Ieri, leggendo Rogers, ho fatto una connessione imprevista.
Rogers spiegava di essersi reso conto, nel corso della sua carriera di terapeuta, che l’essenza umana è buona perché l’uomo è un animale sociale: questo però è in contrasto con la psicologia di Freud in cui l’uomo ha tendenze innate distruttive che deve tenere a freno per vivere con i propri simili (proprio la frustrazione provocata dal super-io porta alle nevrosi). Altro elemento di contrasto è la religione e, in particolare, il cristianesimo protestante secondo cui l’essenza umana è naturalmente peccaminosa e solo grazie all’intervento divino l’uomo può evitare di peccare.
Questo mi ha fatto tornare in mente “Il cotone è re” in cui, “per migliorare la razza nera”, e per combattere la criminalità che anche gli abolizionisti, statistiche alla mano, vedevano associata agli schiavi liberati, si pensa che il problema sia di “istruzione” che va a coincidere poi con lo studio della Bibbia.
Ecco spiegata l’idea (che a me suonava un po’ strana) di mandare missionari in Africa: l’immoralità (che porta al crimine) delle popolazioni di origine africana non è vista tanto come un fenomeno razziale (per cui l’istruzione religiosa sarebbe solo una debole patina protettiva) ma sarebbe connaturata a tutti gli uomini.
Insomma l’idea dei missionari, in questa prospettiva, sarebbe molto meno razzista di quanto avevo percepito in prima lettura.
Di fondo rimane l’equivoco che, in genere, l’uomo commetta reati per malizia invece che per semplice necessità.
Io infatti, come Socrate, penso che la natura umana sia fondamentalmente buona e che il reato sia un errore di calcolo/ragionamento provocato dalla necessità. In altre parole credo che gli uomini nascano buoni e che poi possano divenire cattivi solo grazie alle singole esperienze di vita.
Ricordo che ne parlai con un’amica giudice e secondo lei invece, considerando la natura di molti crimini, alcuni uomini sono proprio cattivi. Suppongo cioè che, avendo la scelta fra compiere un’azione giusta e una sbagliata, scelgano volutamente la seconda. Che dire? Secondo me bisognerebbe valutare l’intera storia della persona per capire se essa sia sempre stata cattiva o no. Ovviamente sto parlando del giudizio morale non di quello legale!
Io credo che l’argomento che l’uomo sia un animale sociale sia molto forte. L’animale sociale che lede la propria società ne è espulso e difficilmente sopravvive al suo esterno: così non può trasmettere i propri geni “antisociali”. Ciò vale anche per l’uomo.
Piuttosto il vero problema è che la complessità della società moderna, con le sue interrelazioni in tutto il mondo, ha di gran lunga sopravanzato la semplicità della moralità umana naturale.
Quello che voglio dire è che l’uomo ha comportamenti istintivamente sociali con le persone che stanno immediatamente intorno a lui ma ciò diviene più difficile via via che ci si allontani dal contatto diretto con le altre persone: la persona di fronte a noi è reale e concreta, quella che vive in un’altra nazione è solo una vaga idea.
Il dirigente che mette in vendita un prodotto che sa essere potenzialmente più dannoso che utile riesce a farlo perché poi non vivrà a stretto contatto con le persone che ha indirettamente danneggiato: non intendo dire che queste lo lincerebbero se lo ritenessero colpevole, immaginatevi per esempio che fosse invisibile, è che proprio la conferma visiva di aver provocato tanto male alla società lo distruggerebbe.
Invece la distanza sociale, garantita dalla ricchezza, permette di evitare il confronto diretto con la propria coscienza.
Conclusione: vabbè, argomento complesso su cui credo sia impossibile giungere a giudizi definitivi e certi.
La kuestione salariale
1 ora fa
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