Ho finito quello che fino ad adesso è stato il miglior capitolo di “Tipi psicologici”, “4. Il problema dei tipi nella conoscenza degli uomini”, di cui avevo già scritto in Trotsky-Giovane.
In particolare dopo essermi ritrovato nella descrizione degli introversi (comprese le critiche) ho letto quella riguardante gli estroversi.
Fino a oggi la mia capacità di distinzione fra i tipi introversi ed estroversi era molto scarsa: mi basavo essenzialmente sulla regola grezza del “ricaricamento pile”. Ovvero l’introverso recupera energie stando da solo, l’estroverso stando insieme agli altri.
Per me che sono super introverso il problema era che tutti mi sembravano estroversi! Un secondo problema è che questo aspetto della personalità lo si giudica facilmente in persone che conosciamo bene ma con molta più difficoltà negli sconosciuti.
Secondo Jung invece la questione è, prevedibilmente, molto più articolata e complessa. Provo a riassumerlo ma non prendete per oro colato quanto sto per scrivere!
L’introverso è concentrato su se stesso, nella propria mente: l’informazione che gli arriva dall’esterno viene trasformata in qualcosa di astratto che viene elaborato all’interno della mente. Per questo l’introverso tende a essere ponderato e riflessivo: non elabora direttamente ciò che vede ma prima lo deve interiorizzare, lo deve trasportare dentro di sé per valutarlo ed, eventualmente, scegliere come reagire.
L’estroverso è invece concentrato sull’esterno: gli oggetti (parlo di “oggetti” nel più ampio significato espressivo: possono anche essere persone o concetti) non sono interiorizzati ma è l’io dell’estroverso che si “spalma” su di essi, si identifica con essi, diventa (anche, non solo) quegli oggetti. Per questo le reazioni dell’estroverso sono più rapide di quelle dell’introverso: salta un passaggio, il processo decisionale e di valutazione è ridotto. L’estroverso è per questo una persona pratica e spontanea che sa immediatamente come reagire a ogni situazione: non ha bisogno di pensarci a fondo. Chiaro che questa velocità è in certi casi deleteria. È sicuro di sé perché identificandosi con l’oggetto (in questo caso concetti o idee) non ha dubbi di fraintenderlo (l'introverso invece separa nettamente il proprio io dall'idea: questo gli dà più oggettività e distacco ma anche meno sicurezza). L’estroverso tende ad agire, l’introverso a riflettere.
Qui ho cercato di descrivere gli estremi opposti: poi ci saranno ovviamente tutti i casi intermedi anche se, secondo Jung, sebbene auspicabile un perfetto equilibrio non è mai possibile.
Questa profonda diversità di carattere provoca una incomprensione di fondo fra introversi ed estroversi soprattutto quando emergono gli aspetti inconsci delle relative psicologie. Come spiegato nel precedente pezzo nell’inconscio tende a svilupparsi l’aspetto simmetrico del conscio: nell’introverso quindi la “sovrapposizione” (è un concetto difficile da definire) con l’oggetto; nell’estroverso la riflessione sull’oggetto. Ma si tratta di facoltà primitive che, quando emergono nel comportamento effettivo, appaiono grezze e mal formate: l’introverso agirà impulsivamente magari eccedendo in parole e/o azioni; l’estroverso agirà seguendo una logica rozza, troppo apparente, che lo farà sembrare avere secondi fini, un’ipocrita insomma.
Grazie a questa nuova consapevolezza della diversità fra introversi ed estroversi ho capito meglio la psicologia del lettore anonimo che nelle ultime settimane ha spesso commentato, con rapide e a volte aspre osservazioni assertive, molti miei pezzi. Anzi era talmente rapido che io faticavo a stargli dietro con le mie risposte: il suo pensiero era infatti tutt'uno con ciò che scriveva mentre io, come sempre, avevo bisogno di leggere e “trasportare” le sue parole dentro di me per poi potergli rispondere sensatamente.
In pratica lui è un perfetto estroverso e io un perfetto introverso: da qui la difficoltà di comprensione reciproca.
Ma diamo la parola a Jung e giudichi il lettore (chi ovviamente ha avuto la pazienza di seguire le nostre “discussioni”) se non sembra una buona descrizione dell’anonimo commentatore:
«Il continuo emettere giudizi, mai basati su una vera riflessione, è l’estroversione di un’impressione fugace la quale non ha nulla a che fare con un pensiero vero e proprio. A tale proposito mi sovvengo di uno spiritoso aforisma, che ho letto non ricordo dove: “Pensare è così difficile che la maggior parte degli uomini emette giudizi.” Riflettere richiede innanzi tutto tempo, perciò chi riflette non può continuamente esprimere giudizi. L’incoerenza e l’incongruenza dei giudizi, la loro dipendenza dalla tradizione e dall’autorità denunciano l’assenza di un pensiero autonomo; allo stesso modo la mancanza di autocritica e di opinioni personali indica una deficienza nella funzione del giudizio. L’assenza di un’intima vita spirituale in questo tipo è chiara più di quanto non lo sia la sua presenza nel tipo introverso, così com’è stato descritto in precedenza.» (*1)
In seguito: «Ma, come l’introverso finisce con il disturbare per la veemenza della sua passionalità, così l’estroverso finisce col farsi irritante con il suo modo di pensare e di sentire semi-inconscio, che viene applicato incoerentemente e sconsideratamente nei confronti degli altri uomini, spesso sotto forma di giudizi privi di tatto e di riguardo.» (*2)
Devo ammettere che, da super introverso forse invidioso della facilità verbale e sociale degli estroversi, mi sono divertito a riportare gli aspetti più negativi del loro carattere secondo Jung.
In realtà essi hanno anche molti lati positivi e sono massimamente utili alla società grazie alla loro affabilità e capacità di smussare le differenze (quando vogliono farlo). Diciamo che pregi e difetti di introversi ed estroversi si completano a vicenda e, a seconda delle circostanze, l’uno può essere migliore dell’altro tipo e viceversa.
Qui di seguito un esempio di caratteristiche positive degli estroversi con in più una frecciatina agli introversi che mi ha fatto molto ridere!
«Per questo secondo tipo [gli estroversi], vorrei porre in rilievo la premurosità nell’assistenza sociale, l’attiva partecipazione al benessere altrui, come pure la spiccata tendenza a dispensare gioia al prossimo. Qualità questa che l’introverso possiede solo nella fantasia.» (*3)
Già che ci sono voglio presentare un bell’esempio di difficoltà di comprensione fra introversi ed estroversi. Nell’esempio specifico è l’introverso che fraintende l’estroverso ma, come detto, l’incomprensione è reciproca.
«È certamente vero che l’estroverso, quando non ha null’altro da dire, fa se non altro aprire o chiudere una finestra. Ma chi bada a ciò? Chi ne è rimasto colpito? Solo chi cerca di capire le possibili ragioni e intenzioni di un simile comportamento, cioè chi riflette, analizza e sintetizza, mentre per tutti gli altri questo piccolo rumore si perde nel gran chiasso della vita, senza che vi sia motivo di interpretarlo in questo o in quell’altro senso. Ma è appunto in questa maniera che si manifesta la psicologia dell’estroverso: essa appartiene ai fatti del quotidiano umano e non significa niente di più e niente di meno.»
Io sono esattamente l’introverso che prende accuratamente nota di questi piccoli episodi e cerca di interpretarli.
E Jung spiega poi che questa interpretazione è errata nel giudicare il conscio dell’estroverso (che ha aperto o chiuso la finestra spontaneamente, senza pensarci) ma è corretta nell’individuare il ragionamento inconscio (magari farsi notare dalla ragazza accanto alla finestra!). Solo che attribuire troppo valore al pensiero inconscio è spesso ingiusto e fuorviante: è come giudicare un uomo dalla sua ombra. È vero che magari inconsciamente l’estroverso voleva farsi notare dalla ragazza ma ha agito spontaneamente seguendo la propria natura senza pensarci. L’estroverso pensa “Toh, bella quella ragazza…” e poi senza pensarci va ad aprire la finestra; passandole davanti, sempre senza pensarci, la guarda e le sorride o le dice una battuta scherzosa; è l’introverso che invece pensa: “Toh, bella quella ragazza: come posso fare per farmi notare da lei?” e conclude di andare ad aprire la finestra ma passandole davanti, e sentendosi un po’ con la coscienza sporca (*4), incespica o arrossisce quando lei lo guarda per un attimo…
Come “bonus” voglio proporre un brevissimo passaggio tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hesse dove il protagonista, un introverso, si confronta con un amico-antagonista estroverso: «I due mondi, i due principi erano impersonati in Knecht e Designori, ognuno dei due potenziava l’altro, ciascuna disputa diventava una gara solenne e rappresentativa che riguardava tutti. E come Plinio da ogni vacanza, da ogni contatto col suolo materno portava con sé nuove energie, cosi Josef succhiava forze novelle da ogni riflessione, da ogni lettura, dagli esercizi di concentrazione, dagli incontri col Magister Musicae e diventava sempre più adatto a rappresentare e a difendere la Castalia.» (*5)
Plinio Designori, l’estroverso, recupera energie dagli oggetti esterni mentre Josef Knecht, l’introverso, da dentro se stesso…
Conclusione: mi ci vorrà un po’ di tempo per assorbire questi nuovi concetti ma sono sicuro che diverrò molto più abile nel capire se le altre persone sono introverse o estroverse...
Nota (*1): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 171-172.
Nota (*2): ibidem, pag. 173.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.
Nota (*4): l’introverso infatti vuole essere fedele al proprio pensiero: se la ragazza gli piace dovrebbe essere esplicito nel manifestare il proprio apprezzamento e ricorrere invece a un “sotterfugio” così indiretto appare squallido e meschino.
Nota (*5): tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse, (E.) Oscar Mondadori, trad. Ervino Pocar, pag. 106.
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