E fra tutte le letture di ieri non ho niente di interessante da scrivere?
Uhm, fatemi pensare: Hobsbawm → normalità sulla scienza del XX secolo; Trotsky → conclude capitolo su tradimento comunismo sovietico rispetto a quello ideale. Belli alcuni esempi; “Il martello delle streghe” → capitolo su vari livelli di sospetto di eresia e come questo spesso sia sufficiente per condannare (a morte); sul terribile “Mercanti di Spagna” ho già scritto un corto che non vala la pena neppure citare; su Rogers →sei paginette in cui riporta il (trentesimo!) colloquio con una paziente in cui vuole evidenziare l’importanza del rendersi conto del fatto che il terapeuta è dalla sua parte per poi ampliare il concetto ad altre persone. Non molto convincente; “Il maestro e Margherita” → bo, un romanzo… magari migliora…; “Il cotone è re” → ma… ho letto un nuovo capitolo e mi sembra si faccia molta confusione su fatti storici e, per l’appunto, la guerra di indipendenza americana la conosco abbastanza bene. Ma dovrei verificare…
Insomma non ho letto niente che spicchi particolarmente ma con un’eccezione: “Una teoria della giustizia” di John Rawls. Il capitoletto 55 “Le definizione della disobbedienza civile” è molto interessante.
La domanda è: cosa può fare la popolazione, in un sistema democratico, quasi giusto (*1) quando non approva assolutamente una nuova legge?
Infatti il cittadino che crede nella democrazia ha il dovere di obbedire anche alle leggi che ritiene sbagliate: quando però questi superano dei confini, per esempio limitandone immotivatamente la sua libertà, ha anche il dovere di proteggersi. Questo porta così a un conflitto fra doveri contrastanti.
Interessante poi che Rawls parli sempre di “minoranza insoddisfatta”: lui scrive infatti in un’epoca (1971) quando era impensabile che una democrazia andasse contro il volere e gli interessi della maggioranza. Ora invece questa è la norma. Perfino la maggioranza della popolazione potrebbe ritrovarsi a compiere la disobbedienza civile.
La disobbedienza civile è nella sua essenza un appello al senso della giustizia della maggioranza e del potere politico che la rappresenta (vedi però la mia obiezione al precedente paragrafo): è come dire “guardate noi siamo pronti a infrangere pacificamente una legge e a pagarne le conseguenze perché siamo assolutamente contrari a quest’altra legge (non necessariamente quella che si viola) per i motivi XXX, quindi, per favore, cambiatela”.
Solo se la disobbedienza civile è inascoltata allora è moralmente lecito prendere in esame ulteriori misure.
Importante sottolineare che la legge che si decide di infrangere può non essere quella che si contesta soprattutto se quest’ultima prevede delle pene severissime: per esempio una legge per il tradimento del proprio paese con pene ritenute immoralmente eccessive. In questo caso i cittadini che vogliono protestare con la disobbedienza civile non devono tradire il proprio paese ma possono, semplicemente, coordinarsi insieme per infrangere un’altra legge.
Da questo si ricava che la disobbedienza civile deve essere pubblica e dichiarata oltre che, come già detto, assolutamente pacifica.
Ma Rawls spiega di riferirsi alla protesta in una democrazia “quasi giusta”: qui la premessa è che il governo cerca di fare l’interesse della popolazione e, solo per errore, può finire per opprimere una minoranza. In questa situazione ha senso appellarsi al “senso di giustizia” di maggioranza e governo perché comunque il fine ultimo condiviso da tutti è il bene generale.
Che fare invece quando la società non è una democrazia “quasi giusta” ma, per esempio, una dittatura? In questo caso il cittadino non ha alcun dovere morale verso il governo e, da un punto di vista morale, può agire come meglio crede (*2).
Sul finale del capitoletto Rawls ritorna su questa problematica spiegando perché la disobbedienza civile avrebbe poco senso in una società che non fosse una democrazia “quasi giusta”. L’autore parla di “militanti” ma secondo me oggi si chiamerebbero “terroristi”.
Per non fare torto a Rawls copierò la mezza pagina in cui spiega questo suo pensiero: «La disobbedienza civile così intesa è chiaramente distinta dall’azione militante e dall’ostruzionismo attiva; essa è ben lontana dalla resistenza violenta organizzata. Per esempio, un militante si oppone in modo molto più profondo al sistema politico esistente. Egli non lo accetta come qualcosa di quasi o di ragionevolmente giusto; crede che il sistema devii ampiamente dai principi che professa, o persegua una concezione della giustizia completamente sbagliata. Anche se la sua azione è, nei suoi propri termini, secondo coscienza, egli non fa appello al senso di giustizia della maggioranza (o di coloro che detengono il reale potere politico), poiché pensa che il loro senso di giustizia sia errato, o comunque privo di efficacia. Egli cerca invece di attaccare la visione prevalente della giustizia, o di costringere a uno spostamento nella direzione desiderata, per mezzo di atti pianificati di destabilizzazione, resistenza e simili. Il militante può perciò tentare di sottrarsi alle sanzioni, poiché non è disposto ad accettare le conseguenze giuridiche della sua violazione della legge; ciò significherebbe non solo affidarsi, ma anche esprimere un riconoscimento della legittimità della costituzione cui si oppone.» (*3)
E, alla pagina successiva: «La struttura di base viene considerate così ingiusta o talmente deviante rispetto agli ideali che essa stessa professa che occorre tentare di preparare la via a un mutamento radicale o addirittura rivoluzionario.» (*4)
Molto attuale. La degenerazione della democrazia sta portando la società e il potere nella direzione indicata da Rawls.
Conclusione: si può non essere d’accordo con Rawls ma non si può negare la profondità delle sue idee.
Nota (*1): se la democrazia fosse completamente giusta non si potrebbe verificare l’eventualità di una legge così sgradita a una minoranza della popolazione. È il solito idealistico modo di ragionare di Rawls.
Nota (*2): anzi suppongo che avrebbe il dovere di opporsi alla dittatura ma Rawls non approfondisce questo concetto.
Nota (*3): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 351.
Nota (*4): ibidem, pag. 352.
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