Ho poi deciso di continuare a leggere Breve storia delle religioni di Ambrogio Donini, Grandi Tascabili Economici Newton, 1991 (ma la prima edizione è del 1959).
L'argomento infatti mi interessava e le mie perplessità erano solo sullo stile dell'autore: non tutti gli autori italiani scrivono infatti per farsi capire dal grande pubblico (v. anche La cultura dovrebbe unire non dividere), alcuni di essi sembrano farlo solo per i propri colleghi.
Questo modo di scrivere è stato per anni un mio grande cruccio: negli anni '90, all'epoca dell'università, odiavo i libri dei professori italiani che riuscivano a rendere tutto difficile e incomprensibile: mi sarebbe forse potuto venire il dubbio di essere io un po' tonto se non fosse stato che invece, i pochi libri di autori stranieri (anglosassoni) che ci assegnavano, erano invece chiarissimi: scritti per far capire e non per mostrare sterilmente il proprio nozionismo.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto nel seguente aforisma di Goethe: «Certi libri sembrano scritti non perché leggendoli si impari, ma perché si sappia che l'autore sapeva qualche cosa.»
Il senso dell'aforisma è lo stesso del mio pensiero ma ciò che realmente mi chiedo è altro: qual è stato il peso di questa presa di posizione di Goethe nella cultura tedesca?
Ora io non ne ho idea ma così, a sensazione, credo che Goethe abbia avuto un'influenza sulla cultura tedesca paragonabile a quella che Dante ha avuto su quella italiana: ovvero grandissima.
È facile ipotizzare che l'aforisma sullodato rappresenti solo una frazione, un piccolo concentrato, del pensiero di Goethe su quale dovesse essere lo stile in cui esporre le proprie idee. Ho la sensazione che dopo di lui gli autori tedeschi che scrivevano in maniera eccessivamente contorta e ricercata dovessero apparire ridicoli proprio perché sembrava che non conoscessero il pensiero di Goethe al riguardo!
Non dubito che in Inghilterra sia successo qualcosa di analogo: se ben ricordo dalle lezioni al liceo i romantici inglesi conoscevano bene Goethe. Non mi stupirei se qualcuno, tipo “un Byron”, avesse prodotto un aforisma analogo a quello del grande scrittore tedesco.
Insomma la precisa presa di posizione di una grandissima autorità culturale, unita probabilmente al fatto che il tedesco non fu scelto a tavolino come l'italiano (*1), ha portato a una tradizione dove la persona colta e istruita è tale perché riesce a esprimersi in maniera chiara e comprensibile anche da chi istruito e colto non lo è.
Tornando al Donini il suo stile è piano ma preciso e mi ha dato la sensazione di una persona molto intelligente. Ho anche appurato che egli era proprio un comunista (due legislature come senatore per il PCI) e aveva quindi una visione marxista della religione.
Qua e là emergono degli accenni anacronistici di velata (ma non troppo) ammirazione per l'URSS che non cessano di divertirmi: tipo "...là dove si stanno creando nuove condizioni per il passaggio a una fase superiore di civiltà." oppure “...in alcune grandi regioni del mondo si va costruendo una società senza classi...”
Trovo buffo il contrasto fra la percezione e la realtà dell'URSS di una persona, che come detto doveva essere molto intelligente, che sembra confondere l'ideologia con la sua realizzazione pratica.
Attualmente ho letto una quarantina di pagine ed è già emerso un concetto interessante. Secondo il Donini la religione nasce come riflesso della società. La struttura della religione replica infatti quella della società. In una società primitiva, dove le relazioni fra individui sono essenzialmente basate sui legami famigliari, anche la divinità è vista come un parente, magari un antenato comune all'intera tribù.
Quando invece nella società si differenziano le prime classi sociali ecco che anche la religione si complica e ne replica in parte la struttura: ad esempio immaginandosi la separazione fra corpo e anima. Oppure il Dio unico lo si ha solo dopo che nella società si è creata la figura del re.
Duplice la funzione della religione: i poveri vengono parificati, almeno spiritualmente, ai ricchi; i ricchi e potenti sono invece socialmente e moralmente giustificati (*3).
Insomma per il Donini la religione da una parte prende ispirazione dalla società per definire le proprie strutture e principi, dall'altra (mia sintesi) ha la funzione di stabilizzarla.
Io non mi sono mai posto il problema di come effettivamente nasca una religione ma l'idea che rifletta la struttura della società mi pare plausibile. Però personalmente resto però dell'idea di Harari: delle antiche società preistoriche si sa poco o nulla e tutte le teorie, come quella del Donini, sono in realtà solo delle ipotesi.
Chiudo con un'osservazione minore del Donini ma che io ho trovato particolarmente illuminante: in riferimento alle popolazioni primitive spiega che per queste non può esistere il concetto di miracolo perché «L'idea stessa di miracolo richiede la conoscenza di almeno alcune delle leggi della natura, sia pure interpretate in modo inadeguato...».
Da un punto di vista pratico non so se possa esistere una società talmente primitiva da non aver cercato di interpretare in qualche modo i fenomeni naturali; ma dal punto di vista logico l'affermazione del Donini non fa una piega: se non si conoscono le leggi di natura non è possibile stabilire cosa le trascenda (*4).
Conclusione: no, il Donini e Goethe hanno poco in comune e il titolo è forse fuorviante: mi è sembrato però interessante ripercorrere i processi mentali che mi hanno portato ad associarli insieme...
Nota (*1): la scelta di identificare il toscano con l'italiano ha fatto sì che già dagli albori (*2) della letteratura italiana le popolazioni di altre regioni fossero tagliati fuori dalla produzione letteraria degli autori “colti” che scrivevano in italiano/toscano. Viene da pensare che l'autore italiano che venisse compreso da tutti si sentisse in imbarazzo per non aver scritto in maniera abbastanza dotta!
Nota (*2): qui avrei voluto scrivere “incunaboli” ma mi sarei dato la zappa sui piedi!
Nota (*3): come al solito mi pare più precisa la mia visione di religione stabilizzatrice della società che, ovviamente, si può poi esplicitare nelle maniere diverse illustrate dal Donini.
Nota (*4): non so perché questa idea mi intrighi così tanto: probabilmente a livello inconscio ci colgo delle analogie con altri principi che però, al momento, mi sfuggono. Comunque se sono rose fioriranno!
Sonetti d’amore. Giacomo da Lentini
3 ore fa
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