In questi giorni sto giocando a un gioco di strategia ambientato nel III secolo a.C. secolo più secolo meno. Durante il caricamento appaiono vari apoftegmi antichi. Di questi uno di Sallustio mi aveva particolarmente colpito.
Lo riporto a memoria perché non l’ho ricopiato e non posso farlo riapparire a mio piacere:
«Gli uomini non aspirano realmente alla libertà ma preferiscono avere un padrone» - Sallustio
Inoltre ho ripreso la lettura de Le radici psicologiche della diseguaglianza di Chiara Volpato (il libro di religione adesso è in bagno!). Ieri sera ho iniziato un capitolo intitolato “Dalla parte degli svantaggiati: la colonizzazione della mente”: si tratta di 4-5 pagine che introducono e riassumono in poche parole l’argomento dei vari sottocapitoli successivi.
In questa introduzione viene presentato il paradosso della servitù volontaria ideato nel XVI secolo da Etienne de la Boetie. L’idea di fondo è che i poveri e gli oppressi spesso collaborano con i propri oppressori al mantenimento del loro stato di sudditanza.
A me pare l’altra faccia della medaglia di quello che ho chiamato “Il paradosso della disparità” ([E] 4.5): nella società (sia a livello globale che all’interno delle singole nazioni) esiste uno squilibrio immenso di ricchezza, com’è possibile che la stragrande maggioranza degli individui a cui toccano le briciole lo tollerino?
La mia risposta è la legge della diseguaglianza ([E] 7.2) ma spostando leggermente la prospettiva essa può divenire: “perché le persone volontariamente accettano, e anzi proteggono, l’ingiustizia che colpisce loro stessi”, ovvero il paradosso della servitù volontaria.
Alla base della servitù volontaria sono quattro elementi:
- la formazione culturale, specialmente infantile e famigliare, dove viene insegnato che la società è giusta.
- la propaganda culturale (al giorno d’oggi soprattutto i media che proteggono lo statu quo)
- la convenienza personale: accontentarsi delle briciole, soprattutto se ce ne toccano più che agli altri, è più facile che rischiare tutto opponendosi allo stato delle cose.
- la maschera del potere che nasconde i suoi veri intenti e beneficiari.
Chi ha letto la mia Epitome vi riconoscerà certamente dei fattori che anch’io ho preso in considerazione: la plasmabilità infantile ([E] 1.4), la comunicazione attuale ([E] 10.3), gli intellettuali organici ([E] 9.6) e legge della conservazione ([E] 5.1), la criptocrazia ([E] 12.1, 12.2 e 12.6)…
In seguito l’autrice riporta altre ricerche, anche recenti, che rincarano la dose. Cito un breve paragrafo tanto per darne un esempio: «...i processi di interiorizzazione dell’inferiorità sociale… ...fanno sì che i gruppi sfavoriti non solo accettino la loro condizione, ma si trasformino spesso in agenti attivi a sostegno del sistema che li penalizza.» (*1)
Ecco, questo è il punto del pezzo, io trovo particolarmente difficile comprendere questa “interiorizzazione dell’inferiorità sociale” che, suppongo, in qualche passaggio si trasformerà in inferiorità personale.
Il motivo è che quando formulo le mie teorie lo spunto di partenza viene dall’analisi di me stesso: “io faccio così perché...” e poi generalizzo. Mi viene facile e istintivo. Il problema è che ci sono dei motivi psicologici che mi sono molto lontani, per non dire alieni, e di questi rischio di non rendermi pienamente conto della loro esistenza o, magari, non gli attribuisco la giusta importanza. Il sentimento di inferiorità verso gli altri mi è molto lontano (mentre non ho problemi a comprendere la superbia!) e davvero faccio fatica a immaginare delle persone che si sentano inferiori ad altre.
Però evidentemente questo fenomeno esiste: la storia, ma anche l’attualità, ce lo dimostra quotidianamente.
Sono quindi curioso di scoprire e identificare i vari passaggi di questa “interiorizzazione” per comprenderli, almeno intellettualmente, e farli miei. Vedremo nei prossimi sottocapitoli.
Da un punto di vista storico, mi riferisco alla mia storia personale, inizialmente pensavo che le persone prendessero decisioni sbagliate (contro il proprio interesse intendo) solo per mancanza di informazione corretta oppure per errori di logica, di ragionamento cioè.
Mi resi conto che non poteva essere così solo recentemente nel 2014: all’epoca ero attivista nel M5S e ai banchini ai quali mi imponevo di partecipare (*2) ebbi modo di intuire che il problema non fosse così semplice.
All’epoca scrissi il pezzo Gli intelligenti e onesti del PD/PDL (*3). Com’era possibile che moltissime persone si ostinassero a votare per partiti che andavano contro i loro stessi interessi? Possibile che fosse solo un problema razionale? Alla fine arrivai alla conclusione che il motivo non era una pecca di logica/informazione ma psicologico.
Proprio da questo pezzo è scaturita la teoria del limite dell’anti-resipiscenza ([E] 1.1): ne riconosco ancora vari frammenti copiati e incollati nell’Epitome!
Mi chiedo quindi se e quanto la mia anti-resipiscenza abbia a che fare con l’interiorizzazione dell’inferiorità che faccio così fatica a immaginare.
Per la cronaca in una nota all’anti-resipiscenza scrivo: «Alcune delle semplificazioni a cui l'uomo ricorrere per comprendere la realtà, e riuscire così a prendere decisioni, è quella di ricorrere a dei miti (v. 2.3), ovvero ad articolate mistificazioni della realtà. Questi miti possono assumere un'importanza tale per l'individuo da divenire centrali nella costruzione della sua stessa identità». E poi nella stessa nota: «...ammettere che il mito, l'illusione sulla quale ha basato la propria esistenza e ha costruito la propria personalità, è fallace equivale ad ammettere di aver sprecato la propria vita o, comunque, buona parte di essa.»
In questi frammenti ho scritto “costruzione della sua stessa identità” e “costruito la propria personalità”: concetti che mi fanno pensare di non essere troppo lontano da quella che dovrebbe essere l’interiorizzazione di cui accenna il testo...
Mi chiedo quindi se questa mia teoria (anti-risipescenza) sia sufficiente a spiegare tutto oppure se ci sono altri elementi che mi sfuggono (probabile). Credo che sia possibile che io abbia tralasciato qualcosa: come detto si tratta di un fenomeno che faccio fatica a comprendere.
Conclusione: come anticipato dal titolo questo pezzo è ammezzato: dovrò proseguire la lettura del saggio della Volpato per chiarire i miei dubbi! Ah, dimenticavo la citazione di Sallustio: buffa serendipità, vero?
Nota (*1): tratto da Le radici psicologiche della diseguaglianza di Chiara Volpato, (E.) Laterza, 2019, pag. 155.
Nota (*2): tale contatto sociale era completamente opposto alla mia natura ma lo consideravo un dovere: il mio piccolo contributo per cercare di ottenere una società più giusta.
Nota (*3): ho riletto questo mio vecchio pezzo: lo trovo ancora validissimo. L’unica affermazione su cui ho cambiato idea è sulla bravura e preparazione dei parlamentari pentastellati. I vari parlamentari furono sostanzialmente scelti a caso e quindi c’erano sia ragazzi in gamba che altri solo felici di essere stati miracolati. Insomma bravi e non sono distribuiti a macchia di leopardo. Nell’ultima legislatura poi sono entrati anche i furbi: quelli che dei principi (apparenti!) del movimento non importa niente ma che hanno provato a partecipare alla lotteria per ottenere un seggio in parlamento e l’hanno vinta...
L'esempio di Benjamin Franklin
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