Per diversi motivi sono rimasto indietro su vari commenti che volevo fare a libri che sto leggendo: vediamo di iniziare a rimediare…
Sfortunatamente “A Hunter-Gatherer’s Guide to the 21st Century” di Heather Heying e Bret Weinstein (v. anche I primitivi del XXI secolo) si sta rivelando un libro molto meno ambizioso di quanto sperassi.
A me sarebbe piaciuta un’analisi sociologica delle difficoltà che la vita moderna pone all’uomo che si è evoluto in un ambiente totalmente più semplice per oltre 200.000 anni. Invece il libro si concentra su argomenti molto più specifici e da cui è arduo generalizzare: la salute, il cibo, la sessualità etc.
Però negli ultimi giorni ci ho ripensato e credo che proprio nel primo capitolo (quello al momento più interessante) vi fosse una verità molto importante che, pur menzionandola, ho sottovalutato.
Si tratta del valore epigenetico della cultura di una popolazione. In altre parole la cultura non è ovviamente espressa dei geni ma evolve in maniera analoga, con continue mutazioni che possono venire accettate o respinte, il cui scopo ultimo è massimizzare l’espressione del genoma.
Facile sottovalutare questa affermazione perché si tratta di idee che ho già trovato da più parti e che sembrano piuttosto intuitive e ragionevoli.
Il vero punto sono le sue implicazioni: che cosa significa il vago “massimizzare l’espressione del genoma”?
In parte aiutare il singolo individuo a trarre il massimo vantaggio dalla propria genetica: per esempio la cucina tradizionale è sicuramente un aspetto culturale di una popolazione ma, secondo alcune ricerche, sembra anche che vada incontro alle caratteristiche genetiche dei relativi individui (magari per compensare la tendenza a eventuali carenze). Il caso più significativo è quello degli inuit che hanno una dieta molto grassa (soprattutto balene e foche!) che poche altre popolazioni tollererebbero; viceversa la dieta mediterranea potrebbe non essere altrettanto sana per gli inuit come lo è per gli italiani.
Ma soprattutto “massimizzare l’espressione del genoma” significa moltiplicarlo ovvero favorire la moltiplicazione e la diffusione della relativa popolazione.
Da questo punto di vista fenomeni come l’integrazione o l’assimilazione degli immigrati dal punto di vista culturale assume un significato molto diverso.
Le comunità di immigrati che non accettano la cultura del paese ospitante ma che cercano, per quanto possibile, di mantenere la propria sembrano entrare in competizione genetica, ovvero riproduttiva, per la diffusione della propria discendenza in una sorta di competizione darwiniana.
Anzi, detta diversamente, sono le culture a essere in competizione darwiniana fra loro: e quella che non fa riprodurre la propria popolazione che l’adotta più di quelle “avversarie” verrà da queste sostituita.
Insomma le implicazioni sono notevoli e devo ancora rifletterci bene: spulciando i vari capitoli mi pare che nell’ultimo ci ritorni sopra e spero quindi di comprendere meglio il tutto…
Volevo poi spendere qualche parola anche sulla “Rivoluzione tradita” di Trotsky ma non ricordo più esattamente cosa! Ne approfitto quindi per scorrere brevemente le mie note al riguardo…
Tradotto al volo: «Stalinismo e fascismo, nonostante la profonda differenza dei fondamenti sociali, sono fenomeni simmetrici. In molti dei loro aspetti mostrano mortali similarità.» (*1)
E questo lo scrive Trotsky, uno dei principali protagonisti della rivoluzione russa, nel 1936 mentre molti comunisti nostrani ancora negli anni ‘80 (*2) non se rendevano o non volevano rendersene conto.
Chissà come sarebbe stata l’URSS se Stalin non avesse preso il potere distorcendo per la perpetuazione del proprio potere tutte le idee di Lenin e chiamando il risultato “comunismo realizzato” (*3).
Chi è contrario a prescindere al comunismo potrebbe affermare che non sarebbe cambiato niente e il risultato finale sarebbe stato lo stesso perché, per esempio, alcuni principi capitalisti sono necessari nella società moderna ma io personalmente non ne sono così sicuro...
Un concetto secondario ma molto interessante: la qualità dei prodotti è incompatibile con la burocrazia perché richiede libertà di scelta e di critica.
Che dire? Mi pare corretto.
Se complessivamente sono favorevolmente impressionato dalla lucidità con cui Trotsky riesce a leggere la situazione dell’URSS e le sue prospettive sociali spesso rimango invece sorpreso dal suo ottimismo, sulle possibilità che il vero comunismo possa comunque trionfare: e questo nonostante le “purghe” staliniane contro l’opposizione politica nel partito già in atto e di cui Trotsky era a conoscenza.
L’autore ha infatti fiducia nella classe operaia e nei giovani mentre sottovaluta la violenza abnorme della repressione e dell’importanza dell’indottrinamento e della propaganda. I giovani sono facilmente manipolabili e impressionabili e per quanto a lungo la classe operaia poteva ricordare gli ideali originali del comunismo: le idee invecchiano con gli uomini. E, dato il pericolo, quale era l’operaio che aveva voglia di rischiare di mettere in pericolo la propria famiglia criticando la politica di Stalin?
Premesso questo diviene chiara la mia nota a riguardo: «T. suppone che operai vogliano socialismo: ma questo potrebbe essere vero solo se capissero cosa sia il socialismo. Ma questo presuppone la comprensione che la società del tempo non era socialista: realtà però negata dall’autorità.»
Ecco spiegata l’insistenza delle autorità sovietiche a definire comunismo la società così strutturata da Stalin: definizione prontamente assorbita in occidente da comunisti e non.
Ecco spiegata anche l’importanza del nascondere, dello sfruttare il peso delle parole e delle facili etichette: la verità è che le persone non istruite (e non solo loro in realtà) sono facilmente confuse dalle parole. Gli ideali e i principi vengono sostituiti da motti e bandiere. Insomma ripetendo sufficientemente all’operaio che è libero perché il comunismo è stato realizzato egli avrebbe finito per crederci.
E non è questo quello che ancora oggi succede? Le autorità ci ripetono che siamo liberi perché viviamo in democrazia mentre contemporaneamente si dimentica il vero significato della libertà.
Libertà non è censura, non è repressione del dissenso, non sono obblighi arbitrari ma, siccome siamo una democrazia, ogni abuso è permesso e giustificato.
Il controllo delle parole, del linguaggio, facilità la gestione della narrativa dominante.
Conclusione: vabbè, sul finale ho scoperchiato un calderone che rischiava di portarmi completamente fuori strada! Comunque questo è il motivo per cui io, per esempio, chiamo “pro-libertà” i “no-vax”: nel prefisso del secondo termine è infatti già implicito un giudizio negativo: il “no-vax” è così molto più facilmente rappresentato come una persona che nega (la verità, la scienza, il giudizio degli esperti, l’informazione dei media). Quanto più difficile sarebbe impostare questa narrativa soltanto chiamando “pro-libertà” i “no-vax”!
Nota (*1): tradotto al volo da “The revolution betrayed and Other Works” di Leon Trotsky, (E.) Graphyco, 2021, trad. Max Eastman, pag. 213.
Nota (*2): beh ho scritto anni ‘80 per essere prudente ma personalmente conosco vecchi comunisti che ancora nel 2020 si vantavano di essere stalinisti!
Nota (*3): ovvero un’imitazione meno efficace del capitalismo dove il posto della borghesia viene preso dalla burocrazia: il contrario di ciò che avevano in mente Marx e Lenin.
Caval donato, bue 'frescato
17 minuti fa
Ci sono infiniti paradossi e contraddizioni nella cosiddetta "sinistra".
RispondiEliminaNe cito uno, alla luce del tuo post.
Il rapporto di tutela che il Partito o "Classe Dirigente" impone alla "Classe Operaia" e l'inevitabile conseguenza che si traduce in una nuova aristocrazia che signoreggia sui servi della gleba e che per preservare se stessa non solo fa di tutto per tenere i servi nella loro condizione ma ne vuole estendere il più possibile il numero.
Mi fa un po' ridere il tuo scrivere della "fiducia nella Classe Operaia e nei giovani", quando, ripeto, la Classe Operaia non potrà mai essere niente di altro o di diverso e i giovani nascono per accudire le macchine.
La libertà non è qualcosa che ti viene concesso, è qualcosa che è connaturato alla tua essenza, se hai ricevuto una educazione adeguata, l'educazione di un uomo libero, di una persona che si auto-determina. Se sei stato educato per essere schiavo non sai cosa sia la libertà, come dimostrato non solo nei regimi comunisti ma in quello che ne deriva quando collassano, non basta mettere il macdonalds dove puoi scegliere tra un tot di porcherie, la popolazione rimane intimamente schiava fino a che non cambia in maniera radicale, fondamentale, l'educazione degli individui.
Non è il "capitalismo" ad essere causa necessaria alla "libertà", è al contrario, sono gli uomini liberi che consentono il "capitalismo". Da cui si ricava che il "capitalismo" è semplicemente lo stato normale delle cose. Il Comunismo invece è una menzogna.
> Il rapporto di tutela che il Partito o "Classe Dirigente" […]
EliminaBeh questa è una delle critiche principali di Trotsky: la burocrazia che diviene una specie di nuova borghesia…
> Mi fa un po' ridere il tuo scrivere della "fiducia nella Classe Operaia […]
Anche a me questa fiducia di Trotsky (non mia!) nella classe operaia mi ha lasciato perplesso. Difficile dire se ragiono alla luce del senno di poi o se, già allora, avrebbe dovuto essere chiaro che mancavano le condizioni per la consapevolezza sperata da Trotsky…
> La libertà non è qualcosa che ti viene concesso […]
È una bella riflessione…
Quando è che si apprezza e si capisce veramente cosa sia la libertà?
Quando ci viene insegnato a farlo? Forse…
E magari, aggiungo io, quando ci si accorge che non c’è più…
> Non è il "capitalismo" ad essere causa […]
Qui onestamente non so cosa pensare: sicuramente gli inglesi/americani la pensano come te ma secondo me molto dipende dal fatto che non distinguono fra liberismo e liberalismo. Un caso in cui il linguaggio plasma il pensiero in una specifica direzione nascondendo delle differenze importanti…
Non so, così a naso non me la sento di pronunciarmi con affermazioni apodittiche… mi pare che le possibilità e le combinazioni siano molteplici e che sia difficile o impossibile valutarle tutte…
> Il Comunismo invece è una menzogna.
Beh, anch’io credo che il comunismo, da quello che ho capito io da Marx, avesse dei difetti di fondo che lo rendono intrinsecamente utopistico (v. [E] appendice D).
Diverso il discordo per le istanze di giustizia, di uguaglianza e di critica ad alcuni aspetti del capitalismo che il comunismo comunque pone (secondo me ben fondate e che bisognerebbe cercare di risolvere).
Non ho detto niente di Marx perché non ho le competenze disciplinari per fare una trattazione adeguata. Potrei citare ma è abbastanza inutile. Cosi a naso tutti dovrebbero domandarsi della faccenda di come si determina il "valore" e più prosaicamente, chi decide una volta espropriata la Borghesia.
RispondiEliminaGiustizia, uguaglianza?
La giustizia è quella che è esplicitata nel codice. Noi ereditiamo in gran parte la giustizia romana con un po' di diritto germanico. L'uguaglianza è semplicemente assurda in un universo che funziona sulla base della differenza. Ti sembra una critica affermare che la società è divisa in Classi che sono in guerra permanente una con l'altra? Ti sembra una soluzione postulare che il futuro dell'Umanità consista nel cancellare tutto tranne la Classe Lavoratrice, che quindi diventa infinita ed eterna (ponendo il quesito del chi decide)?
Sono cose che possono piacere agli scemi o ai pazzi. O agli adolescenti, che sono un po' scemi e un po' pazzi.
Sulla libertà, direi che siccome dipende dalla educazione, dipende dai modelli.
Non è una cosa trasversale alle culture, ai luoghi e ai tempi.
Sulla libertà, direi che siccome dipende dalla educazione, dipende dai modelli.
EliminaNon è una cosa trasversale alle culture, ai luoghi e ai tempi.
In effetti alcune delle mie critiche sono simili a quelle che proponi anche se le sviluppo diversamente.
Riguardo la giustizia io la distinguo dalla legalità che è invece ciò che è definito dalle leggi. Per l’uguaglianza intendo quella dei diritti e dei doveri.
Sull’idea che la libertà sia qualcosa che si apprenda devo riflettere di più: come ti ho risposto in un precedente commento mi pare uno spunto interessante.
Mi chiedo se quello che si impari non sia tanto la libertà ma le giustificazioni per sopprimerla...