Ho iniziato a leggere Fascisti di Giordano Bruno Guerri (Ed. Arnoldo Mondadori, 1995) per un motivo molto semplice: capire quale debba essere la definizione di fascismo.
La storia del XX secolo non mi appassiona molto, è troppo vicina a noi e, per questo, colorata politicamente in base all'ideologia dei differenti storici. Però, oggettivamente, un minimo di conoscenza in più oltre alla normale cultura scolastica non può far male.
Per questo motivo sapevo che la scelta di cosa leggere, in base al suo autore, era molto importante. Ho ereditato molti libri sulla materia da parte di mio zio il quale, scegliendoli oculatamente e con consapevolezza, acquistava sempre testi di indiscusso valore. Ma sarò sincero: quello di Giordano Bruno Guerri è stato semplicemente il primo libro sull'argomento in cui mi sono imbattuto e, riconoscendo il nome dell'autore (ho letto un paio di suoi altri libri) non ho cercato oltre.
Se ben ricordo Guerri non è uno storico ma un giornalista che scrive di storia: i suoi libri non hanno quindi la pesantezza dei saggi, in cui ogni affermazione è supportata da note/riferimenti/citazioni, ma è un'interpretazione personale piuttosto scorrevole e facilmente leggibile.
Sono quindi consapevole che quanto sto leggendo sul fascismo non è la Bibbia ma solo una delle tanti interpretazioni possibili dei fatti.
Personalmente mi è sembrata una visione coerente, logica ed equilibrata. Non ho notato dettagli incompatibili con la sua interpretazione degli avvenimenti e questo, in genere, è un buon segnale anche se, è bene ripeterlo, non conoscendo il periodo è più facile “imbrogliarmi”.
Aggiungo un'altra breve premessa. Circa un anno fa scoprii con stupore che Mussolini era dichiaratamente ateo: mi sorprese perché non capivo come gli elettori di un paese cattolico (e sicuramente l'Italia di cento anni fa lo era di più di oggi) potessero accettare un tale atteggiamento religioso. Ne discussi per epistola con un'amica appassionata di storia ed esperta di tale periodo ma non mi chiarii del tutto le idee (anche se, col senno di poi, probabilmente mi aveva evidenziato gli elementi giusti) e sono quindi rimasto col dubbio di come il fascismo sia riuscito effettivamente a prendere il potere.
Nella mia lettura sono stato quindi particolarmente attento a tre elementi: 1. la definizione di fascismo; 2. il rapporto di Mussolini con la religione; 3. come il fascismo abbia preso il potere.
Ancora non ho terminato di leggere il libro ma credo di aver abbastanza informazioni per iniziare a rispondere alle mie domande: sicuramente ci ritornerò una volta conclusa la lettura.
Infine è forse interessante spiegare quali fossero i miei “punti di partenza” sui tre punti appena esposti.
Riguardo alla definizione di fascismo avevo ben chiara in mente la spiegazione di Harari (v. Harari e il fascismo) ovvero che il fascismo è il porre la nazione a propria religione e scopo di vita. Un'interpretazione affascinante ma che avevo ritenuto un po' troppo semplicistica e, forse, volutamente provocatoria (Harari ama provocare!). Io, di mio, considerando il fascismo una dittatura, ci aggiungevo la restrizione della libertà e, in particolare, dell'espressione del proprio pensiero; quindi il controllo, anzi il monopolio, dell'informazione; l'uso della forza per imporre le proprie idee.
Sul rapporto di Mussolini con la religione, anche se come detto ne sapevo già qualcosa, mi sono posto alla lettura con un atteggiamento da tabula rasa, pronto ciò ad assorbire tutto quanto avrei letto senza preconcetti.
Sulla presa del potere del fascismo invece avevo qualche idea in più: ero consapevole di alcuni eventi che sembravano abbastanza casuali, delle opportunità colte al volto, ma a me più della particolare contingenza più o meno irripetibile, mi attraggono e interessano le tendenze che portano inevitabilmente a un certo risultato. Insomma avevo un'idea abbastanza precisa dei fatti, cioè gli eventi con le date, ma molto meno chiara delle tendenze di fondo che, alla fine, sono il terriccio su cui le contingenze si basano: se il terreno non è fertile il caso e la sorte non sono in grado di vincere sulla forza delle tendenze che premono in senso opposto (*1).
Sull'argomento avevo anche scritto un pezzo molto generico, L'origine della dittatura, che alla luce di quanto ho letto mi pare sostanzialmente corretto.
Aggiungo anche che questa mia lettura non mi ha totalmente chiarito le idee. Personalmente ho una mentalità piuttosto analitica: mi piacciono gli elenchi puntati, le definizioni chiare e nette... Invece il libro è molto discorsivo: può capitare di leggere una pagina che dà un'ottima idea di un concetto ma quando poi si cerca di sintetizzarla in poche parole ci si rende conto che è difficile, che qualcosa rimane fuori. È un po' come per i discorsi dei politici: danno l'impressione di fare affermazioni ben precise ma, analizzando quanto detto parola per parola, ci si accorge che non dicono ma niente di inequivocabile!
Insomma anch'io non ho ancora le idee chiare e cosa concludere da questa lettura: spero infatti che, come spesso accade, il riordinare i miei appunti per scriverci un pezzo mi aiuti a far luce sui passaggi più difficili...
Conclusione: non mi azzardo neppure a incominciare a trattare l'argomento del fascismo perché questa introduzione è divenuta già troppo lunga: vorrà dire che nel prossimo pezzo potrò subito scrivere di quanto letto senza perdere tempo in ulteriori premesse.
Nota (*1): Un esempio può essere la rivoluzione russa del 1917 che, come sappiamo, ebbe successo e rovesciò il potere dello zar. I socialisti europei tendevano a pensare che, inevitabilmente, rivoluzioni simili avrebbero avuto successo anche nel resto dell'Europa. Dimenticavano però la particolare condizione della Russia o, se vogliamo, le sue tendenze di fondo: pochi borghesi (evidentemente frutto di particolari tendenze politico/economiche), l'estensione territoriale russa (questa è una caratteristica fissa del paese non certo una contingenza momentanea; comunque anche considerarla una tendenza non è corretto visto che la dimensione della Russia è quel che è!), l'organizzazione statale (tendenza frutto di altre tendenze) e l'incapacità politica dello zar (questa è più una contingenza magari, volendo, frutto di una tendenza politica a una certa forma di governo e potere). Ecco potrei definire questo mio concetto di "tendenza" come una caratteristica che non cambia nel giro di pochi giorni o settimane.
alla prima stazione
1 ora fa
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