La notizia: Coronavirus, si aggiornino le linee guida sulle terapie domiciliari di Patrizia Gentilini (medico oncologo ed ematologo)su IlFattoQuotidiano.it
L’articolo riporta una conferenza stampa, tenutasi il 5 agosto nella sala Nassirya del Senato, su come aggiornare le terapie domiciliari di contrasto al covid-19.
In Italia infatti, almeno ufficialmente, le indicazioni per i medici in caso di covid-19 di un loro paziente sono sempre quelle dello scorso 2020 quando ancora del virus non si sapeva niente.
Se si volessero salvare vite umane sarebbe sensato aggiornarle in base alle scoperte più recenti, no?
Ma non voglio ripercorrere l’intero articolo ma soffermarmi solo sulla parte finale dove viene suggerita l’introduzione dell’Ivermectina (v. anche il mio precedente pezzo Beati gli ultimi) come farmaco sia di terapia che di prevenzione dal covid-19.
L’uso di tale farmaco non è suggerito da un branco di svitati terrapiattisti ma è sostenuto da numerose ricerche e da moltissimi scienziati.
E cosa dicono le ricerche? Copio e incollo dall’articolo: «A oggi sono stati pubblicati complessivamente 60 studi – di cui 30 randomizzati e controllati – che hanno testato ivermectina su oltre 20mila partecipanti affetti da Covid 19 dimostrando una riduzione della mortalità mediamente del 64% per un uso precoce e del 96% in profilassi.»
Poi continua elencandone altri pregi (basso costo perché i brevetti sono scaduti, altissima tollerabilità, efficace anche per ridurre il carico virale e quindi l’infettività degli ammalati) ma fermiamoci a quel 96%. Che significa?
Il testo infatti è fuorviante: se ben ricordo da quanto letto/visto su altre fonti è la percentuale di protezione dal covid-19; la stessa che per i vaccini, contro la delta, è più o meno del 65% (e che cala rapidamente nel corso di pochi mesi). Ma diciamo che mi sbaglio, che ricordo male o che interpreto incorrettamente quanto letto/visto (tutte possibilità reali e non troppo ipotetiche!): ne emerge comunque che l’Ivermectin sarebbe un ulteriore strumento, in aggiunta ai vaccini, per combattere la malattia. Fermiamoci quindi al più inequivocabile 64%: oltre la metà dei malati di covid-19 si sarebbero potuti salvare se trattati precocemente con Ivermectin.
Perché quindi non usarlo?
Se si hanno dubbi sulle ricerche perché non farne di nuove per verificare l’efficacia di questo farmaco?
La mia speranza è che se ne parli sempre di più e che si arrivi a aggiornare il protocollo obsoleto e dannoso a base di “tachipirina e vigile attesa”. In prospettiva mi piacerebbe che chi, per propria incapacità e incompetenza (e sono "buono"), è responsabile di migliaia di morti evitabili ne paghi il prezzo in carcere. Questo perché un anno fa ancora “non si sapeva” ma è almeno da dicembre 2020 o, massimo, gennaio 2021 che gli studi parlano chiaro...
Il mio scetticismo è invece dovuto alla consapevolezza del cinismo dominante. C’è un’industria che sta facendo miliardi di profitti sulla salute (e sui morti) della gente.
La stragrande maggioranza dei media, Chomsky insegna, difendono la narrativa dei loro padroni e così si va avanti chiudendo gli occhi, facendo finta di non vedere e di non sapere.
In questo caso però la verità è troppo evidente e presto o tardi emergerà: solo l’avidità e, probabilmente, la consapevolezza della propria impunibilità fa sì che questo criminale paradosso vada avanti…
Conclusione: Scetticismo batte speranza 9 a 1.
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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