Spesso mi capita di iniziare un pezzo scrivendo qualcosa del tipo “ieri riflettevo su XXX e ho pensato YYY” o frasi simili: poi, magari, accludo articoli o passaggi di libri che riportano qualcosa di più o meno simile e che, in genere, ho scoperto solo successivamente.
Non so quanto questa specie di serendipità sia frequente: nei vari ghiribizzi degli altri bloggatori che seguo con maggiore o minore attenzione non mi è mai capitato di trovare passaggi simili.
Ciò non significa molto: è un campione troppo piccolo per essere significativo.
Inoltre a me, forse per malaccorta franchezza, piace spiegare le origini prime di un mio pensiero: altri, probabilmente, preferiscono andare direttamente al nocciolo. Se poi ho incontrato delle coincidenze che mi appaiono curiose o rare ecco che allora la tentazione di narrarle diviene irresistibile.
Ma (appunto!) ieri mi chiedevo da dove provengono tutte queste idee di cui, evidentemente, solo una piccolissima frazione di esse (in teoria di “qualità” superiore alle altre) appare su questo ghiribizzo o, addirittura, nell’Epitome.
In parte è natura: all’epoca delle elementari ero il tipico bambino che chiedeva continuamente “Perché XXX? Perché YYY?” ed è ragionevole pensare che anche da adulto mi sia rimasta questa tendenza a pormi domande. Osservando e riflettendo su ciò che “vedo” (in senso lato) è inevitabile che, di tanto in tanto, arrivi a darmi qualche spiegazione potenzialmente anche interessante. Ah, un’altra mia caratteristica è che spesso non ho le risposte a tutti i quesiti che mi pongo e, in questo caso, mi viene naturale immaginarmi diverse ipotesi che, in genere, considero nei miei ragionamenti successivi (arrivando così, talvolta, a raffinarle). Intendo dire che nei pensieri successivi che si basano sul precedente quesito considero tutte le mie ipotesi e non solo una di queste.
Può sembrare un’ovvietà, probabilmente quello sopra esposto è solo il sistema di ragionare corretto e comune a tutte le persone, anzi certamente è così: la differenza è che a me viene naturale usare questo modo di procedere fin da bambino e lo uso in maniera sistematica e massiccia senza neppure sforzarmi.
Probabilmente è una forma di intelligenza anche se non saprei dire come sia normalmente chiamata.
Ma non conta solamente la tendenza naturale a porsi domande e, quindi, a cercare risposte: a mio avviso è decisivo e fondamentale anche l’humus che fornisco alla mia mente nella forma di letture disparate e che, in qualche caso, non capisco neppure pienamente.
Già durante la lettura mi annoto riflessioni su quanto leggo: sintesi di quanto scritto ma soprattutto commenti che vanno oltre il pensiero dell’autore e che sollevano questioni che sul momento mi lasciano perplesso. Questa lettura attiva equivale a spargere semi in un campo: prima o poi qualche idea basata su questi germoglierà. Altri dubbi resteranno in sospeso per anni, magari di un buon numero semplicemente me ne dimenticherò….
Ecco, la memoria è un altro elemento fondamentale perché è la precondizione che permette di unire insieme pensieri lontani nel tempo. Anche qui vi è una grossa componente di natura: spesso quando leggo qualcosa mi capita di ricordare informazioni o dettagli relativi ad altre letture che a livello cosciente, senza cioè lo stimolo della lettura, non avrei mai pensato di sapere.
Chiaro che la memoria moltiplica i dati che si possono mettere in relazione fra loro aumentando così la probabilità di scoprire qualche rapporto inconsueto o curioso.
Mi sovviene ora che il piacere di costruire queste “relazioni” è un altro elemento fondamentale: senza questo costante stimolo a voler comprendere meglio ciò che ci sta intorno (e di nuovo si torna al mio pertinace “perché?” infantile) lo sforzo che faccio non avrebbe senso. Provo piacere ad arrivare a una conclusione nuova e utile: è questo l’incentivo che mi spinge a leggere e riflettere.
A chi invece non importa delle domande figuriamoci quanto potranno interessare le risposte!
Forse vale la pena ricordare che le letture per esserci proficue devono essere impegnative: è lo sforzo di capire che è determinante. Un romanzo che semplicemente espone il proprio contenuto senza farci riflettere è pressoché inutile: diviene solo un modo per passare il tempo, poco meglio che guardare la tivvù.
A proposito di letture credo che sia molto proficuo leggere più testi contemporaneamente: la scelta di procedere in questo modo mi venne istintiva ma ora ne vedo chiaramente i pregi.
Leggere un solo libro è come pranzare con un unico cibo: difficilmente sarà un’alimentazione equilibrata e rapidamente verrà a noia. Cosa si fa quando qualcosa ci ha stufato: si cerca di evitarlo il più possibile: nella lettura di un libro questo corrisponde a cercare di leggerlo rapidamente prestandogli poca attenzione o ad abbandonarlo direttamente.
Io invece nelle mie letture seguo l’appetito del momento: leggo cioè quello che mi va. Qualche pagina di un autore, altre due o tre di un altro e poco più.
Oltretutto concentrandosi su un solo libro per volta c’è il rischio di esporsi a troppe informazioni simili, quindi a sovrapporle senza distinguerle opportunamente.
Insomma per leggere bene un’opera è necessario farlo lentamente con poche pagine al giorno e, di conseguenza, la soluzione più proficua se non ci si accontenta di leggere 3 o 4 libri all’anno, è quella di seguire più libri contemporaneamente.
Chiaramente vi è anche il pericolo concreto di confondere le idee e i concetti di libri diversi: per questo motivo le mie letture contemporanee trattano tutte argomenti molto diversi.
Anni fa feci l’errore di provare a leggere insieme le “Storie” di Polibio e le “Elleniche” di Senofonte: fino a quando Polibio narrava dei galli non ebbi problemi ma quando iniziò anch’egli a scrivere della situazione della Grecia mi confusi del tutto!
Mi sembrava di aver scritto un pezzo intitolato “L’importanza della lettura” ma non riesco a ritrovarlo: a proposito di buona memoria!
Conclusione: avevo iniziato a scrivere questo pezzo ieri ma solo oggi l’ho terminato (in pratica riletto e corretto) e adesso non ricordo più (ottima memoria!) cose volessi arrivare a dire: immagino che il mio punto fosse che per la natura possiamo fare ben poco ma invece possiamo tutti leggere. Che cosa? Come ho scritto l’ideale sarebbe spaziare fra più argomenti e autori possibili però, dovendo scegliere, secondo me sono preferibili i libri del XIX secolo o precedenti. Come insegna (indirettamente) Taleb i libri che superano la prova del tempo sono spesso anche intrinsecamente validi mentre un autore moderno, per quanto apprezzato dalla critica, è più rischioso.
Gli autori antichi presentano poi almeno altri due vantaggi: in genere scrivono per essere capiti e non per mostrare il loro sapere: la loro lettura quindi è sempre molto piacevole.
Il secondo vantaggio è che la conoscenza di cosa è avvenuto nei secoli seguenti ci permette facilmente di riconoscere potenziali errori degli autori e quindi ci suggerisce riflessioni e considerazioni molto utili per cercare di spiegarne la causa (*1). Credo che proprio riflettendo sui testi degli storici antichi io sia arrivato alla generalizzazione di quello che ho chiamato il paradosso dell’epoca e che è l’argomento fondamentale del sesto capitolo della mia Epitome….
Nota (*1): a volte poi si arriverà a conclusioni sorprendenti. Un errore di previsione non implica automaticamente un errore nel ragionamento: talvolta accade l’imprevedibile, il caso ci mette il suo zampino. L’autore poteva aver previsto l’evoluzione più probabile degli eventi ma, come sappiamo, non sempre si verifica ciò che dovrebbe verificarsi il 90% delle volte: nel 10% dei casi avviene qualcos'altro…
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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