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venerdì 27 luglio 2018

John Lawrence chi?

Per un paio di giorni vado da mio padre però, prima di partire, voglio iniziare a scrivere un pezzo impegnativo (non so se farò in tempo a completarlo): quello sul libro sullo schiavismo.
Più che passa il tempo e più sono i dettagli che dimentico quindi non posso, ad esempio, aspettare il fresco settembrino.

Il libro lo scaricai da Project Gutenberg ed è intitolato The Slavery Question di John Lawrence del 1854.
Cercando in rete ho scoperto che tale libro è relativamente famoso: è considerato cioè una testimonianza importante sulla schiavitù in USA nella metà del XIX secolo. Solo nei capitoli finali del libro si scopre che l'autore doveva essere un uomo di colore. Per questo ero curioso di saperne di più sulla sua vita per scoprire come aveva fatto a studiare (*1) e divenire scrittore.
Stranamente in rete, compresa Wikipedia, non ve n'è traccia: tutto ciò che sono riuscito a scoprire sono gli anni di nascita (1824) e morte (1889). Questi elementi mi hanno però permesso di escludere i vari “John Lawrence” presenti su Wikipedia...
Da notare che questo autore pubblicò A Slavery Question nel 1854, a trent'anni, e che in precedenza aveva già scritto altri libri sull'argomento: insomma un autore anche piuttosto precoce...

Non so bene come procedere: l'idea è quella di seguire le mie note, riassumere quelle più interessanti, e infine trarre le mie conclusioni. Il problema è che quando faccio così mi vengono dei pezzi molto lunghi...

Le mie note:
- nelle argomentazioni degli schiavisti per giustificare lo schiavismo mancano riferimenti a una inferiorità razziale. In genere si tratta invece di motivazioni religiose. Mi chiedo se sia l'autore a non menzionarle o se invece le teorie sulla razza siano successive (vedi nazismo)...
- non ho potuto fare a meno di notare le analogie e le differenze con la schiavitù nell'impero romano. Nell'impero romano lo schiavismo ha attraversato varie tappe: quello americano è simile a quello della sua fase più dura, diciamo del II-I secolo a.C.
Io vi vedo una relazione fra la qualità del lavoro svolto dagli schiavi e come essi venivano trattati dalla società e quindi dalle leggi: più il lavoro è di bassa manovalanza e peggiori sono le condizioni di vita e di trattamento sociale.
- Mi hanno particolarmente colpito tutte le leggi che vietavano e punivano severamente qualsiasi tentativo di fornire un'istruzione agli schiavi. Evidentemente gli schiavi istruiti erano particolarmente temuti: questo sembrerebbe confermare che gli schiavi non fossero ritenuti intellettualmente inferiori. Da notare come, nel mondo romano, perfino delle schiave ci abbiano lasciato dei motti arguti incisi in laterizi.
- Numerosissimi sono poi gli esempi di tribunali dove il giudice, magari a malincuore, autorizza palesi ingiustizie. Questo tanto a ribadire che la Legge spesso non ha niente a che vedere con la Giustizia. Chi pensa che questo oggi non sia più vero è un ingenuo.
- Per una parte significativa del testo l'autore cerca poi di smontare le giustificazioni per la schiavitù degli schiavisti basate su passaggi della Bibbia. Il suo è un lavoro da certosino, estremamente preciso, e che però evidenzia bene la sua visione del mondo incentrata sulla religione: per l'autore la schiavitù è sbagliata non in sé ma perché la Bibbia la vieta. Sfortunatamente per l'autore in realtà gli antichi ebrei avevano schiavi, anche se ovviamente era una schiavitù di tipo diverso, più familiare e non di massa, per capirci simile a quella della Roma antica (V-III sec. a.C.). Inutile riportare tutte le argomentazioni dell'autore, che variano a seconda del passaggio della Bibbia, ma in alcuni casi è costretto ad arrampicarsi sugli specchi con particolari interpretazioni dei vocaboli in greco antico.
- L'autore crede nella storicità del diluvio originale e spesso argomenta in base a tale convinzione! Ad esempio: «L'argomento, credo solidissimo, è che nelle nazioni che sorsero e ripopolarono la Terra immediatamente dopo il diluvio non ci fosse spazio per la schiavitù» e quindi, siccome Abramo e Giacobbe sono di poche generazioni successivi a Noè, allora anch'essi non potevano avere schiavi ma solo servi. Invece, come detto, gli ebrei antichi avevano schiavi e più forme di schiavitù...
- In altri casi il vecchio testamento è liquidato come superato e perfezionato dal nuovo testamento. Diviene quindi fondamentale l'interpretazione del passaggio più evidente a favore e tutela della schiavitù del nuovo testamento: la prima lettera a Timoteo di San Paolo. In tale lettera San Paolo rimanda dal suo padrone (il cristiano Timoteo) uno schiavo (Onesimo) fuggito e gli chiede di perdonarlo e di trattarlo con umanità, questo ovviamente perché la schiavitù è ritenuta giusta e, tutto sommato, irrilevante alla luce della prospettiva della vita eterna.
L'autore cerca di smontare questa lettera spiegando che la traduzione del termine “schiavo” è errata e che si dovrebbe rendere con “servo”. In realtà cambiando “schiavo” con “servo” non si capirebbe più bene perché il servo, e quindi uomo libero, debba essere obbligato a tornare dal padrone: comunque nella traduzione della Bibbia italiana, di oltre un secolo successiva e sicuramente ben accorta nella scelta dei termini, si usa sempre la parola “schiavo”...
- L'autore esamina poi l'atteggiamento delle diverse chiese americane del tempo nei confronti della schiavitù. La prima cosa che impressiona è il loro numero: per noi italiani, abituati alla predominanza cattolica è difficile rendersi conto di come la religione americana nelle sue molte varianti cristiane sia più variegata. Va bene: dire che sono tante non rende l'idea, eccone la lista completa: la chiesa cattolica (in realtà l'autore ne è così disgustato che non gli dedica uno specifico capitolo ma si limita a ribadire che la chiesa cattolica (“ammesso che sia possibile definirla una chiesa”!) è decisamente a favore della schiavitù più della gran parte di chiese protestanti), Presbyterian (old school), Presbyterian (new school), Congregational, Methodist Episcopal Church (north and south), Methodist Protestant Church, Wesleyan Methodist Connection, Baptists (Regular.), Baptists (free-will), Baptists (Seventh-Day), Evangelical Association, The United Brethren in Christ. E poi ci sono le chiese minore (!): Associate Presbytherian, Reformed Presbytherian, Free Presbytherian, i quaccheri, German Reformed, Dutch Reformed, Cumberland Presbyterian, Lutheran e i Disciple o Campbellite oltre naturalmente a varie chiese indipendenti!
La posizione di queste chiese è estremamente variegata: si va da quelle fortemente a favore della schiavitù (e che magari posseggono direttamente centinaia di migliaia di schiavi) a quelle che la ritengono un peccato mortale, più ovviamente tutte le sfumature intermedie. Esiste anche una differenziazione fra nord e sud degli USA (pochi anni dopo scoppierà la guerra civile) ma non sempre è netta.

In realtà non ho conclusioni particolarmente profonde da trarre: come avevo già scritto nel precedente Libri diversi il pregio fondamentale di questo testo, più che le argomentazioni religiose contro la schiavitù (che come detto spesso sono traballanti), sono le testimonianze prese dalla cronaca del tempo (articoli, sentenze, citazioni, leggi etc...) sul disumano trattamento ricevuto dagli schiavi nei modernissimi USA. Si capisce anzi il perché i neri americani siano tutt'ora incazzati per il trattamento subito dai propri avi!
In questo caso è inutile tentare di riassumere tali testimonianze: esse vanno lette direttamente.

Conclusione: è incredibile come libri scelti a caso si rivelino poi così interessanti. La conoscenza della schiavitù americana mi sarà poi anche utile per l'Epitome: il rapporto fra complessità del lavoro e trattamento ricevuto non è banale come sembra e, mi pare, abbia conseguenze e applicabilità estremamente generali...

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