Ho perso entusiasmo per scrivere qui sul ghiribizzo. Un curioso motivo psicologico.
Da quando ho ricevuto lo “strike” sono infatti entrato nell’ordine delle idee che questo ghiribizzo mi sarà chiuso a breve: chiaramente mi dico “pazienza: guadagnerò tempo per fare cose più utili”.
E ne sono già convinto: del resto, come ho sempre scritto, scrivevo più per me che per gli altri e, proprio per questo, avere pochissimi lettori non è mai stato un problema. Alla fine passare da pochi a zero non fa tutta questa differenza.
Contemporaneamente però questo convincimento mi ha tolto energie per scrivere anche su argomenti neutri o irrilevanti: perché impegnarmi nello scrivere qualcosa di interessante, o comunque faticare per mettere nero su bianco le mie idee se, tanto, a breve tutto verrà cancellato? Meglio fare altro, no?
Per questo ancora non ho avuto voglia neppure di scrivere il mio pezzo di commento a Strabuccinator (che di solito mi diverte molto).
Avevo anche, per esempio, una mezza idea di collegare insieme Longo (“Psicologia criminale”) a Hobsbawm (“L’età degli imperi”) mediante la fisica: ma chi me lo fa fare?
Vabbè, mi limito a una considerazione psicologica che mi pare interessante. Consideratelo un pensiero di addio: un ricordo di cosa era questo ghiribizzo e che non sarà più
Ben due persone, sapendo della censura ricevuta, mi hanno suggerito se potrebbe essere stato Caio o Sempronio a fare la segnalazione. Io invece non avevo neppure preso in considerazione l’idea optando invece per un algoritmo automatico che banalmente avesse trovato il collegamento incriminato e, magari, si fosse confuso con termini usati nel corto successivo (ma all’interno dello stesso articolo dal punto di vista di Blogger) su Nietzsche.
Questo mi pare un ottimo esempio dell’errore fondamentale di attribuzione.
In occidente, quando accade una vicenda e si cerca di comprenderne i motivi, si tende a favorire la causa umana al posto di qualcosa di più generico come le circostanze.
L’esempio tipico: un nostro collega arriva tardi al lavoro e si pensa che sia pigro e abbia dormito troppo invece che, per esempio, abbia forato una ruota dell’auto: insomma colpa della persona e non degli eventi.
Nel mio caso attribuire a una persona la segnalazione invece che a un algoritmo (stupido) mi sembra un modo di pensare molto simile che, nella sua essenza, consiste nell’attribuire intenzioni o volontà specifiche a individui anche quando esistono spiegazioni alternative, anche più probabili.
In questo mio caso, per esempio, io avevo scartato l’idea della persona perché il pezzo incriminato era essenzialmente innocuo mentre invece sono sicuro di aver scritto molti altri articoli in cui mi sbilancio molto di più in giudizi e idee. Una persona che avesse voluto farmi censurare avrebbe scelto materiale diverso; un algoritmo stupido invece si basa sulla presenza di un collegamento e, forse, su eventuali termine di contorno. Il tutto magari traducendo malamente dall’italiano all’inglese.
Vabbè: fra qualche tempo non potrete più leggere pezzi interessantissimi come questo. Non una grave perdita in effetti.
Ah! un amico mi ha scritto: “Il mio rammarico per la censura che subite si accompagna alla realtà dei fatti: queste piattaforme sono gratuite e quindi con limiti evidenti, come esse vi hanno ricordato.”
La frase sembra implicare che se voglio usare un prodotto devo adeguarmi alle regole che ne stabiliscono l’uso, oltretutto gratuito.
Il mio punto, che avevo cercato di spiegare in “Sono stato censurato” (mi fa fatica inserire il collegamento), è che nel pezzo censurato non ho violato nessuna regola: ho semplicemente condiviso un collegamento sgradito. Non c’era materialmente spazio per inserire un “contenuto ingannevole” in 80 parole e 508 caratteri: no, vabbè, volendo per una frase ingannevole ne bastano anche meno. Quello che voglio dire è che non ho violato nessuna regola: è tutto un automatismo.
La questione non è quindi che si debba rispettare i termini d’uso ma che, se ti vogliono censurare, lo fanno comunque dicendo che li hai violati anche se non è vero. Poi il risultato finale è lo stesso ma la differenza, l’uso di un pretesto, è significativo se non altro come prova dell’ipocrisia di questi giganti informatici.
Sarebbe poi doveroso che questi siti spiegassero esattamente cosa e dove si siano infrante le regole: non limitarsi a dire che il pezzo contiene una violazione, così, senza specificare niente.
Il vero motivo per cui ciò non viene fatto è che nemmeno le grandi aziende lo sanno!
È un algoritmo che decide tutto senza capire niente: vede alcune parole chiave e decide che il pezzo è da censurare senza comprendere niente del contesto. Soprattutto, immagino, se l’articolo originario non è in inglese.
Se queste aziende specificassero che il contenuto ingannevole è XXX ci sarebbero molti ricorsi perché sarebbe facile dimostrarne, spesso, l’arbitrarietà: io credo che l’effetto complessivo sarebbe una diminuzione del 99% delle censure e, magari, con costi legali significativi (almeno negli USA).
Avevo iniziato a scrivere questo pezzo qualche giorno fa e, proprio ieri, ho fatto una scoperta interessante. Provate a cercare “The h0p& accord” su Google e poi su DuckDuckGo: nel primo caso vi chiederà se magari non cercavate “The h0p& accordi” senza poi fornire nessun collegamento al sito in questione; nel secondo caso il sito della petizione è, correttamente, il primo restituito.
Questo conferma il mio sospetto che sono stato censurato solo per aver condiviso tale collegamento: niente di ciò che avevo scritto, come spiegato, era fuorviante.
E questa censura di Google spiega anche perché, in genere e in questo caso, non possano spiegare quale clausola delle regole della comunità si sia violato e dove, cioè in quale frase: apparirebbe infatti evidente che l’utente non ha violato nessuna regola!
E poi, se ci pensate, come facevo io a sapere che tale collegamento non può essere pubblicato?
Che io sappia non ci sono liste di proscrizione consultabili per sapere cosa si può condividere e cosa no.
Del resto il sito in questione è assolutamente legittimo: magari si può essere contrari alla petizione ma essa, di per sé, è perfettamente ragionevole.
Forse potrei cercare di scrivere una petizione proprio per chiedere l’obbligo per i colossi informatici di specificare esattamente la frase o le frasi che violano le regole della comunità/termini di servizi e, ovviamente, qual è la regola/e violata/e. Ma ovviamente sarebbe una perdita di tempo…
L’ambiguità è un po’ come se sull’autostrada ci fosse la regola della comunità: “Non viaggiare troppo velocemente”. A quando si deve andare: massimo a 130 Km/h?
Però poi, anche se si va a 120 Km/h si prende ugualmente la multa perché, nell’arbitrarietà della regola, ci viene detto che nelle curve pericolose si doveva viaggiare massimo a 110Km/h e non a 130.
Se poi, per non correre rischi, si decide di viaggiare a 80Km/h ecco comunque che arriva la multa perché con la pioggia, ci dicono, si deve viaggiare sotto i 60Km/h.
Infine si vede un tizio che guida a 200Km/h che però non prende nessuna multa perché va nella direzione opposta alla nostra! Allora nessun problema si può dire tutto in tal caso.
L’ambiguità della violazione corrisponde invece ad accusare una persona di furto senza specificare che cosa abbia rubato, dove e quando. Vi sembrerebbe giusto? Ovviamente non lo sarebbe: l’onere della prova dovrebbe spettare all’accusa e non alla difesa. Invece con Google & C. il principio è rovesciato: si subisce un accusa generica e all’utente spetta poi il compito di dimostrare la propria innocenza senza neppure sapere esattamente per cosa.
E, riassumendo, cosa ho deciso di fare? Come rispondo alla domanda del titolo?
Beh, da quando ho iniziato il pezzo due giorni fa, mi sono reso conto di non essere più interessato a mantenere questo sito.
La libertà di scrivere tutto ciò che è consentito scrivere non è vera libertà!
Né ho voglia di misurare ogni mia parola e, magari, di autocensurarmi: primo, come dimostra questa mia specifica esperienza, bisognerebbe avere dei poteri extrasensoriali per sapere in anticipo cosa sia possibile scrivere/condividere; secondo non poter scrivere/dire qualcosa è il primo passo per smettere di pensarla: preferisco avere le mie idee, anche solo per me stesso, che non averle per niente.
Mi sono anche detto che, così facendo, “gliela do vinta”: ma qui devo essere realistico. La mia influenza sul resto della popolazione è nulla. Come ho scritto passare da dieci lettori a zero non fa nessuna differenza. Posso investire decisamente meglio il mio tempo in altri modi.
Per questo credo che ridurrò i nuovi pezzi al minimo: i pezzi su Strabuccinator, sulle nuove versioni dell’Epitome, rispondere a eventuali commenti (compresi i 7 di Anonimo ancora in sospeso!) e, bo, qualunque altra cosa mi sembrerà appropriato (magari aggiornamenti sulla censura di Google & C).
Poi, come ho scritto altrove, vi erano dei pezzi di utilità personale: che mi aiutavano cioè a memorizzare, ricordare e rintracciare idee, concetti e ragionamenti frutto delle mie disparate letture. Queste cose dovrò continuare a scriverle ma sicuramente non lo farò qui sul ghiribizzo: devo ancora decidere se usare un quadernone (più veloce) o, comunque, un supporto informatico (maggiore portabilità). Deciderò con calma.
Vabbè, ho deciso anche di provare a fare appello usando il collegamento fornito nell’epistola che Blogger mi ha spedito. Oramai sono sicuro, verificata la censura del sito della petizione da parte di Google, che non vi sia stato nessun equivoco, magari causato dai vocaboli usati nel corto seguente su Nietzsche/Jung: ma tentare ormai non nuoce né mi interessa, eventualmente, aumentare le probabilità di essere “perdonato” aspettando improbabili novità.
Conclusione: i pochi lettori arrivati fin qui mi facciano un piacere e, essenzialmente per “dispetto” a Google, vadano a vedere il sito censurato dopo aver provato a cercarlo su tale piattaforma. Oltretutto sarà istruttivo anche per voi farvi un'idea di ciò che il potere non vuole che leggiate.
Già, un ultimo commento: non ripetetemi la litania che le aziende private possono imporre le regole che vogliono ai propri utenti. Non è questo il punto! A Google & C. non importa niente di questa petizione: è il potere politico (su pressione delle relative lobbi) che ha chiesto loro di censurarlo.
Questa è censura del potere, quindi politica, mascherata come censura del privato.
Poi ci sarebbe da scrivere sulla Baronessa Tedesca visto che limitare la libertà d’espressione (oltreché il suo supporto assoluto alla guerra e al genocidio palestinese) è parte fondamentale del suo programma di governo: ma non voglio divagare. Vi consiglio solo di prendere nota di quali partiti italiani l’hanno votata (o che l’avrebbero votata in cambio di un “contentino”: leggi Fratelli d’Italia) e di ricordarvelo alla prossima elezione ammesso che ci sia: sempre grazie alla Baronessa potremmo ritrovarci in una guerra nucleare o completamente privi anche della parvenza di democrazia che abbiamo oggi.