso), palliare (nascondere sotto un'apparenza diversa), propalare (diffondere notizie segrete o false) e queste sono solo alcune parole che mi sono venute a mente senza pensarci troppo o fare ricerche... e poi ci sarebbero tutti i miei neologismi provenienti dall'Epitome oppure i miei traducenti, usati solo in questo viario (*2), per vari forestierismi...
Insomma: perché certi termini sì e altri no? Dopotutto, me ne sono appena reso conto, la scopo di essere facilmente comprensibile da tutti viene già tradito quando uso le mie “creazioni”...
Probabilmente dipende dalla mia percezione: da quanto un termine mi venga spontaneo o mi sembri appropriato.
Per la cronaca ieri ho usato: “labile” (fugace; v. anche il corto Labile), “torno” (nel senso temporale di “nel periodo”) e “preconizzare” (tipo “preannunciare” ma più solenne). Oggi invece ho usato “labaro” (nel senso figurato di vessillo); mi sembrava anche di aver scritto “vieto” (come vecchio/stantio) ma all'ultimo momento devo averci ripensato...
Non so: “labile” mi piace molto, probabilmente è un termine piuttosto ricercato ma ormai mi è già familiare (credo che lo userò spesso in futuro); la sfumatura solenne di “preconizzare” era invece voluta e ironica essendo riferita a Di Maio, l'uomo che dà del tu al congiuntivo; “torno” in effetti pare invece una forzatura e il suo sapore antico non ha ragione d'essere; anche di “labaro” avrei potuto fare a meno, ma a volte è bello anche usare termini diversi: “vessillo” mi pare di usarlo spesso; “vieto” ho forse fatto bene a non usarlo anche se le sue particolari sfumature lo rendono potenzialmente utile.
Probabilmente dovrei solo astenermi dall'usare termini/significati segnalati come letterari o antichi, senza però abusare di quelli “non comuni” o che comunque mi suonano come ricercati. Dopotutto anche il lettore può fare lo sforzo di andare a cercarsi il significato di una parola che non conosce: io lo faccio! Ad esempio su Anki ho anche la chiave "BAGNAI" per identificare i termini che provengono dal suo sito...
Conclusione: scrivere non è mai facile e il fatto che il mio vocabolario stia indiscutibilmente arricchendosi mi crea degli strani problemi nello scegliere il registro, cioè lo stile, in cui esprimermi.
Nota (*1): per esercitare la memoria: vedi gli ormai vieti Anki, Ank'io e successivi come La sanguisuga (e non solo).
Nota (*2): Ecco: ad esempio “viario” per blog...
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