Durante la mia breve vacanza ho anche finito un libro che mi aveva prestato mio padre. Come sempre, a suo dire, si trattava di un giallo fantastico: in realtà l'ho trovato a malapena sufficiente.
Si tratta di Quattrocento di Susana Fortes, Editrice Nord, 2007, trad. di Manuela Vallone e Rosa C. Stoppani.
Suppongo che il giudizio di mio padre sia stato influenzato dall'ambientazione: metà ai giorni nostri e metà nel XV secolo e, in entrambe le epoche, a Firenze.
Secondo me è ben scritta e credibile solo la parte medioevale mentre il giallo di per sé è inconsistente, a tratti noioso e non soddisfa le aspettative create.
In realtà il motivo per cui scrivo di questo libro è per raccontare un piccolo aneddoto.
Il nome dell'autrice è ben in evidenza sulla copertina sopra il titolo ma, per qualche motivo, mi ero limitato a leggerlo come “Susan qualcosa” ed ero convinto che l'autrice fosse anglosassone. In effetti il suo volto (è bionda) nella foto, in quarta di copertina, non sembra particolarmente iberico...
Fin qui niente di interessante: solo notevole la mia distrazione che, per oltre una settimana, non mi ha permesso di leggere con attenzione il suo nome...
Da quando scrivo sono anche diventato più attento a particolari dello stile e della trama che prima non mi avrebbero colpito.
Per questo motivo, durante la lettura (*1) mi chiedevo come mai un'autrice inglese avesse scelto come personaggio protagonista una ragazza spagnola di nome Ana. Alla trama, il fatto che Ana sia spagnola, non aggiunge niente ma è solo l'occasione per qualche (noiosa) pagina che descrive la Galizia.
Così ipotizzavo che avesse sposato uno spagnolo o che avesse vissuto a lungo in Spagna o altre ipotesi più o meno complicate per spiegare questa presunta anomalia.
Solo a fine lettura, leggendo le quattro pagine di ringraziamenti, ho scoperto che l'autrice è effettivamente nativa della Galizia e che il suo nome non è Susan ma Susana!
Sempre durante il mio breve soggiorno al mare ho rivisitato la solita libreria di libri a metà prezzo. Sfortunatamente la bella libraia (v. La bella libraia 2) non c'era ma, in effetti, nemmeno ci speravo.
In compenso erano finalmente arrivati nuovi libri di fantascienza a prezzi stracciati.
Ho comprato quattro romanzi della Nord serie Argento (una garanzia!) e un quinto libro: il primo di una serie. Di solito non acquisto un libro che fa parte di una serie se non sono disponibili anche i successivi ma, in questo caso, ho fatto un'eccezione. Da una lettura cursoria avevo notato che la sua strettura interna era molto peculiare e mi avevano incuriosito gli accenni a varie mitologie nella quarta di copertina.
Proprio per soddisfare questa curiosità ieri ho iniziato a leggerlo e devo dire che, almeno per il momento, ne sono entusiasta: difficile che l'autore riesca a mantenere le aspettative; molto più facile che la trama si rovini in banalità.
Nell'introduzione anche il traduttore spiega che, a causa dei numerosi riferimenti non immediatamente comprensibili dai lettori non anglosassoni, sono state inserite varie note esplicative.
Così, oltre a gustarmi l'alta qualità dello stile (nettamente superiore alla media della fantascienza), mi diverto anche a cogliere i vari riferimenti inseriti dall'autore.
Il primo che ho notato è la menzione dello scrittore Liebkraft che, in un suo racconto, parla della famiglia Carter, la stessa del protagonista.
Per un appassionato di Lovecraft come me è stato immediato collegare i due nomi: uno (e forse più) dei racconti più affascinanti di Lovecraft ha infatti come protagonista un certo Carter nonno del protagonista di questo libro!
Il secondo capitolo inizia poi con «Dal Grande Aldilà lei lo udì, arrivare dal Profondo Aldiquà. Dal Grande Aldilà la dea lo udì, arrivare dal Profondo Aldiquà. Dal Grande Aldilà Inanna lo udì, arrivare dal Profondo Aldiquà.»
E qui sono andato in brodo di giuggiole! Impossibile non riconoscere questa famosissimo incipit della letteratura sumera con le sue tipiche ripetizioni!
“Sì, vabbè” - direte voi - “che ne sai tu della letteratura sumera: avrai letto una paginetta su Wikipedia...”
Invece no: ho letto il libro Inanna – Queen of Heaven and Earth di Diane Wolkstein e Samuel Noah Kramer, Harper & Row Publishers, 1983.
Di seguito l'inizio di From the great above to the great below: «From the Great Above she opened her ear to the Great Below. From the Great Above the goddess opened her ear to the Great Below. From the Great Above Inanna opened her ear to the Great Below.»
“Sì, vabbè” - direte voi - “hai il libro, magari era di tuo zio, lo hai aperto per la prima volta quando hai visto il nome di Inanna e ti sei imbattuto per caso proprio nell'inno citato dal libro di fantascienza: non mi fai fesso!”
Invece no: questo libro me lo comprai una decina di anni fa in Olanda e lo lessi con grande interesse. Rimasi infatti profondamente colpito da questa mitologia...
“Sì, vabbè” - direte voi - “Lo dici tu di averlo letto e di esserne rimasto colpito: sicuramente non ne hai nessuna prova!”
Invece no: qualche prova sebbene indiretta la ho. Non mi piace svelare i “segreti esoterici” dei miei pezzi ma avete presente la mia vignetta per Esoterico? Riuscite a indovinare adesso chi è la mia dea preferita?
Nel pezzo Peggior racconto propongo poi uno stralcio di una breve storia che scrissi qualche anno fa (mi pare nel 2009 o 2010). Lo stralcio inizia con “E tu, Prima Figlia della Luna...” e, sapete a quale dea è attribuito il titolo di “Prima figlia della Luna”? Esatto: a Inanna. E, successivamente, nella mia lunga lista ne uso molti altri...
Conclusione: il libro di fantascienza di cui sto parlando è Cronache perdute del mondo dei diavoli di Hal Duncan, Newton Compton Editori, 2007, traduzione Stefania Di Natale.
Nota (*1): e in pratica fino in fondo al libro!
alla prima stazione
1 ora fa
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