Dopo aver terminato la trilogia della Bardugo ho ripreso a leggere i “ghiribizzi che mi piacciano” (vedi colonna a destra sui calcolatori da tavolo mentre sui telefonini non so…).
Probabilmente quello che leggo più volentieri è Il blog della Curiosona anche se, contemporaneamente, i suoi articoli li trovo un po’ frustranti: a me piace comunicare un’idea completa: dalla semplice riflessione alla teoria più complessa. Comunque mi piace esprimere il mio pensiero su questioni e problematiche.
Invece la Curiosona è al mio opposto: non scrive mai direttamente quello che pensa ma tende a proporre degli spunti di riflessione, spesso commenti o semplici meme trovati su FB.
Mi pare di averlo già scritto ma i suoi pezzi dal mio punto di vista sono le premesse su cui poi costruirei il resto dell'articolo: quando infatti trovo qualcosa di curioso o che mi colpisce su FB non riesco a fare a meno di esporre la mia opinione al riguardo, altrimenti mi sembrerebbe di aver scritto qualcosa di incompleto e, quindi, di poco significativo.
Però devo riconoscere che gli articoli della Curiosona hanno il merito di far comunque riflettere e, almeno un paio di volte, non ho resistito a commentarli con la “mia” opinione. Anzi mi sovviene adesso che qualche settimana fa avevo scritto proprio un pezzo completo nato da uno spunto trovato sul suo ghiribizzo e che è ancora sperduto e abbandonato sul disco rigido del mio calcolatore: se lo ritrovo vedrò di pubblicarlo!
Comunque pochi giorni fa la bloggatrice ha scritto un articolo dove spiega, ovviamente in maniera indiretta, la sua scelta stilistica: Non ce lo meritiamo, Nanni Moretti!
Nel pezzo elenca le battute delle pellicole di Moretti che più apprezza e il posto d’onore spetta a uno spezzone tratto da “Sogni d’oro” (1981) dove un personaggio (suppongo un regista) si sfoga sui suoi amici che lo criticano dicendogli: «Parlo mai di astrofisica io? Parlo mai di biologia io? Io non parlo di cose che non conosco!».
Pur non avendo visto tale film la battuta non mi era nuova: mi pare fosse infatti la “firma” aggiunta automaticamente da Gmail alla fine di ogni epistola scelta da un mio amico: prevedibilmente mi aveva sempre lasciato piuttosto indifferente e non mi sembrava rappresentare una saggezza così profonda da tesaurizzare gelosamente. Anzi mi sembra quasi una banalità…
Ma allora perché tu scrivi di XXX e YYY, di cui non sai niente, e in genere spari giudizi e sentenze su chi ti è ovviamente superiore per capacità e cultura?
Ecco il pezzo odierno lo voglio proprio dedicare a indagare questa, secondo me, apparente contraddizione.
Il nocciolo è che la frase di Moretti è assolutamente vera nel contesto in cui è inserita ma, se la si generalizza troppo, allora diviene errata. Moretti fa pronunciare questa frase a un regista che viene criticato da non registi: mi pare che essa possa essere correttamente estesa così: “Non contraddire un esperto di uno specifico campo se non ne sei anche tu un esperto”. E infatti ancora su questa frase sono pienamente d’accordo.
Il problema è che invece viene generalizzata superficialmente con un “non parlare di cose di cui non sei esperto” e, invece, su questo io sono completamente in disaccordo.
1. Un genitore laureato in economia non dovrebbe spiegare a un bambino il teorema di Pitagora?
2. Un informatico non potrebbe raccontare a un amico avvocato quello che ha capito di un video divulgativo di astrofisica?
3. Di politica dovrebbero discutere solo i politici di professione?
4. Oppure se il nostro medico di base ci ha prescritto un farmaco che ci dà mal di stomaco non si dovrebbe chiedergli di sostituircelo con un altro?
Mi pare che in questi quattro esempi, per motivi diversi fra loro, sia sempre giustificato parlare di qualcosa di cui non siamo esperti o, comunque nell’ultimo caso, esprimere dubbi o perplessità su materie sostanzialmente estranee alle nostre conoscenze.
Nel primo caso ci sono argomenti che rientrano nella generica cultura generale: chiunque abbia studiato alle superiori è in grado di spiegare a un bambino, almeno a livello operativo se non la dimostrazione, il teorema di Pitagora. Questo ci fornisce un principio base: non è la materia di per sé di cui non siamo esperti a essere “tabù” ma solo i suoi aspetti più complessi.
Nel secondo caso abbiamo una conversazione fra non esperti: in questo caso il primo amico farà del suo meglio per trasferire il minimo di conoscenza acquisita al suo compagno. Ovviamente quest’ultimo ascolterà il tutto col beneficio del dubbio, come una curiosità non troppo importante e su cui non baserà le proprie scelte di vita. In generale quindi si può discutere anche di cose di cui non si è esperti quando gli interlocutori sono consapevoli dei propri limiti di conoscenza.
Il terzo caso lo possiamo generalizzare con “è lecito parlare e discutere di ciò che ci riguarda”. Qui potrei anzi citare addirittura Aristotele (se trovo il frammento che ho in mente!): ovviamente non l’ho ritrovato nei miei appunti e non ho voglia di cercarlo nel libro in questione. Il succo dell’idea di Aristotele è che un servizio appartiene più ai suoi fruitori che ai suoi fornitori e questo dà diritto ai primi di avere voce su di esso. In particolare Aristotele si riferiva alla politica ma è chiaro che possiamo estendere il concetto a qualsiasi argomento: se esso ci riguarda abbiamo diritto a parlarne e discuterne.
Il quarto caso è estremo: è ovvio che il nostro dottore (nell’ipotesi che noi non si sia medici a nostra volta) ne saprà più di noi di medicina: ma anche egli potrebbe sbagliare sia la diagnosi che la terapia; non è all’interno del nostro corpo e non può sapere se abbiamo una reazione avversa, per quanto rara, a un farmaco che al 99% dei pazienti non dà problemi. In questo caso è giusto spiegargli le nostre perplessità e probabilmente, il medico per primo, ne sarà felice perché solo così potrà curarci efficacemente. In generale anche un non esperto potrebbe dare un contributo utile a una discussione magari proprio sfruttando le proprie conoscenze ed esperienze particolari.
Questi sono solo i primi quattro controesempi che mi sono venuti in mente pensandoci trenta secondi: la mia non vuole assolutamente essere una lista esaustiva di tutti i casi in cui è lecito, anzi giusto, parlare di ciò che non si sa. Comunque già questi sono sufficienti per dimostrare che la frase “non parlare di cose di cui non sei esperto” non è sempre vera.
Anzi, probabilmente ho anche ignorato i casi più interessanti: per esempio quando un non esperto, che si basa su quanto affermato da un esperto, non è d’accordo con un secondo esperto. È chiaro che il non esperto non potrà discutere da pari a pari con l’esperto ma è comunque lecito che rimanga dell’opinione dell’esperto che l’ha convinto maggiormente. Ma appunto, questa situazione è molto più articolata delle precedenti e quindi, per semplicità, la lascio perdere.
Poi ci sarebbe tutta la questione della buona fede dell’esperto: se ci sono dei grossi interessi in gioco sarebbe da ingenui pensare che gli esperti non ne vengano a loro volta condizionati. Non è assurdo che in particolari casi questi arrivino a mentire spudoratamente: è già successo. Prima o poi la verità scientifica emerge ma possono volerci decine di anni (v. La parabola di Hegsted)…
In definitiva a me pare che chi creda troppo ciecamente nella verità assoluta della frase «Parlo mai di astrofisica io? Parlo mai di biologia io? Io non parlo di cose che non conosco!», anzi che la generalizzi erroneamente (*1), corra dei seri rischi. Chi per principio non parla mai di ciò che non conosce, può non porsi domande essenziali: questo lo porta a credere ciecamente nelle proprie certezze che, spesso, divengono quelle degli “esperti” di cui, come ho precedentemente accennato, al giorno d’oggi è puro buon senso dubitare quando ci sono dei grandi interessi economici in gioco. Il rischio è quindi quello non solo di credere a qualcosa di sbagliato ma, addirittura, di essere manipolati e portati a credere qualcosa che ci è dannoso (*2).
Mi si potrebbe obiettare che chi non parla di ciò che non sa potrebbe comunque rifletterci sopra nella solitudine della propria mente: io credo però si tratti di una situazione guidata dall’abitudine instaurata dal comportamento: l'abitudine, per quanto fisica, condiziona anche il pensiero. L’uomo vuole evitare le dissonanze cognitive: non porsi domande è la maniera più semplice per troncare il problema alla radice.
Conclusione: l’argomento è molto complesso e ci sarebbe da affrontare i casi più complessi (ma anche attuali) che invece ho appena menzionato. Probabilmente il punto di partenza per un’analisi più completa dovrebbe essere la mia generalizzazione del pensiero di Aristotele. Magari, prima o poi, vedrò di lavorarci sopra collegandola al problema della censura...
Nota (*1): noto adesso che la Curiosona ha evidenziato in neretto la seconda parte della frase, cioè: «Io non parlo di cose che non conosco!» che è proprio l’affermazione priva di contesto che, interpretata in senso assoluto, io trovo errata e fuorviante...
Nota (*2): questo mio pessimismo qui può apparire eccessivo ma diviene giustificato se si considera la situazione nell’ottica della teoria descritta nella mia Epitome. Cosa che istintivamente sono portato a fare.
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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