Da qualche giorno continua ad aleggiarmi nella testa il vago accenno di Zhok al fatto che le teorie di Kant e Bentham, benché alla base delle strutture istituzionali della società occidentale, siano almeno parzialmente superate.
È qualcosa di cui ne vorrei davvero sapere di più…
Come scrissi un 4-5 anni fa, all’epoca del corso di filosofia morale, la morale utilitaristica non mi convince assolutamente. Trovo invece molto più attraente e “umana” la morale di Kant: certo anch’essa era tutt’altro che perfetta e, in particolare, mi riferisco anche alla situazione paradossale in cui è sbagliato mentire anche per salvare la vita di un amico.
Al riguardo, dopo un paio di anni di riflessione (i miei tempi sono questi!), arrivai a un mio “perfezionamento” dell’imperativo categorico con Ancora sull’imperativo categorico e le bugie.
Comunque Zhok, come spiegato, ha stuzzicato la mia curiosità e così ho iniziato a rifletterci per conto mio. Già nell’Epitome affronto in parte il problema: preso atto che la morale non è assoluta ma variabile nel tempo e nello spazio, nel capitolo [E] 14.3 affronto il tema della “deriva della morale”.
L’utilitarismo, sebbene con una logica matematica che rischia sempre di calpestare il singolo individuo per il presunto bene della società, comunque ha al suo centro l’uomo o, più precisamente, la collettività.
È definito bene ciò che porta la massima felicità per il maggior numero di persone anche al costo del sacrificio di uno o più singoli. È una morale semplice ma le sue fallacie non sono immediatamente apparenti: comprendo facilmente perché essa possa essere considerata accettabile e giusta dai più (al riguardo rimando ai pezzi sul corso di Sandel del 2015-2016).
La morale che sta nascendo in questi anni è invece qualcosa di totalmente diverso anche se, apparentemente, simile all’utilitarismo per logica e forma sebbene di sostanza completamente diversa.
La nuova morale, che ho battezzato “profittismo”, non ha più né l’uomo né la collettività come suo centro: la misura del bene è divenuta il profitto. Il profitto è il bene e quindi ogni cosa, ogni politica, è moralmente giustificata per raggiungerlo e massimizzarlo il più possibile.
Per esempio un paio di anni fa pubblicai un pezzo (che al momento non ritrovo) in cui raccontavo della lettera ricevuta dal mio ufficio postale di riferimento in cui mi si informava che da quel momento la posta sarebbe stata consegnata saltuariamente perché, a causa del basso volume, non era un’attività economicamente conveniente continuare con l’usuale frequenza (credo settimanale o bisettimanale). Che poi le poste siano un servizio e che a me la metà delle volte mi arrivino, per esempio, bollette già scadute è irrilevante. E ovviamente tutto fatto a norma di legge che, di fatto, non tutela più le persone ma i profitti delle grandi aziende.
Le analogie con l’utilitarismo sono la massimizzazione dei profitti per il massimo numero di (grandi) aziende e il sacrificio dei singoli (ma anche dei moltissimi!) in nome del profitto superiore delle aziende (specie se grandi). Poi vi è anche l’anello di congiunzione con l'utilitarismo quando si chiede alla popolazione di fare dei sacrifici per il bene dell’economia dato che il bene di quest’ultima andrebbe a sovrapporsi al bene della maggioranza delle persone: in realtà il bene dell’economia oramai finisce, quando c’è, solo nelle tasche dei pochi ricchissimi e non della popolazione che ha fatto i sacrifici. Questa tendenza è stata particolarmente evidente negli ultimi vent’anni: agli italiani sono stati chiesti anno dopo anno sempre nuovi sacrifici, con motivazioni speciose variate nel tempo, col risultato però, lo testimoniano i dati OXFAM, di un impoverimento generale a vantaggio dei più ricchi divenuti ancora più ricchi.
Ancora manca nei politici e nelle istituzioni la faccia tosta di professare apertamente questa nuova morale ma, nella sostanza, la si applica continuamente nella maggior parte delle decisioni, specialmente se importanti.
Altro aspetto del profittismo è trasformare in affari i diritti e le libertà della popolazione: in questa maniera usufruire di libertà e diritti, tali solo di nome ma in pratica equiparati a prodotti e servizi, diventa fonte di profitto, e quindi bene, per le aziende che ne hanno la gestione. La salute per esempio, è sempre più a pagamento: lo stesso dicasi per i beni essenziali. Oppure il mettere alcuni diritti e libertà a pagamento: puoi fare XX pagando YY€, una cifra che è nulla per i ricchissimi ma significativa per le persone normali.
Senza tirare in ballo l’argomento attuale ma spinoso del costo dei tamponi necessari per il verdepasso, basti pensare ai permessi per parcheggiare o circolare nel centro della città: 100€ al mese sono niente per un ricchissimo ma una spesa tutt’altro che irrilevante per la maggior parte delle persone soprattutto se non occasionale ma ripetuta per l’intero anno, ogni anno.
“Eh, ma allora come si fa? Non si può fare diversamente”: questo è quello che i propugnatori del profittismo vogliono far credere al resto della popolazione. Le soluzioni ci sono: i posti per viaggiare in centro sono limitati? Si assegnano prima per motivi di effettivo bisogno e i rimanenti con sorteggio e non vendendoli. Le cose basta volerle per poterle realizzare e non si devono prendere automaticamente per buone le difese d’ufficio dello status quo.
Alla fine, riflettevo, questo mio profittismo sembrerebbe essere il “buon vecchio” liberismo: sì e no. Il liberismo è una teoria economica mentre il profittismo ne sarebbe la giustificazione morale non della sua essenza (che il liberismo abbia ragione d’esistere viene infatti dato per scontato, come se fosse una verità autoevidente) ma del suo mantenimento e crescita. Il profittismo incarna cioè il perfetto ambiente morale che permette la massimizzazione dei guadagni, senza che nessuno abbia da ridire sul costo sociale pagato, proprio perché il profitto equivale al bene supremo.
Conclusione: il profittismo è la drammatica degenerazione dell’utilitarismo ed è l’habitat morale ideale in cui le grandi ricchezze possano accrescersi a scapito del resto della popolazione e, anzi, col plauso e l’ammirazione della società (perché riescono a raggiungere il “bene”, cioè il profitto, cosa che invece non riesce alla gente comune evidentemente moralmente tarata). Il profittismo equivale a delle regole truccate per un gioco truccato.
PS: sì, lo so, il termine “profittismo” suona un po’ stupido ma non mi importa: sono ormai da tempo dell’idea che sia importante definire esplicitamente tutto ciò che è vago e nuovo. La definizione, per quanto arbitraria, permette poi di analizzare in maniera più approfondita l’oggetto in questione e, quindi, di capirlo più profondamente. E comunque mi abituerò presto a questo neologismo. Vedi anche Definizioni.
alla prima stazione
1 ora fa
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