Via… proviamo a scrivere un pezzo “serio”… non sono a casa ma ho il mio calcolatore e tastiera… però i suoni sono diversi, la sedia è diversa...e fa caldo!! Ero riuscito a far entrare un po’ di aria fredda stamani ma, senza che me ne accorgessi, qualcuno ha aperto tutte le finestre alle 16:00 facendo aumentare la temperatura di ALMENO un grado, forse due. Adesso ci sono 26° mentre a casa da me saremo sui 20°…
Vabbè, ho divagato ma voglio mettere le mani avanti se il pezzo odierno dovesse venirmi male!
L’idea è scrivere di Hobsbawm. Avrei da scrivere la seconda parte del capitolo che avevo iniziato a commentare in La fine dell’URSS ma invece voglio fare un salto avanti. Il capitolo successivo era sull’arte dopo la seconda guerra mondiale: niente di che, il mio principale commento sull’argomento è l’incertezza sul fatto che l’arte segua oppure influenzi la società. Beh, poi avevo segnato vari altri spunti ma rimando il tutto a un altro pezzo.
Voglio invece passare al capitolo ancora successivo, il XVIII, “Stregoni e apprendisti stregoni: le scienze naturali”.
Nell’inizio del capitolo ripercorre la novità della scienza del XX secolo che, diversamente di secoli precedenti, influenza sempre più rapidamente la società. Le scoperte teoriche si trasformano quasi immediatamente in prodotti commerciali.
Mi chiedo quanto sia importante l’influsso dell’industria nella ricerca.
Altra novità è che la scienza non è più occidentale ma si diffonde anche in oriente con gli scienziati che, poi, si trasferiscono là dove trovano le migliori opportunità di ricerca. Hobsbawm scrive nel 1993 e tale luogo sono gli USA. Anche la distribuzione dei Nobel riflette tale predominanza (*1).
Poi vi è la crisi della religione legata e in contrapposizione proprio con l’ascesa della scienza: vi ho trovato un’ottima epigrafe per il sottocapitolo [E] 9.2, “Scienza e religione”!
Interessante è la novità dell’inquietudine verso la scienza: settecento e ottocento non temevano la scienza: solo bene sarebbe potuto derivare da essa. Ma il novecento, con l’arma atomica, ha dimostrato che la scienza può distruggere l’umanità.
La novità è quindi non una paura ma un’inquietudine nei confronti della scienza.
Hobsbawm fa un’importante distinzione fra le paure degli scienziati e quelli della gente comune.
Gli scienziati temono 1. la scienza sempre più incomprensibile soprattutto nei settori più specifici comprensibili solo da, al massimo, qualche centinaio di persone (*2); 2. le conseguenze pratiche e morali imprevedibili e potenzialmente catastrofiche.
I timori della gente comune sono invece diversi: 3. la scienza evidenzia la debolezza dell’individuo e mina l’autorità (*3); 4. l’interferenza nell’ordine naturale.
Personalmente condivido il secondo pericolo temuto dagli scienziati; come ho spiegato in nota credo che solo episodicamente la scienza possa rafforzare l’individuo (e quindi la democratastenia; v. [E] 7.6 “L’ottimo per la popolazione”). Il potere riuscirà, più o meno rapidamente (ho in mente anni e decenni), a volgere a proprio vantaggio qualsiasi novità.
La quarta paura mi pare invece che sia in relazione con la seconda: il fatto è che l’ordine naturale delle cose si è evoluto insieme all’uomo e siamo quindi sicuri che magari è migliorabile ma che comunque garantisce la vita. Le novità scientifiche che interferiscono con esso potrebbero rendere il mondo migliore ma vi è anche la possibilità che, per qualche motivo imprevedibile, lo peggiorino magari catastroficamente.
Mancano in questa analisi di Hobsbawm le paure più attuali, ormai non più astratte ma addirittura concretizzatesi davanti ai nostri occhi.
Da una parte la ricerca promossa dai grandi gruppi industriali per i propri interessi economici: per esempio si ricerca un nuovo farmaco solo se si prevede di trarne profitto. Sì, è vero, in questa maniera la scienza comunque progredisce ma quante sono le scoperte del passato nate per caso o che hanno trovato un’applicazione pratica solo a distanza di decenni? vi è un elemento di serendipità nella scienza ed eliminarlo rischia di azzopparla.
Inoltre la scienza prodotta dalle industrie non è di tutti ma si trasforma in brevetti che vanno ad arricchire non gli scienziati ma i colossi economici che già sono ricchi. Gli abusi morali sono dietro l'angolo: per esempio farmaci salvavita venduti a prezzi esorbitanti solo a chi può permetterseli.
L’altro grande pericolo che Hobsbawm non aveva previsto è ancora più profondo: il controllo e l’uso della scienza contro la popolazione che può avvenire però solo con la degenerazione della politica, ovvero solo quando il potere politico inizi a operare sistematicamente contro il benessere della popolazione per favorire le varie lobbi economiche. Saltano le istituzioni che dovrebbero controllare l’operato dei gruppi industriali. Si abusa dell’autorità della scienza usandola arbitrariamente (e paradossalmente in maniera ascientifica) per definire cosa sia buono e vero. Si usano applicazioni tecnologiche per controllare e influenzare la popolazione. Si permette la commercializzazione di prodotti non sicuri quando non dannosi per la salute della popolazione.
Ci sarebbe da scrivere parecchio su tutti questi fattori ma non voglio divagare oltre. Per chi fosse interessato rimando a [E] 9.3 “L’uso strumentale della scienza”.
Hobsbawm propone poi un’affermazione molto attuale: le ideologie rifiutano la scienza quando essa nega i loro assiomi.
Scrive: «In modi diversi sia lo stalinismo che il nazionalsocialismo respingevano però la scienza, anche quando l’usavano per fini tecnologici. Ciò che essi rifiutavano della scienza era il fatto che mettesse in discussione le concezioni del mondo e i valori espressi in verità aprioristiche.» (*4)
Perché attuale? Dove sono oggi queste ideologie politiche?
Si deve ampliare il nostro sguardo e pensare ad altri tipi di ideologie.
Lo scorso agosto scrissi questo pezzo molto importante: Le ragioni del wokeismo.
Il “succo” del pezzo è che vedevo nel “wokeismo” un’ideologia il cui scopo fosse quello di opporsi e minare la scienza, anzi scrivevo che lo vedevo in opposizione ai principi dell’illuminismo che portarono giustizia e uguaglianza.
Il “wokeismo” si fonda sul principio narcisistico e solipsistico che aggiunge alla premessa individualista “Io sono quello che voglio essere” un “e gli altri devono riconoscermi come tale”: chiara la contrapposizione con la scienza che si basa sull’oggettività e non sulla soggettività.
La frase che ho evidenziato di Hobsbawm evidenzia proprio questo conflitto: la “verità aprioristica” dell’ideologia va in conflitto con la visione della scienza.
E la politica occidentale, per vari motivi di miope convenienza, prende le parti del “wokeismo”. Sembrerebbe impossibile una tale regressione culturale ma essa è sotto i nostri occhi e non la si può negare: la scienza promuove libertà e giustizia e in questa epoca in cui il potere è impegnato nel ridurre entrambe la scienza va combattuta o almeno controllata. Fa comodo far inginocchiare la scienza di fronte ai postulati del “wokeismo” perché poi sarà più facile piegarla quando sarà utile per altri scopi.
Ci sarebbe da scrivere sulla debolezza morale degli scienziati (ma non solo) che si sono piegati e si piegano all’arbitrio del potere. C’è chi lo fa per convenienza personale e chi sa che, opponendosi, rischierebbe carriera e futuro. C’è il tradimento dei media che non danno spazio alle voci dei (relativamente) pochi coraggiosi.
Ma non si deve essere troppo severi: viviamo nell’epoca del profittismo ([E] 14.4 “Il profittismo”) dove il denaro è la misura del bene. Per questo gli scienziati sono così pronti a rinunciare alla verità e alla propria dignità in cambio della sicurezza economica. In un’altra epoca, dove la cultura popolare (epomiti assoluti; v. [E] 6.2 “Gli epomiti assoluti”) avesse esaltato i valori morali dell’onestà e dell’integrità, probabilmente ci sarebbe stata meno collaborazione.
Conclusione: Hobsbawm è un gigante.
Nota (*1): più o meno dal 2010, col Nobel per la pace a Obama, questo premio ha perso molta della sua credibilità.
Nota (*2): a me questo aspetto appare troppo vago e, semmai, contiguo al successivo.
Nota (*3): a me pare una contraddizione: l’individuo è in contrapposizione con la società. La scienza non può tendenzialmente indebolire o rafforzare entrambi. Sì, probabilmente per un breve periodo una novità (che del resto sono sempre più numerose e frequenti) può inaspettatamente rendere i singoli più forti ma l’autorità ne prenderà le misure e la volgerà a proprio vantaggio. Questo è, per esempio, quanto sta accadendo alla rete Internet: che da strumento di libertà, a forza di censura e col contributo delle rete sociali, si sta trasformando in uno strumento per controllare e manipolare l’opinione pubblica.
Nota (*4): tratto da “Il secolo breve” di Eric J. Hobsbawm, (E.) BURexploit, 2009, trad. Brunello Lotti, pag. 616.
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14 minuti fa
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