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lunedì 16 agosto 2021

Da Zhok a Di Battista

Articolo: Tecnocrazia e ragione liberale: una riflessione preliminare di Andrea Zhok su AntropologiaFilosofica.Altervista.org

Il concetto che mi ha più colpito è parallelo a quello principale (leggete l’articolo per scoprire quest’ultimo!): il fanatico antiscientifico e antipolitico, colui che non crede né nella scienza né nella politica.
In realtà fra le mie poche conoscenze su FB ho anche una di queste persone: però non mi ero reso conto che costituisse una classe a sé. Lo ritenevo un caso unico e forse, proprio perché il suo modo di pensare è così lontano dal mio, tendevo a sottostimare la diffusione della sua tipologia sociale.

Uno dei pochi argomenti di “scontro” che ho con lui, perché in generale su FB evito di perdere tempo a discutere, è per difendere la mia NON partecipazioni a eventi di protesta che pure condivido a livello di principio. La mia ragione è che, mancando una sponda politica, si tratta di proteste sterili: ignorate dai media o, peggio, ridicolizzate. Insomma fatica sprecata.
Questa esperienza l’ho già fatta nel 2014 come attivista del M5S e ho capito che non serve a niente se non si inquadra l’azione in un contesto più ampio che deve avere un riferimento politico o almeno culturale/ideologico.

Ecco, su queste persone Zhok è particolarmente scettico: volendo cambiare la società attuale non le vede come possibili alleati (come in fin dei conti faccio io) ma come dei possibili nemici.
Mi limito a un esempio: la scienza non è a favore del verdepasso, i media e la politica fanno sembrare che sia così perché presentano costantemente il parere di un sottoinsieme di scienziati che ribadiscono un’unica teoria: a tutte le voci contrarie, e anche queste avrebbero le loro ragioni prettamente scientifiche, non viene dato spazio.
I fanatici antiscientifici sono però contro tutti gli scienziati a prescindere e, quindi, anche contro argomentazioni valide: sono elementi imprevedibili nella loro negazione della logica e, per questo, non utili.

Non so: mi sembra che il professor Zhok cerchi di formare un gruppo ben omogeneo di individui che condivida i suoi stessi fondamenti ideologici. Io invece sono più pratico: per ottenere qualcosa bisogna fare numero e per questo non disprezzerei aggregazioni anche imperfette, magari solo temporanee. Qui hai gente che è ben disposta a protestare: forniscili allora un ombrello ideologico e vai in piazza insieme a loro quando può essere utile: tienili però distinti dai tuoi perché sai che improvvisamente potrebbero seguire altre strade dettate dalla loro illogicità scientifica.
Mi rendo conto che il mio modo di procedere è politico mentre Zhok è un filosofo: però se un pensiero sociale non vuole rimanere sterile deve prima trovare un terreno politico nel quale allignare.

In realtà, passando alla politica, non riesco a capire come mai politici come Di Battista e Paragone non si coalizzino con intellettuali come Guzzi, Fusaro o lo stesso Zhok. A me pare che le convergenze superino di gran lunga le inevitabili divergenze. Probabilmente queste alleanze non si fanno, non perché prive di senso politico, ma a causa di ambizioni umane: ciascuno di questi si sopravvaluta e preferisce mantenere la propria indipendenza piuttosto che sottomettersi a un programma comune.
In realtà l’unico che potrebbe correre da solo è Di Battista mentre Paragone e Fusaro andrebbero incontro a dei fallimenti se ci provassero mentre gli altri, che io sappia, sono consapevoli di non avere la forza per farlo e, forse, al momento non gli interessa.

Di Battista è al momento il personaggio politico più interessante: in passato l’avevo frettolosamente liquidato come ruota di scorta del M5S per la legislatura successiva all’attuale quando, almeno teoricamente, Di Maio dovrebbe uscire di scena.
In realtà questo potrebbe essere ancora il caso: Di Battista potrebbe rappresentare l’equivalente della Meloni per la Lega: ovvero il bidone in cui gettare i voti dei delusi ed evitare che si disperdano nell’astensione. Insomma Di Battista potrebbe essere solo strategicamente contro Draghi in modo da attirare a sé gli scontenti pentastellati. Poi, magari, qualche mese prima delle prossime elezioni, ecco l’accordo col M5S di Conte (che porterebbe in dote, per proprietà transitiva, l’alleanza col PD) e altri 5 anni di potenziali governi tecnici se quello eletto non avesse la forza di seguire i dettami di Bruxelles.

Questa possibilità è probabilissima ma, lo sapete, sono per natura ottimista: mi piace illudermi che Di Battista sia cambiato e maturato, che capisca i limiti del M5S l’attuale perniciosa subordinazione a interessi esteri (via Draghi).
In questa seconda eventualità avrebbe senso prendere in squadra altre persone che hanno già una certa notorietà e che potrebbero portare molte idee utili.
Sì, lo so so: mentre scrivo mi rendo conto quanto questa mia idea/speranza sia surreale: Di Battista potrebbe, forse giustamente, dubitare che valga la pena associarsi a queste figure che, sommate insieme, porterebbero magari appena uno 0,2% di voti in più. Meglio lo 0,2% di voti in meno ma alleati sicuri e fidati: meno intelligenti ma molto più disposti a seguire gli ordini di squadra…
Nel lungo periodo però, sempre nell’ipotesi che Di Battista cerchi realmente di fare il bene dell’Italia, le loro capacità renderebbero l’eventuale partito/movimento più forte.

Dal canto loro un Guzzi o un Fusaro potrebbero volere proprio quelle garanzie di indipendenza intellettuale che Di Battista sarebbe restio a concedere. Potrebbero quindi pensare: “perché portargli i miei voti (anche se relativamente pochi) se poi rischio di perdere credibilità dovendo sostenere delle scelte politiche che non condivido?”

Poi è chiaro che un partito di Di Battista correndo da solo, senza cioè ricongiungersi col vecchio M5S, avrebbe un 7 massimo 10% di voti. Troppo pochi per incidere nelle scelte di governo ma sufficienti per fare un’opposizione forte e costruttiva e, magari, divenire decisivi alle successive elezioni. Questo sempre nell’ipotesi che Draghi non crei malcontento con nuove tasse o altre scelte impopolari a ridosso delle elezioni: insomma se non si tirasse la zappa sui piedi. Da questo punto di vista però l’UE lo sta aiutando con la mancetta (che dovremo ripagare con gli interessi e con chissà quante altri umilianti ricatti) da spendere e, probabilmente, sprecare elargendola a grandi gruppi industriali (magari esteri) strapagando opere inutili o quasi.

Conclusione: volevo scrivere un corto poi sono “caduto” nella politica ed è venuto fuori questo pezzo… che oltretutto mi ha messo di malumore perché è evidente che per l’Italia, anche nell’ipotesi migliore, non c’è più speranza… Si sarebbe infatti dovuto invertire già da ora la rotta: invece i “pirati” al potere ci stanno legando mani e piedi mentre il barcone italiano affonda...

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