[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.8.0 "Verdepasso").
Che bello quando sto per uscire per fare delle commissioni sgradite e poi vengo bloccato da altri che mi dicono di rimandarle: procrastino senza sentirmi in colpa!
Ne approfitto per scrivere un po’ su “Fenomenologia e genealogia della verità” (FGV da qui in poi) di Andrea Zhok.
In estrema sintesi sono arrivato a pagina 43 ma al momento ci capisco poco! Il motivo è, credo, duplice.
1. Il libro non è scritto per tutti ma è pensato per uno specifico pubblico che abbia già delle discrete basi della materia. O, se vogliamo, alternativamente sono io non abbastanza preparato per comprenderlo!
2. Il libro non è scritto (diversamente dai suoi articoli su FB) in un linguaggio facilmente comprensibile ma usa sistematicamente vocaboli tecnici molto specifici (*1) che vengono usati senza essere spiegati.
Insomma nei primi capitoli più che capire ho almanaccato sul significato di quanto leggevo e, temo, devo aver afferrato solo un piccolo sottoinsieme dei vari concetti.
Eppure non sono né preoccupato né demotivato: sono infatti convinto che già lo sforzo di capire le idee altrui sia proficuo e possa portare, se non alla comprensione, almeno a nuove intuizioni potenzialmente anche molto utili.
E stamani ne ho avuto i primi riscontri. In [E] 21.3, “La comunicazione verbale”, presento una mia teoria che al momento è piuttosto avulsa dal resto dell’Epitome ma che eppure sento essere abbastanza importante e significativa da meritare di esservi inclusa.
L’argomento è piuttosto parallelo a quanto scritto dal professor Zhok e, soprattutto nelle ultime pagine, vi ho trovato molte sovrapposizioni. Mi riferisco alla prima parte di FGV intitolata “Significazione” e in particolare dalla fine del capitolo 6 (“Mimesis”) e all’inizio del capitolo 7 (“Della superstizione”) i miei commenti a margine si moltiplicano notevolmente. Mi riferisco alle note contrassegnate dal marcatore “[KGB]” che uso per indicare le mie riflessioni personali (e non, per esempio, brevi sintesi di quanto letto nel testo): intuizioni stimolate appunto dalla lettura e dal tentativo di capire le idee dell’autore. Vediamone alcune.
«[KGB] Tradurre necessita di uno spazio comune di significato. Ma tradurre da una lingua a un’altra è così diverso rispetto a comprendersi?»
La prima frase è in realtà una sintesi di quanto letto mentre la seconda è la mia osservazione vera e propria.
È chiaro che due linguaggi diversi, con parole e grammatiche anche molto dissimili, presentino difficoltà a esprimere esattamente lo stesso concetto.
Ma alla fine il linguaggio di due persone diverse, anche se formalmente/teoricamente uguale (per esempio l’italiano per entrambe), è usato e interpretato in maniera diversa.
«[KGB] Comunicazione possibile solo come metafora (anche quando non sembra tale)»
Nel testo si accenna infatti alla metafora come a un caso particolare in cui le parole assumono un significato diverso dall’ordinario.
Ma questo, riflettevo, è sempre vero: sebbene in misura minore i significanti (le parole) non identificano mai esattamente il significato (l’idea che si ha in testa). Qualsiasi nostra comunicazione a un interlocutore sarà sempre una metafora nel senso che non sarà mai una descrizione esatta del significato.
«[KGB] Si cerca di stabilire l’essenza della comunicazione/linguaggio ricostruendo i passi apprendimento infantile. Questo modo di procedere non prevede salti: ciò che il bimbo impara per primo è alla base»
Qui, scrivendo per me e avendo poco spazio a disposizione, non sono stato molto chiaro. I frammenti del pensiero di Zhok che comprendo maggiormente sono quelli in cui cita gli esperimenti di (credo) uno psicologo che studiava l’apprendimento nei neonati o poco più. Questi meccanismi infantili mi pare (come ho spiegato capisco il giusto di quello che leggo) costituiscano un punto di partenza, la base su cui poi anche l’adulto costruisce l’interpretazione del significante (parole) in significato (idea nella mente).
A questo aggiungo la mia osservazione epistemologica: dico che questo metodo di indagine è valido se passando dal neonato all’adulto non vi sono rivoluzioni cognitive che cambiano del tutto i meccanismi di conversione parola ↔ significato. Per esempio studiare i denti da latte di un bambino per ipotizzare come saranno i denti dell’adulto (sicuramente i dentisti avranno da ridire ma il mio è solo un esempio!) non ha senso perché durante la crescita il bambino li rimpiazza tutti.
Aggiungo che non credo che questo pericolo sia concreto, ma la mia mi pare comunque una premessa importante che vada comunque considerata.
Per completezza aggiungo anche un’ultima osservazione che è abbastanza irrelata al testo:
«[KGB] L’essere che è → (porta a errore) [scritto sotto la freccia] L’essere deve essere»
Ovvero il sapere che qualcosa esiste spesso ci porta a commettere l’errore di credere che debba esistere, che non poteva andare diversamente: la realtà ci sembra più probabile, quando non certa, di qualsiasi alternativa ipotizzabile.
Come ho premesso questa mia osservazione ha poco a che fare col testo che leggevo ma, suppongo, a livello inconscio deve avermi comunque stimolato delle reazioni che mi hanno portato alla mia conclusione. Insomma anche se io non vi vedo un collegamento evidente probabilmente esso c’è comunque.
Rileggendo meglio il testo vedo che il professore scrive un paio di volte l'equazione "se X allora X" che probabilmente mi ha messo sul binario giusto per arrivare al mio pensiero.
Vi risparmio gli altri miei commenti, comunque appena un paio nella quarantina di pagine precedenti…
Ho la sensazione che questo libro di Zhok possa farmi l’effetto di “Eros e civiltà” di Marcuse: ovvero molta fatica nel capire cosa intenda ma, proprio per questo, materiale estremamente fertile per sviluppare nuove idee…
Conclusione: vedremo...
Nota (*1): diversamente dal mio solito ho già controllato in rete il significato di diversi vocaboli perché ricorrenti ed, evidentemente, necessari per la comprensione del testo (normalmente li cerco tutti insieme a fine lettura dato che, in genere, si tratta di termini usati poche volte e comunque non chiave).
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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