Nella scorsa puntata (Resa dei conti 2/?) mi ero congedato lasciandomi una nota su come proseguire nel pezzo seguente: l’amore “moderato” e il “ruolo” dell’Epitome.
Partiamo dall’argomento più semplice: come può un amore essere moderato? Sembra un contro senso, no? Se l’amore non è assoluto è possibile chiamarlo amore?
Anni fa, circa una ventina per la precisione, la pensavo proprio così: ero romantico e l’amore era qualcosa che avevo idealizzato. “Omnia vincit amor” pensavo e ci credevo veramente.
Scoprii però una dura lezione: non è vero, l’amore è un’illusione e le sue vittorie, quando ci sono, sono solo temporanee. L’amore è un appetito che distrae, che finge di dare un significato alla vita, ma in realtà è solo il mezzo per portare alla procreazione.
Ecco allora il mio amore “moderato”: un’emozione intesa come disponibilità all’amore. Una forma mentale prudente in cui si dice all’altro “tu mi piaci e sto volentieri con te: se anche per te è lo stesso allora mettiamoci insieme, altrimenti amici come prima”. Insomma un’impostazione mentale meno pericolosa, meno vulnerabile, perché già mette in preventivo la propria fine.
Il ruolo dell’Epitome è più complesso e, prima, devo spiegare il rapporto con il mio ghiribizzo, ovvero questo blog.
Per la maggior parte delle persone tenere un sito di questo genere è una distrazione, uno svago: magari un modo per conoscere individui con interessi simili e scambiare idee. Altre volte una vetrina dove cercare di mettersi in mostra dipingendosi meglio di quanto non si sia. Insomma un passatempo innocuo che dura fin quando diverte oppure non si trova qualcosa di meglio da fare.
Io invece l’ho interpretato in maniera diversa: fin dall’inizio non mi sono limitato a scrivere di uno specifico argomento ma ho sempre alternato pezzi di generi profondamente diversi cercando di riflettere i miei interessi eclettici.
Non ho cercato di piacere ai lettori con pezzi corti, divertenti, facili da leggere e ricchi di foto: in verità infatti volevo esprimere me stesso. Non mi interessava essere seguito dal maggior numero possibile di persone ma fare un autoritratto della mia personalità.
E penso di esserci riuscito: rileggendomi sento bene la mia voce, quella del mio pensiero che riecheggia nella testa. Spesso allegra, talvolta profonda, quasi sempre cervellotica.
Non mi capita mai di leggere qualcosa di falso che non riflette cioè il mio pensiero: certo, nel tempo posso aver cambiato idea, ma vi riconosco la sincerità del momento. Non volendo accattivarmi il favore di nessuno, non volendo piacere, non ho cercato di mostrarmi migliore di quanto non sia ma mi sono sempre limitato alla mia verità: ecco, al massimo, mi sono autocensurato consapevole che in Italia la libertà d’espressione è tollerata fin quando non disturba i potenti. Altrimenti sarei stato molto più duro verso la maggior parte dei politici tanto è alto il mio disprezzo per il loro tradimento morale e la nausea per la loro ipocrisia.
Il punto è che nelle migliaia di pezzi che ho scritto (2888 con questo) ho infuso il mio pensiero e, quindi, l’essenza della mia persona. Quello che leggete sono io: se poi mi incontrate di persona non sono molto diverso: certo l’aspetto è quello che è! Rispetto alle vignette ho accumulato una certa pancetta e le rughe di una vecchiaia pigra; poi ho un’orribile vocina stridula, e a voce mi esprimo in maniera molto più impacciata e confusa di come si potrebbe credere leggendomi: sono lento a pensare e dal vivo tendo ad assorbire ciò che viene detto per rifletterci sopra con calma: cerco di capire le ragioni altrui piuttosto che metterle in discussione controribattendo così, tanto per avere l’ultima parola. Però, se avete la pazienza di conoscermi, vi accorgerete che l’essenza profonda è la stessa: il pensiero è il medesimo.
E rivedendovi me stesso amo questo mio ghiribizzo: del resto non si amano nei figli le nostre caratteristiche che riconosciamo in loro? E se sì può amare la forma del mento, il colore degli occhi, il profilo del naso e simili lo stesso non vale, e a maggior ragione, per il proprio pensiero?
Un figlio tramanda ai posteri le nostre caratteristiche più superficiali e, forse, alcuni aspetti del carattere: elementi che però si fondono insieme in una personalità alla fine quasi completamente aliena dalla nostra. Un blog come questo invece tramanda la nostra essenza più profonda.
Quindi se questo ghiribizzo è il figlio della mia mente allora che cos’è l’Epitome?
L’Epitome, nata come sintesi delle teorie di cui avevo disseminato il blog, alla fine è diventata la mia visione della realtà attraverso l’applicazione della mia intelligenza e intuizione. Se il ghiribizzo è l'albero che rappresenta il mio pensiero allora l’Epitome è il frutto dello stesso. Come vedo il mondo comprese le sue logiche e leggi nascoste.
Un’opera di cui vado molto fiero: quando sento o leggo intellettuali anche importanti, sia viventi che del passato, riconosco gli aspetti salienti del loro pensiero e posso inquadrarli nel contesto più ampio della mia teoria: vedo quindi facilmente i loro limiti, ciò che non hanno pienamente compreso e quello che questo comporta. Talvolta raffino poi le mie stesse idee ma, almeno per il momento, non vi ho scoperto errori significativi: è più un espandere e completare piuttosto che un correggere.
Insomma, con l’immodestia che mi contraddistingue, mi pare di aver scritto un qualcosa di molto importante che, se fosse condiviso, porterebbe prima a una migliore comprensione della realtà e, come conseguenza, a un’evoluzione positiva della società.
Il grosso SE è che questa mia opera non viene letta da nessuno: il suo problema, oltre alla sua complessità che scoraggia il potenziale lettore occasionale, è che è troppo avanti nel futuro.
In realtà non l’ho scritta per i miei contemporanei ma, come per il ghiribizzo, essenzialmente per me stesso. Una quantità inusitate di idee e concetti sono totalmente innovativi: si richiederebbe quindi al lettore un’apertura mentale inconsueta, la capacità di immaginare un mondo diverso che segue regole mai enunciate prima.
Posso invece facilmente immaginarmi il lettore che ha scaricato per sbaglio il PDF dell'Epitome che pensa “ma questo è matto!”, “perché dovrei leggere questo scritto complicato opera di uno sconosciuto: senza dubbio non ne vale la pena ed è una perdita di tempo!”
Che dire: il mio percorso è stato anomalo. Ho seguito caparbiamente la mia strada anche quando mi faceva camminare in direzione opposta alla folla dei miei simili.
Di solito chi scrive inizia a farlo da giovane e, contemporaneamente, inizia ad apprezzare i giganti della cultura che ci hanno preceduto: si confronta con loro in un dialogo segreto dove, spesso, ha l’ultima parola. Forse è per questo che li ama: gli autori che ci parlano con le loro opere non ci contraddicono mai completamente e, anzi, possiamo sempre immaginarci che ci diano ragione annuendo solennemente.
Io no: ignorante come una capra fino, praticamente, a quando morì mio zio Gip. Allora, anche per rispetto nei suoi confronti, iniziai a leggere i libri che lui aveva amato tanto. E così ho scoperto che quello che leggevo mi rimaneva attaccato: all’anima, al mio spirito: i pensieri antichi si rigeneravano dentro di me, riprendevano vita divenendo attuali. E infatti faccio molta fatica a distinguere il mio pensiero da quello che leggo una volta che l’ho assimilato.
Ecco, nel complesso ho letto pochissimo ma ho rielaborato profondamente le nozioni che più mi hanno colpito mentre altre idee sono nate spontanee, un po’ come funghi dopo la pioggia. Spesso, dopo aver letto un autore, mi sembra di averlo capito profondamente e di poter quasi parlare in sua vece.
Io mi vedo come un pensatore ma probabilmente sono più simile a un frullatore! Le verdure e la frutto che assimilo vengono sminuzzate insieme producendo una poltiglia amorfa. Di sicuro l’aspetto non è bello e il sapore non sarà meglio ma credo che comunque faccia bene.
In definitiva sono un uomo di scarsa cultura ma con una discreta (abbondante) intelligenza e una smisurata intuizione sovrapposta a una grande fantasia: il prodotto di questi fattori è l’Epitome.
Sicuramente avessi iniziato a scrivere da giovane adesso le parole mi verrebbero facili: invece faccio una fatica del diavolo a metterle insieme. Le devo prendere a martellate cercando di farle stare insieme e di smussare le imperfezioni che immancabilmente compaiono qua e là.
Devo dire che, mi pare, di avere almeno il merito di riuscire a scrivere in maniera abbastanza chiara: il problema è che i miei pensieri sono complessi e le due cose si controbilanciano annullandosi a vicenda. Se mi limitassi a scrivere banalità forse riuscirei a farlo con una certa grazia e agilità. Non so: forse…
Conclusione: e anche per oggi ho scritto più che abbastanza. Per la prossima puntate mi annoto i seguenti due argomenti: la mia “metafisica” e le parole santissime.
alla prima stazione
1 ora fa
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